La differenza tra alleati e zerbini

Far parte della Nato - che è un patto difensivo - non vuol dire essere complici di ogni guerra dichiarata dagli Usa. [Alessandro Gilioli]

La differenza tra alleati e zerbini
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13 Aprile 2018 - 06.18


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di Alessandro Gilioli

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Le questioni internazionali hanno fatto un’irruzione – anche piuttosto violenta – nel teatrino delle consultazioni, dei veti, del chi-sta-con-chi. E ora c’è già un tema politico molto concreto e molto robusto con cui fare i conti: concedere o no agli Usa le basi di Aviano e Sigonella per andare a bombardare Assad?

Già ieri [ndr: 11 aprile] la numero due dell’ambasciata è andata a Palazzo Chigi per iniziare a parlarne.

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Infatti a dire sì o no all’«appoggio logistico» di solito è il governo. Gli esecutivi passati hanno detto sì in ogni occasione, dal Kosovo alla Libia.

Ma nessuno di quei governi era in carica «per il disbrigo degli affari correnti», e certo non si può definire «affare corrente» la partecipazione – seppur indiretta e solo logistica – a una guerra. Anche Gentiloni ne dovrebbe essere ben cosciente.

Quindi i casi sono due: o quando verrà formalizzata la richiesta Usa ci sarà un governo con pieni poteri oppure il governo uscente chiederà al Parlamento di votare.

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Sia nel primo sia nel secondo caso ci sarà da divertirsi (si fa per dire, naturalmente).

Perché tra i tanti paradossi contemporanei c’è il fatto che oggi il partito più atlantista di tutti è il Pd, benché erede del vecchio Pci. O forse proprio per questo: il bisogno del Pci di legittimarsi con Washington ha origini lontanissime (Berlinguer, quando dopo il golpe in Cile decise che l’unico modo per arrivare al governo fosse accettare la Nato) ed è diventato molto fattuale nel 1999, con il primo ex comunista a Palazzo Chigi che autorizzò l’uso dello spazio aereo italiano per la guerra contro la Serbia (sì, sto parlando di D’Alema).

Di lì in poi il filoamericanismo dei postcomunisti stato ancora crescente, perfino nel nome del nuovo partito (l’unico in Europa che si è battezzato come quello statunitense).

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E ieri il Pd (a iniziare dal suo reggente Martina) non ha lasciato dubbi sulla necessità di ribadire la scelta di campo atlantista dell’Italia.

All’estremo opposto c’è la Lega, il cui leader invece ha simpatie per Putin note e più volte manifestate. E, come si sa, in Siria la guerra americana sarebbe contro uno strettissimo alleato di Putin. Anche ieri Salvini ha twittato apertamente contro l’ipotesi di un intervento americano in siria.

In mezzo – tra questi estremi – ci sono gli altri due partiti, Forza Italia e M5S.

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Curiosamente, infatti, Forza Italia oggi è meno decisa del Pd sulla scelta da fare. Berlusconi è amico personale (e di affari) del presidente russo. Ieri due esponenti dello stesso partito – Romani e Malan – hanno rilasciato alla Stampa frasi molto critiche verso l’ipotesi di un intervento militare; il secondo ha messo in dubbio anche la veridicità dell’attacco chimico a Douma. Questo non vuol dire che Forza Italia sia pronta votare contro, ma insomma non è schierata a tutto corpo con Washington.

In mezzo tra i due estremi c’è anche il M5S. Il quale non nasce filoamericano – anzi – ma da un anno lavora per farsi accettare dal potente alleato d’oltre Atlantico con missioni, incontri, ambasciate, rassicurazioni. Insomma si ritrova un po’ nella stessa situazione del Pci alla fine degli anni Settanta: l’esigenza di farsi sdoganare. La guerra in Siria è quindi per il M5S una rogna enorme: se fosse minoranza parlamentare come sei mesi fa, direbbe con ogni probabilità di no; volendo assumere responsabilità di governo, si trova in forte imbarazzo.

La crisi di governo si complica insomma di un fattore in più e non dei più facilmente risolvibili.

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A margine, c’è da aspettarsi una campagna mediatica molto forte perché «l’Italia non tradisca le sue alleanze», come già si sente dire in giro oggi. E sarà una campagna che non verrà solo dalla politica, c’è da supporre. Un eventuale diniego per l’uso delle nostre basi sarebbe indicato come un ribaltamento di alleanze, un passaggio dall’asse con Washington a quello con Mosca.

Del resto, siamo stati la Bulgaria della Nato per 70 anni e non siamo abituati neppure a ipotizzare che si possa stare in un’alleanza anche in altre meno servili posizioni.

Far parte della Nato – che è un patto difensivo – non vuol dire essere complici di ogni guerra dichiarata dagli Usa.

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Questo, come principio, potrebbe essere un punto di partenza: capire la differenza tra alleati e zerbini.

By the way, e per chiudere, personalmente penso che il Pd inizierebbe malissimo la sua proclamata opposizione parlamentare se conducesse la sua prima battaglia in aula per agevolare il bombardamento della Siria ordinato da Trump.

(12 aprile 2018)

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