Pericoloso Stato di Emergenza

Solo le elezioni dirette garantiranno la ripresa della crescita, la generazione di posti di lavoro e il ritorno della democrazia. [Dilma Rousseff]

Pericoloso Stato di Emergenza
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3 Gennaio 2017 - 05.25


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Scritto da Dilma Rousseff*

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[Trad. it. per Megachip : Paolo De Santis]

Il Brasile si sta muovendo verso un futuro incerto, che dipende da un governo illegittimo, il quale ha mostrato il suo vero volto, frustrando le speranze della società civile. La soluzione passa per la elezione diretta del presidente, che sostituisca il governo illegittimo. Questa è la condizione imprescindibile perché il Paese possa uscire dalla crisi e riprendere il cammino della democrazia, la crescita e la ripresa dell’occupazione.

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Sono passati solo sei mesi da quando il colpo di stato parlamentare ha interrotto il mio mandato, consacrato da 54,5 milioni di voti. Hanno tramato un golpe che ha potuto contare sul sostegno dell”opposizione, di traditori e di una parte dei media, che hanno gettato il Paese in un periodo di incertezza e di regressione socio-economica. Hanno violentato la Costituzione del 1988[1] attraverso un colpo di stato parlamentare che ha indebolito le istituzioni e gettato il Brasile nel baratro della crisi istituzionale.

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Tutto è possibile quando non si rispetta un mandato presidenziale. L”impeachment senza un crimine responsabilità[2] palanca le porte alla crisi politica e istituzionale. Da questo, scaturisce l’inasprimento dei conflitti istituzionali e lo scontro tra il potere legislativo e quello giudiziario. I rapporti armonici e di equilibrio tra i poteri richiesti dalla Costituzione sono ormai compromessi. In soli 90 giorni, si sono avverate molte cose su cui, nel corso del processo d’impeachment, avevo messo in guardia i cittadini. Le contraddizioni si sono accentuate e hanno stravolto lo scenario politico, economico e sociale.

Le azioni per fermare la “emorragia” prodotta dall’Operazione Lava Jato [3] si sono dimostrate inefficaci. Movimenti sociali, studenti, insegnanti e cittadini stanno sopportando la repressione delle loro manifestazioni. Abbiamo assistito, attoniti, a occupazioni di scuole e università da parte di giovani in difesa del loro futuro, che sono state represse con la violenza, mentre i manifestanti che invadono il Congresso chiedendo il ritorno della dittatura, sono trattati con compiacenza. I segnali di deterioramento dei diritti sociali sono più che evidenti.

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Riconosco, tuttavia, che nessuno dei miei più pessimistici pronostici era riuscito a prevedere uno scandalo come quello generato dall’episodio dell’appartamento di lusso, nel quartiere storico di Salvador[4]. Né che questo fatto potesse meritare più attenzione da parte di chi occupa la Presidenza, rispetto ai veri problemi della nostra gente, come ad esempio l”aumento della disoccupazione o il blocco delle grandi opere di integrazione del Fiume San Francisco, solo per citare due esempi. La democrazia è stata erosa in nome dello Stato di Emergenza. L”interruzione illegale del mandato di un presidente è l”elemento più distruttivo di questo processo in quanto contamina le altre istituzioni.

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Da qui la distorsione dei fatti da parte di settori dei media oligopolisti, o la decisione del Tribunale Federale della 4° Regione che ha autorizzato misure eccezionali, quali la sospensione della legge e della Costituzione in nome del carattere eccezionale della operazione Lava Jato. Un altro segno è la persecuzione incessante verso il presidente Lula, sottoposto alla “giustizia del nemico”, la cui sola regola è quella di distruggere la vittima. In questo menu, la PEC 55[5], si distingue per dar luogo simultaneamente allo Stato di Emergenza e al ritorno del neoliberismo.

Con un colpo solo, toglie la popolazione dal bilancio dello stato, riducendo la spesa per sanità e istruzione. Allo stesso tempo, nei prossimi 20 anni, toglie a tutti noi il diritto di scegliere con voto diretto “a favore di chi, come e dove” verranno utilizzate le risorse del bilancio. Palesemente contro lo spirito della nostra Costituzione, questa PEC consente il ritorno del neoliberismo, lo stato minimo, fatto da pochi e a favore di pochi. La riforma delle pensioni proposta dal governo illegittimo richiede un”età minima di 65 anni e un tempo di servizio di 49 anni. Obbliga i giovani di 16 anni di età ad abbandonare gli studi per andare a lavorare, al fine di avere diritto a una pensione completa.

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L”obiettivo è chiaro. Continua il processo di smantellamento dello stato iniziato da FHC[6] e interrotto durante i governi del Partito dei Lavoratori (PT). Ha lo scopo di smantellare il sistema di protezione sociale, iniziato da Getúlio Vargas[7], aggiornato nella Costituzione del 1988 e perfezionato e approfondito nei governi di Lula e mio. Si sforzeranno per deregolamentare l”economia, ridurre le imposte ai molto ricchi e privatizzare le aziende statali. Oltre a trasformare il mercato del lavoro, “flessibilizzando” i diritti dei lavoratori e rendendo la pensione un privilegio per pochi.

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Tali proposte tornano oggi all”ordine del giorno, dopo essere state sconfitte nelle ultime quattro elezioni presidenziali. Per questo l”impeachment. Il programma neoliberista del PSDB, respinto attraverso il voto dal popolo, ha bisogno che si sospenda la democrazia per funzionare. Il neoliberismo del governo Temer, le cui ricette vengono brandite da mezzi di comunicazione e leader politici come soluzione per il Paese, si tradurrà in maggiore disuguaglianza. Questo modello non può convivere con la pienezza dello Stato Democratico di Diritto.

Nel suo libro The Shock Economy, Naomi Klein dimostra che i sostenitori teorici e politici del neoliberismo utilizzano le crisi per imporre misure impopolari proprio nel momento in cui i cittadini sono colpiti da altri eventi. Nel nostro caso, la crisi economica e l”impeachment sono stati l”occasione per la ripresa delle ricette neoliberiste. Molteplici attori politici ed economici si sono uniti per rivitalizzare un modello che dà segnali di esaurimento e di profonde contraddizioni in paesi dell’Europa e negli Stati Uniti.

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Degna di nota è la cupidigia dei militanti, rappresentanti delle imprese che si incarnano nella “anatra gialla”[8]. Essi sostengono che, di fronte al conflitto distributivo aggravato dalla crisi, l’unico percorso è quello del taglio della spesa sociale, gettando il peso della crisi economica esclusivamente sulle spalle dei lavoratori e della classe media. Escludono la possibilità di aumentare le imposte in un paese che tributa principalmente guadagni e salari. Un tale dibattito è interdetto. In questo caso, non importa se le conseguenze sono l”ulteriore declino della domanda e un aggravamento della crisi conseguente alla caduta dell”investimento governativo e dei consumi: un quadro di completa anarchia degli investimenti privati.

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Sono d’accordo che è necessario fare degli aggiustamenti. Aggiustamenti equilibrati volti a migliorare la qualità delle spese e a ridurre i costi. Il limite di riduzione delle spese era stato tuttavia già raggiunto. Vi è urgente bisogno di una riforma, non per togliere i diritti ma, come nel caso della riforma tributaria, per aumentare il gettito fiscale e cambiare la natura regressiva del nostro sistema tributario. Non possiamo continuare ad essere tra i pochi paesi al mondo, in compagnia dell’Estonia, a non tassare i dividendi o le rendite da capitale.

C’è ancora chi vuole credere nel miracolo dei tagli alle spese. Si è disseminata l’idea che il golpe, travestito da impeachment, ribalterebbe immediatamente la crisi e, da quel momento, sarebbe sufficiente tagliare la spesa pubblica. Ma la crisi fiscale non è mai stata dovuta a una espansione della spesa. Il Brasile affronta un problema fiscale che dipende dal rallentamento economico, responsabile per la caduta precipitosa del gettito fiscale. Devo riconoscere che le esenzioni fatte durante il mio governo, sia quelle sulle buste paga, come quelle che riguardavano i settori produttivi, hanno ridotto le entrate fiscali. I risultati di tali esenzioni sono stati incamerati dalle società sotto forma di maggiore margine di profitto. Tali esenzioni inoltre non hanno prodotto, nella maggior parte dei settori, un aumento della capacità di produzione e, di conseguenza, di imposizione fiscale futura, imponendo in questo modo oneri eccessivi per la gestione fiscale dello Stato.

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Per questo è necessario rivedere tali esenzioni. Anche così, il Paese avrà bisogno di misure che contrastino la crisi. Durante il mio governo sono state criminalizzate tutte le misure fiscali anti-cicliche[9]. La PEC 55[10], che è pro-ciclica[11], azzererà qualunque spazio di manovra per la politica fiscale, oltre a irrigidire la politica monetaria. Quindi, le manovre dei truffatori hanno avuto successo. Durante il mio governo, avevano posto il veto a tutte le iniziative volte a contrastare la crisi, istituendo la politica del “tanto peggio tanto meglio” e con “ordini del giorno esplosivi”. Ma ancora peggio. Hanno mobilitato una parte della popolazione contro i propri interessi, limitando la crescita delle opportunità e dei diritti.

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In diverse occasioni, ho dichiarato che il colpo di stato contro il mio mandato è stato un golpe contro la democrazia, contro il popolo brasiliano e contro la nostra nazione. Nonostante l’opinione dei miei critici, abbiamo promosso un processo di riduzione delle disuguaglianze, che non ha avuto precedenti negli ultimi 13 anni. Sono state le politiche di trasferimento di reddito, di rivalutazione del salario minimo, di aumento dell”accesso ai servizi pubblici, insieme all”incremento dell’investimento pubblico, che hanno trasformato il Brasile e che ci hanno fatto uscire dalla mappa della fame nel mondo.

Questo processo inedito non ci ha però assicurato una efficace trasformazione strutturale della nostra storica concentrazione della ricchezza. E non è stato sufficiente, perché ci è stato appena impedito di procedere nel progetto di redistribuzione della ricchezza, di imposizione maggiore per i più ricchi con imposte progressive, argomento questo assolutamente proibito nel Paese.

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La PEC 55 impedisce alle persone di beneficiare di una crescita per i prossimi 20 anni, in base alla tesi dell’austerità. Stabilendo che la spesa pubblica avrà crescita reale pari a zero, la PEC avrà un effetto di contrazione dell’economia, spingendo la crescita verso il basso. L’aspetto più tragico è che si tradurrà nella riduzione della spesa sociale federale pro capite. E poiché tratta solamente della spesa primaria, la proposta non contiene una sola misura che riguardi gli oneri finanziari, come i gli interessi sul debito pubblico. Arbitrando in modo autoritario il conflitto distributivo sull”allocazione delle voci di Bilancio, la PEC va contro la maggioranza della popolazione. Per le prossime elezioni, toglie ai cittadini il diritto di scegliere il programma di governo relativamente al bilancio e, con esso, i percorsi per lo sviluppo. Questo è oggi uno dei pilastri dello Stato di Emergenza che è stato instaurato in Brasile.

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Rinato come un’araba fenice dopo quasi 13 anni, il neoliberismo del consorzio Temer-PSDB[12] è coerente con il fatto che le nostre grandi aziende di produzione siano passate al settore finanziario. Il fatto che credano e sostengano l”ideologia neoliberista non sorprende. Ma che si uniscano nel sostenere una proposta che riduce la crescita economica e favorisce la decrescita dei consumi, si può spiegare solo con la elevata redditività ottenuta con il fatturato finanziario. Indubbiamente uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo del Brasile è stata la contaminazione dei settori produttivi da parte delle operazioni finanziarie legate al debito pubblico. L”importanza assunta dai risultati finanziari per le prestazioni delle nostre grandi imprese, ponendo in seconda linea anche eventuali limitazioni di competitività, spiega l”indifferenza con cui il settore produttivo ha accolto la diminuzione dei tassi d’interesse nel 2012 e 2013[13].

Serve anche per capire l”impegno di questi settori a favore del colpo di stato, attratti, tra l”altro, dalla prospettiva di riforme e di misure fiscali. L”interruzione della normalità democratica e il cammino verso lo Stato di Emergenza sono le basi giuridiche per la ripresa del neoliberismo. Non sono le basi per “l’ordine, il progresso e la ripresa della crescita”, come avevano promesso prima del colpo di stato. È il contrario. Anche se i media mostrano con molta parsimonia i dati sull’attuale situazione, l”approfondimento della crisi è esplicito.

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La realtà finisce sempre per imporsi. E ”sempre più evidente che i golpisti hanno creduto in quello che propagandavano, e che hanno sottovalutato i fattori che hanno portato alla crisi economica: la fine del super-ciclo delle materie prime, il rallentamento della Cina, la debole crescita nei paesi sviluppati, la fine della politica di espansione monetaria degli Stati Uniti, e la caduta del gettito fiscale. Hanno minimizzato soprattutto le gravi e nefaste conseguenze economiche della crisi politica da essi creata. Questi fattori non sono cambiati con la conclusione del processo d’impeachment. La “emorragia” continua e diventa un attacco mortale. La crisi è resa più grave con l”illegittimità del governo, gli scandali per corruzione e le false profezie.

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E si è aggravata in modo così rapido e profondo che l”instabilità generata all’interno dell’attuale governo e fra le istituzioni, consente di prevedere la possibilità di un colpo di stato nel colpo di stato: ovvero l’elezione presidenziale indiretta, che non produrrebbe stabilità o sicurezza istituzionale. Al contrario, allontanerebbe la speranza e si rivelerebbe un altro attacco alla democrazia, e sarebbe incapace di guidare la ripresa economica. L”intolleranza e il risentimento per la mancanza di armonia tra ciò che la gente si aspetta dal governo e ciò che da esso riceve, minano la legittimità della democrazia. La popolazione, in primo luogo deve subire una perdita di potere, per il fatto che non si sono rispettati i risultati legittimi della elezione. Poi la cassazione dei diritti, attraverso riforme che promuovono l’arretramento e l”esclusione. Quando le teorie economiche dominanti impediscono che si dia priorità all’investimento sociale, i governi non possono rispondere alle esigenze degli elettori. La politica diventa irrilevante per la vita dei cittadini. Da qui il rischio di un’antipolitica virulenta, in cui gli argomenti vengono sostituiti da slogan e dal sensazionalismo. Quindi, se il colpo di stato ha distrutto il presente del Brasile, tocca a noi combattere per il suo futuro.

La soluzione non è la marcia dell’insensatezza golpista, ma la partecipazione popolare. La soluzione sta nella convocazione immediata di nuove elezioni presidenziali, come ho già proposto. Uniamoci per le elezioni dirette, è il momento di una riforma politica, come io ho proposto nel 2013. Non si può uscire dalla crisi senza ridefinire il sistema politico, corroso da pratiche corrotte, fiaccato dalla frammentazione dei partiti e dall’immediatismo che non tiene conto degli interessi del Paese.

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Questo è il cammino per limitare l’arretramento del Paese, e garantire che prevalga la volontà del popolo quando è in discussione il nostro destino. Ribadisco: il momento è grave, ma c’è ancora tempo per salvare la nostra giovane democrazia e promuovere la ripresa dell’economia. La parola chiave è legittimità. Un bagno di legittimità per lavare l’anima del Brasile.

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E per questo, Diretas, Já![14]

Note del traduttore

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[1] Il Brasile è un paese che ha conosciuto la dominazione imperiale del Portogallo fino alla dichiarazione di “indipendenza” del 1822, ed è Repubblica dal 1989. A partire da questa data, sono state scritte ben sei Carte Costituzionali, di cui quella del 1988 è l’ultima, ed è entrata in vigore dopo la fine della dittatura militare che ha tenuto in ostaggio il paese dal 1964 al 1985.

[2] Il crime de responsabilidade è un illecito che riguarda solamente cittadini che hanno incarichi politici, ed fa parte del “sistema di responsabilizzazione” degli agenti pubblici nel Diritto Brasiliano.

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[3] “Operação Lava Jato”, letteralmente “Operazione Lavaggio a Getto”, iniziata nel marzo 2014, è la maggior investigazione di tutti i tempi fatta dalla Procura della Repubblica brasiliana. Sono coinvolte 16 grandi imprese, ma il gigante petrolifero Petrobras è di gran lunga il bersaglio più importante sia per le sue dimensioni, sia per il fatto di essere un’impresa a maggioranza pubblica, che quindi è stata un tallone d’Achille per il governo di Dilma Rousseff. Ma anche per il fatto che il petrolio brasiliano, soprattutto dopo la scoperta nel 2006 delle ricche stratificazioni pré-sal, fa gola a molti potentati internazionali.

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[4] Uno scandalo di ordinaria corruzione che ha coinvolto il Ministro Geddel Vieira Lima, che per questo ha dovuto dimettersi. Geddel è stato il sesto ministro di Temer che si è dimesso in pochi mesi di governo, confermando il fatto ben noto, che i governi golpisti sono sempre costituiti da elementi ricattabili con ampi dossier che li rendano fedeli agli obiettivi dei loro burattinai.

[5] La PEC (Proposta de Emenda Constitucional) è una proposta di modifica costituzionale da sottoporre al parlamento. La PEC 55, approvata dalla Camera come PEC 241, è stata poi approvata dal Senato in dicembre, portando ai brasiliani un prezioso regalo di Natale: una drastica riduzione della spesa pubblica per i prossimi 20 anni, con danni alle pensioni, alla sanità e all’educazione.

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[6] FHC sono le iniziali di Fernando Henrique Cardoso, il presidente del partito Partito della Social Democrazia Brasiliana (PSDB) che ha governato per due mandati, prima di cedere la presidenza al Partito dei Lavoratori (PT), a Lula eletto per due mandati, seguito da Dilma Rousseff, eletta altre due volte.

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[7] Getúlio Vargas ha governato il Brasile per molti anni: nel 1930 aveva preso il potere con un colpo di stato e governato per 15 anni. Nel 1942 fu spinto a entrare in guerra contro Italia e Germania e fu costretto, attraverso incentivi economici, pressioni diplomatiche, attacchi sotto falsa bandiera e minacce di invasione da parte degli Stati Uniti, a concedere l’installazione di basi militari americane nella regione nord est del paese. Poiché era stato un dittatore illuminato, Vargas tornò alla presidenza nel 1951, questa volta democraticamente eletto con grande consenso popolare, e iniziò una politica che perseguiva lo sviluppo economico e sociale del paese, politica che fu immediatamente invisa agli USA e all’oligarchia locale. Per non piegarsi agli attacchi dei poteri forti, Vargas decise di suicidarsi, lasciando una lettera-testamento, divenuta un simbolo nella storia brasiliana.

[8] Il movimento dell’Anatra Gialla, promosso dalla Federazione delle Industrie dello Stato di São Paulo (FIESP, equivalente alla nostra Confindustria) nel 2015 manifestava davanti al Parlamento contro il paventato aumento delle imposte.

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[9] Cioè volte a contrastare la crisi economica.

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[10] Si veda nota 5.

[11] Che inasprisce le conseguenze della crisi economica.

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[12] Michel Temer, che era Vice Presidente eletto con Dilma, fa parte del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), il maggiore alleato nella coalizione di governo con il Partito dei Lavoratori nei governi Lula e Dilma. Il Partito della Social Democrazia Brasiliana (PSDB) è stato invece la forza politica principale antagonista del PT. In occasione del processo di destituzione contro Dilma, il PMDB ha fatto un volta faccia e si è schierato con l’opposizione, contro il PT.

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[13] È importante sapere che il tasso di sconto in Brasile ha sempre avuto valori molto elevati, come si vede dal grafico sottostante. Questa caratteristica è funzionale al fatto che il paese, fin da quando era colonia portoghese, doveva mantenere il ruolo di produttore di commodities. Come è ovvio, un presidente che voglia perseguire l’industrializzazione del paese, deve fare il possibile per ridurre il tasso di sconto, ingaggiando una feroce battaglia contro la Banca Centrale, che però gode di grande autonomia, ed è guidata da personaggi che devono rispondere a Wall Street. Dal 2003, anno dell’insediamento di Lula, è iniziata una decrescita che ha avuto il suo minimo (7,25%) tra il 2012 e 2013 sotto Dilma. Subito dopo, guarda caso, sono iniziate le rivoluzioni colorate, culminate con le grandi manifestazioni antigovernative del marzo 2015.

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[14] Diretas, Já è stato il nome di un movimento che rivendicava elezioni presidenziali dirette, nel periodo 1983-84 in cui la dittatura militare stava aprendo alla “democrazia”. Malgrado la modifica costituzionale per l’elezione diretta non sia passata in Parlamento, il Collegio Elettorale nel 1985 elesse Tancredo Neves, un presidente non gradito ai militari. Pochi giorni prima dell’insediamento, Tancredo si ammalò gravemente e al suo posto entrò il suo vice José Sarney, che ha poi governato per 5 anni. Nel governo Sarney è stata fatta la Costituzione del 1988, che prevedeva elezioni presidenziali dirette. Dilma, come Lula, è stata eletta direttamente dal popolo, ma poi destituita con un colpo di stato parlamentare. Quello che rivendica ora è il ritorno alle urne, affinché in questa sporca vicenda sia direttamente il popolo a esprimere la sua volontà, e non un parlamento che ha dato prova di essere in gran parte etero-diretto.

*Pubblicato nella Edizione Speciale 933 di [url”Carta Capital”]http://www.cartacapital.com.br/[/url] (28 dicembre 2016). © Tutti i diritti riservati.

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