L'autunno sarà caldo

Governo Lega-M5S. Alcune considerazioni generali, cercando di capire cosa dobbiamo aspettarci per l'autunno. [Marco Martini e Simone Lombardini]

L'autunno sarà caldo
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13 Agosto 2018 - 08.33


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di Marco Martini e Simone Lombardini

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Sono passati più di due mesi dalla formazione del governo Conte, espressione dell’alleanza Lega-M5S. Troppo poco tempo per una valutazione esaustiva dell’operato governativo, ma, di fronte ad alcuni segnali che arrivano da più parti, è possibile fare alcune considerazioni generali, che riguardano soprattutto il fronte dell’opposizione. 

Proviamo a procedere per punti, cercando di capire cosa dobbiamo aspettarci per l’autunno. 

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CONTRADDIZIONI GOVERNATIVE 

Il governo Conte è figlio di un compromesso tra due partiti che da una parte hanno la stessa radice – popolare ed anti-establishment – ma dall’altra divergono anche nettamente per storia, inclinazioni e progetti politici. I 5 stelle rappresentano quella fascia sociale ascrivibile a una parte del ceto impiegatizio e borghese stufo dei partiti tradizionali e quell’ampia compagine di persone precarie o disoccupate che sperano nel vitalizio collettivo (alias reddito di cittadinanza) concentrati soprattutto al Sud. La Lega, come mostrato dalle elezioni, rappresenta invece quel tessuto di piccole e medie imprese e partite IVA concentrato soprattutto al Nord, vittima dell’economia della globalizzazione (concorrenza con i prodotti che arrivano dai paesi in via di sviluppo e con le multinazionali) e impoverito dagli ultimi 10 anni di austerità; ma rappresenta anche quelle fasce sociali povere, comprensive anch’esse di disoccupati, precari o lavoratori che vivono le difficoltà dell’immigrazione nelle periferie e avvertono l’Europa più come la causa che la soluzione della loro condizione. Grande assente, va ricordato, è sempre un grande movimento rappresentante il Lavoro, evidentemente distrutto nella propria unità e identità da anni di riforme che lo hanno parcellizzato, precarizzato, ridotto numericamente, impoverito e dissolto culturalmente e materialmente nell’economia fluida dell’e-commerce, della gig economy e della new economy.

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Queste differenze si manifestano su alcuni punti di non secondaria importanza, uno su tutti riguarda le cosiddette “grandi opere”. L’ostilità pentastellata all’alta velocità Torino-Lione (la TAV), ad esempio, è certificata da anni di militanza sul campo. Perlomeno, questo fino al “contratto di governo” con la Lega, che al contrario ha sempre spinto, come tutti gli altri partiti di centrodestra (e centrosinistra), per la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali.  Inevitabilmente si sono create delle ambiguità e delle incertezze che andranno dipanate nel corso dei prossimi mesi, relativamente ad opere la cui realizzazione o meno ha anche implicazioni geopolitiche, come il TAP che dovrebbe portare il gas a zero in Italia. Ma anche la questione del reddito di cittadinanza e della flat tax, misure che richiedono in entrambi i casi grandi coperture a meno di tagliare tutta una serie di sgravi fiscali, sussidi e parte dello stato sociale, o di mettere in discussione i trattati europei, potrebbe vedere i due schieramenti contendersi le risorse disponibili (poche) per realizzare con maggiore generosità ciascuno la propria proposta.

I volti del governo: Di Maio, Conte e Salvini.

La geopolitica è un altro aspetto che pone in una situazione particolare il governo italiano: la mai nascosta simpatia della Lega e, in misura inferiore, del M5S verso la Russia putiniana è sufficiente, in questo clima di isterica caccia alle streghe, ad allertare tutti i centri di potere occidentali e i loro accoliti italiani (i media e le opposizioni, in particolare la sinistra). Sono bastate poche frasi, nessuna garanzia e semplici distensioni diplomatiche ad allarmare tutto l’establishment nonostante le ripetute assicurazioni del premier Conte, che ha spesso rimarcato la continuità dell’Italia penta-leghista nel campo occidentale, ribadendo la nostra “fedeltà atlantica” e la mancata messa in discussione dell’UE e dell’euro.

C’è chi parla di tattica, ma è molto probabile che il “governo del cambiamento” abbia davvero poca intenzione di cambiare l’orientamento internazionale dell’Italia, se non in modo piuttosto blando. Ad esempio proprio una delle due promesse elettorali più dispendiose, la flat tax, è già stata ridimensionata negli ultimi giorni a solo certe categorie di piccole imprese, e ciò è strettamente connesso con la fedeltà a questa Europa con le sue regole attuali.

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Anche la semplice critica costruttiva allo status quo, però, in questa fase travagliata per il “nuovo ordine mondiale” neoliberista, è fonte di sospetti e inimicizie presso i potentati internazionali. Il grande merito di questo governo è infatti che su tutta una serie di questioni ha fatto emergere le contraddizioni del mondialismo che è risultato con ogni evidenza compatto e dotato di tutti gli strumenti mediatici principali per plagiare le popolazioni: la questione della TAV, la questione dell’obbligo vaccinale, le adozioni gay e la pratica dell’utero in affitto, e il più importante il decreto dignità che seppur marginalmente, per la prima volta dopo 30 anni, ha invertito la tendenza di riforme del lavoro a favore delle imprese scatenando un putiferio di tutte le opposizioni smascherando la grave contraddizione in seno non tanto al PD quanto più in LeU e in tutte le sigle sindacali. 

 

L’OPPOSIZIONE NON E’ MORTA 

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Dal campo governativo ci si lascia andare a facili ironie sullo stato penoso in cui verserebbero le opposizioni, specie il PD, che effettivamente appare in pieno stato confusionale. Tuttavia, si sorvola su alcuni elementi che dovrebbero quanto meno far suonare un campanello d’allarme: il  grande capitale finanziario globalizzato, che sostiene da sempre i partiti “mainstream” tradizionali occidentali, non è affatto fuori gioco, anzi, è ancora ben presente e vuole riprendersi l’egemonia assoluta, sfuggitagli temporaneamente a causa dell’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti e della crisi dell’UE, che ha portato alla crisi greca, alla Brexit e infine alla nascita, appunto, del governo penta-leghista in Italia. I globalisti sono bestie ferite( nota ironica: “E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia”, Apocalisse capitolo 13, 3), rese furiose dalla perdita dello scettro del comando politico. Hanno però molti mezzi per mettere in serie difficoltà il governo, e uno può essere il risollevamento, anche grazie a campagne mediatiche (o di altra natura) studiate ad hoc, del fronte dell’opposizione in Italia.

Renzi ha recentemente dichiarato, in un video pubblicato su Facebook,  che “presto toccherà di nuovo a noi […] A settembre o ottobre vedrete che ci sarà da divertirsi”. E’ noto che l’ex segretario del PD – un vero “fenomeno” capace di dimezzare, letteralmente, l’elettorato del suo partito in appena quattro anni – ama spararle grosse, tanto che i suoi amici stretti lo chiamano “il bomba”. Renzi però fa riferimento esplicito  all’inchiesta sui rimborsi elettorali della Lega, condannata al sequestro di 49 milioni, e all’inchiesta sui presunti troll che avrebbero attaccato Mattarella dopo il suo rifiuto a nominare il governo con Paolo Savona al ministero dell’economia. A questo proposito, Renzi dichiara di voler essere sentito dal procuratore Pignatone come testimone, perché “credo che su questa storia delle fake news si giochi il futuro dello Stato democratico”. Non sottovalutiamo la questione delle fake news: è evidente, data la ripetitività con cui si adotta questa argomentazione, che esse rappresenteranno il grimaldello ideologico con il quale il Potere proverà a tacere la legittima reazione che compostamente si sta formando su canali e siti web di grande spessore culturale e politico come Byoblu, Pandora TV e Luogocomune. Ricordiamo che già a settembre il parlamento europeo dovrà votare una riforma a internet che se dovesse passare costringerebbe di fatto al silenzio reti web come quelle citate.

Matteo Renzi.

Dall’altra parte troviamo Berlusconi e quel che rimane del centrodestra, una coalizione destinata a sfaldarsi (è notizia fresca la decisione della Lega di correre da sola alle regionali abruzzesi, tanto per gradire). In questi primi mesi di governo Conte, le distinzioni rispetto al PD sono state infinitesimali: entrambe le forze politiche hanno attaccato a testa bassa il governo su praticamente qualsiasi questione, non di rado con argomentazioni simili. D’altronde, sia il PD che Forza Italia e i suoi micro-alleati di centro sono partiti che devono tutto alla benevolenza da e verso i poteri forti internazionali, che li permeano in ogni fibra. Vista la paranoia crescente dei globalisti, non ci sarebbe da sorprendersi se un giorno poco lontano, caduta ogni maschera, Martina e Berlusconi (o, più probabilmente, il suo delfino Tajani) si trovassero intorno a un tavolo per fondare il “partito della nazione” già vagheggiato da Renzi in passato, per fermare i “populismi”, contro il “ritorno impossibile alle sovranità nazionali”, contro il “pauperismo” e quant’altro partorirà la loro fantasia. Questo partito della nazione avrà dalla sua la maggior parte delle “grandi firme” del giornalismo italiano, oltre al solido appoggio del deep state nazionale ed europeo, e buoni agganci con il mondo delle corporations e della finanza internazionale. 

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LA GUERRA SULLA COMUNICAZIONE 

Come abbiamo già detto, Renzi vuole essere sentito dal procuratore Pignatone nell’inchiesta sul presunto attacco troll a Mattarella. “Il futuro dello Stato democratico è a rischio”, dice l’ex premier; bisogna vedere cosa intende con “democratico”. La RAI, quando Renzi era premier, è stata riempita di suoi fedelissimi. Tre anni fa, Carlo Freccero, all’epoca consigliere RAI, dichiarò a Radio24: “Renzi vuole una RAI della Nazione, vuole l’EIAR, che racconti come tutto è bello e tranquillo. Insomma una RAI fascista? Diciamo una RAI di un conformismo totale”. Freccero lanciò un’altra bordata: “Il progetto del potere che ha Renzi in testa è eliminare ogni intermediazione per cui il direttore generale della RAI deciderà da solo e noi membri del Cda non conteremo più nulla. Questa è l’Italia di oggi”. Nell’epoca del governo renziano, il direttore delle nostre reti pubbliche è stato per un biennio Antonio Campo Dall’Orto, manager entrato in RAI con la nomea di “renziano”, salvo poi uscire in polemica con il premier.

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Serie tv britannica sul Deep State.

Un renziano in sella con Renzi al governo, in un periodo in cui i direttori dei tg saltavano, dicono i maligni, se concedevano spazio equanime alle ragioni del “sì” e del “no” al referendum costituzionale del dicembre 2016. Oggi la RAI è nel caos: Marcello Foa, indicato dal governo come possibile nuovo direttore, è stato bocciato dal Consiglio di Vigilanza, considerato una figura “non super partes”, non “di garanzia” (Campo Dall’Orto e i direttori di tg di provate simpatie democratiche, invece, lo erano…?!). Pesano su Foa la sua collaborazione saltuaria con Russia Today (di nuovo i russi, i cattivissimi russi…) e le opinioni negative su alcune decisioni passate di Mattarella. La figura del presidente, nel pieno della questione “attacco troll”, torna a fare capolino. Forse a qualcuno, che punta molto sull’inchiesta in corso su questa curiosa vicenda, può dare fastidio un presidente della RAI non allineato alla narrazione voluta dai poteri forti? L’esperienza passata fa credere che sarà il caso di allacciare le cinture di sicurezza. È probabile che ci attenda un autunno contraddistinto da caldo anomalo… E non ci riferiamo ad eventi atmosferici.

 

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