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di Marcello Foa.
Oh, oh, campanelli di allarme per Emmanuel Macron che non poteva iniziare peggio la campagna elettorale per il secondo turno. Tre giorni, tre flop. Vediamoli.
Il primo la notte elettorale: quelle immagini del candidato di “En marche!†che festeggia in una brasserie del centro assieme a tanti Vip (come il suo pigmalione Jacques Attali) non è affatto piaciuta al popolo di sinistra, a cui è sembrato di rivedere Nicolas Sarkozy. Una scivolata, certo, ma da non trascurare per un candidato che, per vincere, ha bisogno anche del voto della sinistra, la quale, invece, ieri gli ha riservato la prima sconfessione pubblica.
Gran dritta Marine Le Pen. Avendo saputo che Macron si apprestava a visitare ad Amiens una fabbrica della Whirpool a rischio chiusura per delocalizzazione (detto fra noi: scelta folle quella del candidato di “En marche!â€), lo ha anticipato di qualche ora, recandosi di fronte ai cancelli dove ha arringato gli operai che lottano in difesa dei propri posti di lavoro. Poi se n’è andata e quando Macron è arrivato, i lavoratori anziché applaudirlo lo hanno fischiato, rimproverandogli di essere un paladino della globalizzazione.
Un disastro in termini di immagini perché quei fischi “di sinistra†ne incrinano l’immagine di leader che sa unire i francesi e perché rafforza il frame su cui punta il brillante stratega di Marine, Florian Philippot, per indebolirlo, quello secondo cui in realtà è il candidato delle élite e non del popolo.
Di certo Macron un problema “à gauche†ce l’ha davvero, considerando anche le analisi del voto ben riassunte dal settimanale Marianne.
Oggi il leader più votato dalle classi operaie è Marine Le Pen, con il 34% dei consensi e, in sè non è una sorpresa; la quale però è seguita da Jean-Luc Mélenchon che raccoglie il 24% dei consensi, staccando di ben 10 punti Macron fermo al 14%. I politologi sostengono che il travaso dei voti dall’estrema sinistra alla Le Pen è inverosimile. E in teoria hanno ragione ma anche gli elettori francesi sono “liquidi“: non votano più secondo schemi rigidi di appartenenza politica ma si lasciano guidare dall’empatia, dagli interessi, anche personali, dalla tendenza ad anteporre un aspetto rispetto ad altri. Esiste una fascia elettorale che può passare con disinvoltura dalla destra alla sinistra e viceversa. Marine Le Pen lo ha capito e tenta di sedurre l’altra metà dell’elettorato disilluso, quello ai suoi antipodi. Ieri ha parlato come un leader progressista d’altri tempi e se i temi economici dovessero caratterizzare l’ultima fase della campagna elettorale, potrebbe raccogliere consensi anche tra i fan di Mélenchon più di quanto si immagini, sapendo, peraltro, che sarebbe un successo anche indurli ad astenersi.
A determinare l’esito del voto sarà , infatti, anche la partecipazione elettorale. Più gente alle urne, più chances per Macron. Meno folla ai seggi più possibilità per Marine, che in queste ore può muoversi con la libertà di chi non ha nulla da perdere. E che per questo diventa sempre più pericolosa.
“Aux urnes mes citoyensâ€, dovrebbe urlare Macron, suscitando la passione delle folle. Ma non ha la tempra. Non è carismatico, non è un vero capo. Pensate che quando si emoziona “il zozotte†come dicono i francesi ovvero è blaso, la sua lingua inciampa sulle s. Capita, per carità , ma quando si deve apparire autorevoli e presidenziali un difetto di pronuncia, che ti aspetti più in un adolescente che in un adulto, non aiuta. No, non è un trascinatore e in tv non va affatto bene, come si è visto l’altra sera su France2. Certo, è telegenico, ha il volto rassicurante del bravo ragazzo ma è noioso, prevedibile, senza guizzi. Quell’intervista in prime time sarebbe dovuta servire a piazzare la zampata per cancellare le polemiche sulla festa alla brasserie e invece è risultata insipida.
Sia chiaro: è ancora in testa, secondo i sondaggi. Ma l’inerzia della campagna è cambiata. Macron sulla difensiva, Le Pen arrembante e pronta a giocarsela su più tavoli: a sinistra come paladina di chi denuncia gli effetti distruttivi della globalizzazione e rivendica una società più equa, a destra sempre più come erede del gollismo in difesa dell’identità francese, della patria, contro l’immigrazione incontrollata. Un po’ Mélenchon e un po’ Fillon. E sempre più convinta che la rimonta è possibile.
Di che innervosire Macron, il quale ora deve inventarsi qualcosa per riappropriarsi della dinamica elettorale. Un Macron che inizia ad avere paura.
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