Impotenza appresa

Senza teoria Sinistra non si dà e così, come negli esperimenti su i cani di Seligman, la sinistra continuerà a restare bella depressa ed accucciata in fondo alla gabbia in attesa della punizione. [Pierluigi Fagan]

Impotenza appresa
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30 Settembre 2018 - 06.34


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di Pierluigi Fagan

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Lo psicologo Martin Seligman, è il coniatore del concetto psicologico dell’ “impotenza appresa”. L’impotenza è come dice il termine il contrario di potenza ovvero di possibilità di fare, l’impotente non può fare. Quando si verifica più e più volte che non possiamo fare, non c’è nulla che possiamo fare, non è alla nostra portata fare, apprendiamo che è inutile tentare per l’ennesima volta, “apprendiamo” l’impotenza. Sono stati fatti diversi esprimenti di laboratorio a riguardo e c’è sostanziale consenso clinico sulla faccenda che – secondo alcuni – potrebbe esser, in termini esistenziali, anche alla base della depressione ovvero l’auto-limitazione al fare tanto è tutto inutile.

La simpatica affermazione fatta a suo tempo da miss Thatcher per la quale al sistema vigente semplicemente There Is Not Alternative (ripresa dall’orrido H. Spencer), così come i sorrisetti di commiserazione di coloro che ascoltano critiche ai vari sistemi dominanti, tendevano e tendono a rinforzare questo apprendimento dell’impotenza. L’apprendimento di quella impotenza è stato favorito sia dalle reiterazioni della Thatcher, dalle riprese che ne fece anche Schroder e la stampa mainstream, nonché del famoso e citatissimo (oggi deriso) libro di F. Fukuyama sulla “Fine della storia” fino al totalitarismo neo-liberale contemporaneo. Il libro di Fukuyama era proprio uscito pochi mesi dopo l’ufficializzazione della fine dell’URSS. In effetti però, in termini socio-politici nelle culture occidentali, fu proprio il collasso del sistema sovietico pur non ritenuto limpidamente la vera applicazione del sistema di pensiero di Marx, a generare la vasta e profonda depressione politica della cosiddetta “sinistra” che tutt’oggi perdura. Quel fallimento epocale è stato appreso come impotenza a cambiare lo stato di cose.

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Che fosse la sinistra democratica originaria degli inizi della Rivoluzione francese o quella socialista o quella comunista, la sinistra è per lo più attratta da modelli parzialmente o in toto alternativi a quello dominante in Occidente: la società ordinata dal mercato, il mercato dalla “mano invisibile”. Modelli alternativi hanno bisogno di teorie alternative ma se l’applicazione della principale teoria alternativa (marxista) aveva dato quei risultati del tutto sconfortanti, ecco l’impotenza. Che i risultati fossero sconfortanti lo si sapeva anche prima e forse nessuno di sinistra in Occidente teneva l’URSS come reale modello di riferimento, però il collasso per ragioni interne e lo sconforto nell’apprendere le reali situazioni del sistema, fu un colpo forse non davvero elaborato dalla sinistra. La corrosiva critica di Losurdo ai “marxisti occidentali” tenacemente ancorati ad overdosi di irrealismo che li portano a schifare il tentativo cinese di far venire a patti il socialismo con le condizioni di possibilità concrete, andava su questo registro. Una sinistra prigioniera di un sistema di pensiero diroccato e ormai disabitato da chiunque sul pianeta è inconsciamente convinta che in effetti a Marx, There Is No Alternative. Tanto vale che i più vitali allora diventino social-liberisti, come in effetti è successo, non saranno più di “sinistra” ma almeno si agitano. O filo-cinesi.

La condizione difficile della sinistra è data dalla mancanza di una prefigurazione sistematica del “possibile” alternativo. La mancanza di un sistema teorico consolidato e condiviso di contro ai tenaci cultori di un idealismo ottocentesco che forse serve ad alcuni a pubblicare qualche libro o ottenere qualche cattedra, ha lasciato tutti i critici del sistema nel perdurante stato di depressione politica che continua sino ad oggi. Qualcuno, coltivando il magico del pensiero, spera che continuando a “criticare” qualcosa succederà, qualcun altro ha provato a pensare aperture alternative “a pezzi” (o economiche o culturali o politiche – assai pochi – o geopolitiche o no forse no, geopolitica e sinistra sono come l’intelligenza e Severgnini) ma nessuno è più in grado di pensare l’intero.

Sebbene gli indefinibili “progressisti” non siano marxisti è in fondo a quella teoria generale che si rifacevano ed ecco che oggi ti tocca leggere di un ricercatore di antropologia che scrive su Rolling Stone che lancia strali avvelenati contro la tribù rossobruna in nome del sacro “internazionalismo”. Ma siamo sicuri che quella “teoria” è giusta ed ancora valida? O quell’altro che gli risponde con Che Guevara “O Patria o muerte!” che c’entra come il parmigiano sulle cozze? Senza farsi mancare qualche ragioniere delle citazioni che apre e chiude le virgolette su qualche passo del Sacro Verbo delle scritture e ti fulmina con l’accusa di eterodossia. E il proletariato? E il concetto di “rivoluzione”? Ed i rapporti tra la struttura e la sovrastruttura? E la concezione “materialistica” cioè giuridco-economicista della storia? E le prefigurazioni del “comunismo” che messe assieme alle frasi dell’immensa opera del tedesco che riportano il termine, stanno scarse in mezza paginetta? Quello sarebbe un possibile?

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Fino a che la sinistra non ammetterà che quel sistema teorico era fallito non per cattiva applicazione ma perché è sbagliato intrinsecamente, capendo dove e come, non ci sarà la possibilità di pensarne un altro. Senza teoria Sinistra non si dà e così, come negli esperimenti su i cani di Seligman, la sinistra continuerà a restare bella depressa ed accucciata in fondo alla gabbia in attesa della punizione, senza neanche più tentare un morso che non sia a se stessa. La lezione è stata appresa quasi trenta anni fa e la lezione è che la sinistra non sa cambiare il mondo perché non sa pensarlo.

 

 

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