di Angelo d’Orsi
Indosserò domani 7 luglio la maglietta rossa d’ordinanza, contro razzismo, sciovinismo e salvinismo, ma mi si lasci dire che non ne posso più. Non ne posso più della nostra impotenza.
Mi sono stufato, per esprimere la nostra opposizione (politica, sociale, culturale, etica) a magliette, scarpe, bandiere; mi sono stufato di assistere – inizialmente perplesso, poi attonito, infine sgomento –, alla trasformazione della lotta politica in mera simbologia, che sembra rinviare più alla moda che alla critica, frutto di passività e inerzia, più che segno di volontà di riscossa.
Mi sono stufato di imbattermi nella parola “populismo”, chiave di volta universale che ormai non apre più nessuna porta, concetto che non spiega nulla, così come viene declinato. Renzi era (è) meno populista di Salvini e Di Maio? Per non parlare di Berlusconi…
Mi sono stufato di sentirmi dire che i leghisti sono fascisti, ma senza mai che nessuno mi spieghi perché non soltanto il vituperato sottoproletariato e l’odiosa “vecchia piccola borghesia”, ma la stessa classe operaia li votino.
Mi sono stufato della ripetizione del grido “Razzisti!” rivolto agli stessi, ma poi nessuno mi fa capire perché al Sud ricoperto di ingiurie e minacce dagli stessi leghisti nel corso degli anni, proprio gli uomini e le donne di quel partito, vengano votati.
Mi sono stufato persino di vedere insultato Salvini (che fa schifo al punto che dovremmo smettere di dedicargli battute e disegni, che servono a noi da sfogatoio, mentre lui si compiace della popolarità che i social, oltre ai media, gli hanno costruito), quasi che la sua politica in fatto di migrazioni sia molto diversa da quella di Minniti, lessico, volgarità e sgangheratezze a parte.
Mi sono stufato di coloro che rispondono all’accusa stolta e meschina di “buonismo” (parola che nulla spiega e nulla dice) rivendicandola con orgoglio, invece di urlare che si tratta di una assoluta cretinata, degna della signora Santanché, e miserabili sodali.
Mi sono stufato di vedere rivendicare come repertorio politico la serie di parole consunte quali accoglienza, solidarietà, umanità eccetera: nella nostra bocca non suonano meno scontate e stonate che sulla bocca degli avversari; e soprattutto non ci fanno fare un passo avanti nella costruzione dell’alternativa radicale alla linea che ci ha condotto all’attuale Caporetto.
Mi sono stufato di leggere che l’1,1% della lista “Potere al Popolo” il 4 marzo 2018 è stato un successo.
Non ne posso più di coloro che a sinistra spiegano la sconfitta con la cattiveria altrui, non ne posso più della rinuncia programmatica all’autocritica, non ne posso più di sentir dire che è colpa degli altri quando perdiamo.
Non ne posso più del silenzio sulla sconfitta epocale che la sinistra ha vissuto e sta vivendo da troppi anni.
Mi sono stufato della mancanza di analisi sulle cause interne di quella sconfitta, sui nostri deficit e sui nostri errori.
Mi sono stufato della faciloneria con cui vengono liquidati i vincitori di oggi (leghisti e cinquestelle), rinunciando persino a guardare da vicino i due movimenti, per la paura di sporcarsi le mani, rifiutandosi di distinguere, ma accontentandosi di condannare, in modo semplicistico, e alla fin fine, cretino.
Mi sono stufato di leggere (e, ahimè, temo anche scrivere) testi nei quali si percepisce rabbia, sdegno, ribrezzo, persino, invece che analisi concrete e proposte realistiche; mi sono stufato delle ripetizioni pappagallesche e autoconsolatorie che nulla ci dicono del successo M5S e Lega, e della sconfitta di PaP, e di come uscire dal pelago in cui siamo finiti, e con noi l’Italia.
Mi sono stufato anche di vignette e barzellette. Sono il segno di una impotenza da cui non solo non sappiamo ma chissà, neppure vogliamo uscire. Sono il nostro “ius murmurandi”. In fondo questa impotenza è comoda e protettiva, e ci ritroviamo, sempre meno, ma persuasi che siamo i migliori, i più belli, i più intelligenti mentre gli altri, i nostri avversari, sono brutti sporchi e cattivi. E se vincono è colpa del popolo che nulla capisce, alla fin fine. Ma a quello stesso popolo noi ci appelliamo, e crediamo persino di conoscerlo meglio di coloro che fanno il pieno nelle piazze e nelle urne.
Indosserò la mia maglietta rossa d’ordinanza domani. Ma non ne posso più della nostra impotenza. Essa non è soltanto frutto del destino, ma innanzi tutto dei nostri errori.