Ecco come Obama vuole far fuori Trump, prima che la sua presidenza inizi

Complotto? Fantapolitica? Eppure Barack ha chiesto un’indagine Cia sui legami tra Trump e i fantomatici hacker russi. Aria di impeachment per disinnescare The Donald [Fulvio Scaglione]

Ecco come Obama vuole far fuori Trump, prima che la sua presidenza inizi
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19 Dicembre 2016 - 05.19


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di Fulvio Scaglione.


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Giochiamo al gomblotto? Ok. Come tutti sanno, anche nella sua ultima conferenza stampa alla Casa Bianca il presidente Barack Obama si è scagliato contro Vladimir Putin, la Russia, gli hacker e il ruolo da essi giocato nell’influenzare l’esito della corsa elettorale tra Hillary Clinton e Donald Trump. 


Obama è un retore molto efficace e nelle sue dichiarazioni ha fatto di tutto per raggiungere alcuni obiettivi emotivi. 

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Il primo: equiparare la Russia attuale all’Urss, con la magistrale definizione di “Putin ex capo del Kgb” e il riferimento a Ronald Reagan (quello che l’8 marzo 1983 pronunciò definì l’Unione Sovietica “l’impero del male”) che “si starà rivoltando nella tomba” nel sapere che il 37% degli elettori repubblicani approva Vladimir Putin). 

Il secondo: far credere che la sconfitta di Hillary Clinton sia stata provocata dalle interferenze russe senza mai dire come. Perché Obama ha parlato di “attacco hacker al Partito democratico” ma non ha fatto cenno a cosa l’attacco in questione, attraverso Wikileaks, aveva rivelato: e cioè, che il

Partito aveva truccato le primarie per favorire la Clinton. 

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Terzo: preparare il terreno, con questa invettiva, a una serie di sanzioni “ad personam” contro esponenti russi che possano in qualche modo essere accusati dell’interferenza, in modo da lasciare a Trump un terreno diplomaticamente minato.


E vabbè, ci sta. Anche al punto di ciurlare un po’ nel manico. Prima della conferenza stampa finale, commentando un articolo del Washington Post sul tema degli hacker, Obama aveva detto che durante la campagna elettorale la sua principale preoccupazione era che la Casa Bianca non fosse considerate di parte. (“In this hyper-partisan atmosphere, at a time when my primary concern was making sure that the integrity of the election process was not in any way damaged, at a time when anything that was said by me or anybody in the White House would immediately be seen through a partisan lens ― I wanted to make sure that everybody understood we were playing this thing straight”). 

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Il che proprio vero non è, perché già il 7 ottobre (un mese esatto prima del voto) furono James Clapper (direttore della National Intelligence) e Jeh Johnson, segretario della Homeland Security (più o meno il nostro ministero degli Interni), due membri del Governo che rispondono al Presidente, ad accusare esplicitamente la Russia.


Ma non importa. Ti sei fatto fregare, hai perso un’elezione che credevi vinta in partenza, stai per tornare nell’ombra dopo otto anni in cima al mondo… Normale che il tuo umore non sia alle stelle. 

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E poi non è un delitto credere che l’elezione sia andata a ramengo per colpa di Putin e non, per esempio, delle indagini Fbi sulla Clinton o dell’insoddisfazione degli americani per gli otto anni di Obama, i quali col voto hanno regalato a Trump anche una Camera e un Senato a maggioranza repubblicana (hacker anche qui?). 

E’ quello che mostrano di credere i molto deputati democratici che hanno chiesto a Obama di rendere pubbliche le informazioni raccolte in proposito dalle agenzie di sicurezza.


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E Obama ha detto sì. L’indagine è stata affidata alla Cia e dovrà essere completata prima del giorno (20 gennaio) in cui Obama dovrà lasciare per sempre la presidenza. 

Eric Schultz, vice capo ufficio stampa della Casa Bianca, ha spiegato che l’indagine coprirà le corse elettorali del 2008 (Obama contro McCain: solo qualche innocuo maneggio dei cinesi, dice Schultz), del 2012 (nulla da segnalare) e del 2016 (incredibili interferenze russe, spiega sempre Schultz). 

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Poi saranno informati senatori e deputati. Nei limiti del possibile, però, perché (cfr. Schultz) “il rapporto potrebbe includere informazioni sensibili o addirittura classificate”.

Ora, la domanda è: oltre che per placare il giramento di scatole, perché Obama vuole questa indagine sul tavolo prima di lasciare i poteri presidenziali? A che gli serve questo rapporto Cia? Come lo vuole utilizzare?

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Ed è qui che, finalmente, esce il gomblotto. Tranquilli, non c’è solo su Facebook, ne parlano diversi giornali Usa oltre che un congruo numero di deputati e senatori americani. Molti ricordano quando, in luglio, durante la campagna elettorale, Trump chiese pubblicamente (e ironicamente, si spera) ai russi di far saltar fuori le mail sulla Libia (“Russia, if you’re listening, I hope you’re able to find the 30,000 emails that are missing”) che la Clinton, quand’era segretario di Stato, aveva trasferito su un proprio server privato e che poi erano, ops, sparite. E la Clinton lo accusò di incoraggiare lo spionaggio ai danni degli Usa. 

Quei molti ragionano così: se fosse stabilito che Trump era al corrente dei trucchi dei russi per farlo vincere, potrebbe essere sottoposto a impeachment. Cacciato, insomma. Forse ancor prima di entrare alla Casa Bianca.

Le basi legali per un procedimento di quel genere risiedono nella Costituzione degli Usa, secondo la quale un Presidente può essere rimosso se commette “tradimento, corruzione, o altri crimini gravi e infrazioni”. 

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Inoltre dal 1974, dopo le dimissioni di Richard Nixon a seguito del Watergate, pesano molto le conclusioni del rapporto allora prodotto dalla Commissione Giustizia del Congresso, che cercò di chiarire quali colpe, secondo gli autori della Costituzione e Padri Fondatori degli Usa, potevano giustificare la procedura di impeachment. Spiccano le “offese contro il Governo” e gli “abusi ai danni dei doveri costituzionali”, oltre che “il tradimento della pubblica fiducia”. Insomma. Se Trump fosse stato in torta con i russi, lo spazio per metterlo sotto accusa ci sarebbe.

Nel sistema americano, possono essere sottoposti a impeachment i membri del potere esecutivo e i giudici federali, che sono eletti a vita. Mentre a gestirlo sono la Camera (che giudica la fondatezza della richiesta) e il Senato (che emette la sentenza). Gli attuali Camera e Senato, che scadranno il 3 gennaio, sono a maggioranza repubblicana, come quelli che subentreranno. Ma un’eventuale messa in stato d’accusa del nuovo Presidente potrebbe non dispiacere anche ai molti repubblicani che non hanno mai amato Trump: ora che il Congresso è riconquistato, che se ne fanno di un Presidente non espresso dal Partito e poco incontrollabile? Non sarebbe meglio l’attuale vice Mike Pence, che del Partito è figlio tranquillo e fedele? Non dovrebbe essere difficile, quindi, veder saltar fuori alcuni dei soggetti giuridici che possono dare il calcio d’inizio al giudizio parlamentare. Possono farlo, per esempio, uno o più membri del Congresso, procuratori speciali, semplici cittadini con una petizione. E anche il Presidente in carica…

Obama pensa a tutto questo? Mira a depositare alla Casa Bianca, prima di tornare a Chicago, una specie di bomba a orologeria? Chissà. 

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Certo, lui è il primo a sapere che le procedure di impeachment di un Presidente, in tutta la storia degli Usa, sono state solo due: contro Andrew Jackson nel 1868 e contro Bill Clinton nel 1999, in entrambi i casi respinte dal Senato. Richard Nixon, invece, nel 1973 si dimise dopo il Watergate prima ancora che la procedure venisse avviata. Però non si sa mai. Se i repubblicani dessero una mano… E in ogni caso, creare intorno a Trump la fama di cocco, se non proprio collaboratore, del nemico Putin è un buon sistema per strangolare in culla la nuova presidenza.


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