1. Le parabole hanno segnato la nascita e lo sviluppo di intere civiltà : con il loro offrirsi come chiave semplificante di verità altrimenti impraticabili, hanno sempre svolto una funzione molto vicina a quella del mito. Ovviamente nella declinazione classica e non certo in quella spiraliforme e intossicante della contemporaneità .
Proprio del mito e delle sue diverse configurazioni narrative – nell’universo di senso del capitalismo 3.0 – intendiamo proporre una esemplificazione in forma parabolica, nella consapevolezza che tale forma, oggi più che mai, è un potente strumento di “sobillazione†ideologica, una modalità schietta di contrapporsi alla stucchevolezza dei racconti politically correct.
2. Per operare al meglio è indispensabile richiamare preventivamente la concezione del mito di quel grande semiologo e “lettore†di testi che fu Roland Barthes [Roland Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1994]. Il mito, nella prospettiva barthesiana, è un meta-linguaggio rovesciato, nel senso che rispetto al meta-linguaggio in senso stretto, in esso l’operazione che si compie non è quella di fare slittare un intero codice di senso nel piano di contenuto di un codice più comprensivo, più alto (il meta-linguaggio appunto), bensì quella di associare a un intero codice di senso un significato altro, arbitrario, facendo dunque slittare quello nel piano dell’espressione di un meta-codice. Quest’ultimo è il mito.
Facciamo un esempio: se uso la lingua italiana (codice di senso costituito dalle sue espressioni e dai suoi significati) per parlare della lingua spagnola (ovvero della sua grammatica), quest’ultima è il linguaggio-oggetto (contenuto) della prima, che ha dunque una funzione meta-linguistica. Se invece prendo la lingua spagnola in blocco, con le sue espressioni e i suoi significati, e gli appioppo una connotazione di “passionalità â€, sto letteralmente creando un mito nell’accezione di Barthes: lo spagnolo diventa tutto intero la faccia significante del codice mitico il cui contenuto è la passionalità .
3. Eccoci pronti per la nostra “verità †in forma di parabola. Prendiamo le t-shirt con la faccia di Che Guevara stampata sopra. Ragioniamoci un po’ su. La realtà , storica e politica, della figura del rivoluzionario argentino fu capace di istituire un codice di senso in cui ai comportamenti, i portamenti, le posture, gli spazi e i tempi delle sue azioni corrispondevano precisi significati ideali, valoriali, politici in grado di coinvolgere – emotivamente e intellettualmente – intere generazioni dopo di lui. Bene, che cosa fa il mondo del profitto? Prende la storia del Che, la riduce alla sua icona, la stampa su una maglietta e gli appioppa un significato di ribellismo, di puro e semplice ribellismo, che sta alla rivoluzione come il caffè d’orzo alla miscela 100% arabica!
Ora, mettiamo che sorga, spontaneo, un vasto movimento di protesta che rifiuta la logica mercantile che riduce l’icona di Guevara a prodotto vendibile. Mettiamo che tale movimento dilaghi e si renda riconoscibile, immediatamente riconoscibile, grazie alla scelta di un’immagine che riassuma la tensione etica, ideologica che ispira quel rifiuto: mettiamo, una foto dei suoi fondatori, o dei fondatori del sito web che meglio rappresenta il movimento. E così via.
4. A questo punto si sarebbe indotti a pensare questo: dunque il capitalismo dei limiti li ha?!? Sembrerebbe arrivato il punto oltre il quale non si va: qualcuno si organizza per contestare l’uso commerciale della faccia del Che, si organizza al punto di rappresentare un momento di critica – concreta e astratta insieme – al sistema tutto. In altre parole, al sistema capitalistico.
Mettiamo invece, e non per essere pessimisti, che qualcuno abbia la genialata di far girare una foto del gruppo fondatore del movimento – che diremo dell’â€anti-uso-della-faccia-del-Che-come–gadget-commerciale†– e che presto, molto presto, abbia anche la genialata di stampare quella foto su una t-shirt, e venderla pure, appioppando all’icona del movimento il significato (vendibile) di “purezzaâ€, coerenza, pulizia.
Il ragionamento può continuare all’infinito, come un loop informatico, in un percorso ad anello, che non si placa, che non si arresta. Questo è esattamente il capitalismo: potere e negativo del potere, mercato e negativo del mercato, sistema e anti-sistema, purché vendibile, senza limiti. Nei centri commerciali in cui solitamente andiamo, avremo l’angolo con le t-shirt marchiate con la faccia del rivoluzionario che, una volta indossate, ci faranno sentire “ribelli†al punto giusto; e avremo l’angolo delle t-shirt, marchiate con la foto dei saggi del movimento che si oppone alle t-shirt marchiate con la faccia del Che, che una volta indossate ci faranno sentire “puri†al punto giusto.
È molto probabile che l’ammontare delle due vendite non sarà devoluto a nessuna campagna per il rispetto dell’ambiente. O forse si, se stampiamo una t-shirt con l’icona della campagna.
(14 febbraio 2017) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it[/url]