Autunno caldo

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23 Ottobre 2009 - 16.14


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di Alessandro Cisilin – da «Galatea European Magazine», Nov. 2009.

 

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Nel 1976 un gruppo di ragionieri sequestrò il proprio dirigente, Guidobaldo Maria Ricciardelli, ritenuto colpevole di reiterate vessazioni. Erano in realtà bei tempi per i lavoratori, quelli della conquista dello Statuto, nonché dell”onda trentennale di un boom economico che permetteva loro di rivendicare una fetta della crescita in termini di diritti e di denari.

 

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L”estremo degli abusi, quello che suscitò la reazione di Ugo Fantozzi e dei suoi colleghi, fu la perdita coatta di una partita della nazionale di calcio in tv, oscurata dall”obbligo di accarezzare le velleità artistiche del capo assistendo all”ennesima proiezione della sua amata “Corazzata Potëmkin” in lingua originale, seppure “con sottotitoli in tedesco“.

La vendetta del sequestro portò il nome di pellicole di ben altra natura, da “Giovannona Coscialunga” a “L”esorciccio“, esibite al dirigente imbavagliato, e la successiva punizione dell”azienda fu l”umiliante riproduzione della scena della scalinata di Odessa del film russo da parte degli stessi dipendenti.

Bei tempi, perché l”oggetto del contendere oggi è ben altro.

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Si chiama sopravvivenza, sotto i colpi della crisi finanziaria e delle politiche statali e aziendali orientate a tesorizzare tagliando sul welfare e sul lavoro.

Il ragionier Fantozzi non fu comunque un pioniere delle modalità più estreme di lotta. Già sette anni prima, ovvero esattamente quarant”anni fa, era scoppiato il cosiddetto “autunno caldo“, come lo chiamò alla Camera il socialista Francesco De Martino, con le tute blu, spalleggiate dall”accorrere spontaneo di studenti, impiegati, cuochi, dipendenti comunali e altre decine di migliaia di lavoratori, a sfilare per corso Sempione, dove volarono di sassi e bulloni contro la polizia che stava presidiando la Fiat. Quello milanese non fu del resto un episodio isolato, seguendo centinaia di mobilitazioni che coinvolsero l”intera classe operaia, specie nel nord industrializzato, e precedendo di qualche settimana l”avvio della cosiddetta “strategia della tensione” con la strage di piazza Fontana.

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E, allora come oggi, l”agitazione aveva i suoi precedenti oltralpe. C”eravamo quasi dimenticati che la Francia non ha esportato in Italia solo la cultura de vino e dell”alta cucina, bensì anche l”attitudine rivoluzionaria. Sequestri di dirigenti, boicottaggi e occupazioni di fabbriche costituirono già parte dell”armamentario delle azioni di lotta post-sessantottine e oggi trovano la replica nelle offensive alla Caterpillar, alla Sony, alla 3M alla Goodyear, alla Cellatex, alla Faurecia e in decine di altre mobilitazioni, inducendo il capogruppo della maggioranza in Assemblea Nazionale Jean François Copé a constatare, con amarezza, “l”inclinazione dei francesi a voler fare in continuazione il 1793“.

 

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Il contesto industriale è del resto analogo, fondandosi ancora sulla centralità del settore automobilistico. Analoga è anche la tipologia della crisi e la sua gestione politica a colpi di sonanti dichiarazioni mediatiche di modesti interventi anticrisi e di copiosi sacrifici nel settore pubblico da parte dei rispettivi leader del centrodestra. Analoga è inoltre la prospettata (dall”Ocse) “fine della recessione prima ancora degli altri paesi europei” sulla scia della relativa solidità dei rispettivi sistemi bancari, derivante dai loro stessi difetti, ovvero la scarsa propensione al rischio finanziario e all”investimento industriale. E analogo è il risultato ultimo, ovvero l”aggravarsi della diseguaglianza e la perdita di diritti, con una sedicente “ripresa” che coinvolge in realtà solo una frazione dell”alta borghesia urbana e non contabilizza la dilagante perdita di posti di lavoro e di salario.

 

I dati europei in tal senso sono eloquenti e drammatici. Nel secondo semestre dell”anno sono stati contabilizzati nell”Unione oltre cinque milioni di disoccupati in più rispetto allo stesso periodo dell”anno precedente, attingendo oramai alla soglia critica del dieci per cento, con l”ufficiale previsione che “il peggio deve ancora arrivare“. In Italia il quadro è ancor più delicato, con quasi un milione e duecentomila richieste di sussidio alla disoccupazione ricevute dall”Inps nel lasso tra il settembre 2008 e l”agosto 2009, con un incremento del cinquantatre per cento rispetto all”anno precedente. Quel lauto sussidio, quando viene poi concesso, consiste peraltro in un esborso medio annuale di soli cinquemila euro, ben al di sotto della soglia internazionale della povertà, alla quale si avvicinano sovente anche le cifre della cassa integrazione, le cui ore sono cresciute in un anno di oltre il duecento per cento, e di quasi il settecento per quel che riguarda i metalmeccanici.

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La risposta operaia, nelle sue manifestazioni più clamorose, è partita all”inizio di quest”anno, e non a caso vicino alla Francia, ossia a Bruxelles, con il sequestro-lampo di tre dirigenti della locale sede della Fiat. Un avvio simbolico, nella capitale europea, quasi a sottolineare l”internazionalizzazione della riscossa. Poi lo scontro è sceso sotto le Alpi, con epicentro di nuovo a Milano, a partire dal presidio dell”estate scorsa da parte di quattro operai di un carroponte della Innse, messa in dismissione. Il caso era emblematico di una prassi che ha coinvolto decine di imprese con conti tutt”altro che in rosso. Approfittando dello stato generale di crisi, il padronato cerca la strada del fallimento lucrativo, attraverso il licenziamento del personale e la simultanea chiusura dei macchinari che, invece, vengono più o meno segretamente messi in vendita.

 

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La presa degli impianti da parte dei lavoratori è dunque anzitutto l”estrema autodifesa della speculazione padronale e loro spese. Ma è anche, naturalmente, una rivendicazione di esistenza della classe operaia, abusata ma anche negata da anni di intellettualismo, specie di sinistra, intorno alla mitologia della “fine del lavoro“. Un”iniziativa del sito di Repubblica, poco raccontata perfino dallo stesso giornale, ha permesso di raccogliere le segnalazioni delle denunce di chiusure di impresa del tutto immotivate dal punto di vista finanziario. In poche settimane sono state raccolte centinaia di pagine, contenenti parecchie di migliaia di segnalazioni. La cifra descrive una tendenza, un fenomeno di massa, quello di una crisi vissuta come occasione di abbattimento dei fondamentali diritti sociali e dell”ennesimo trasferimento delle risorse da una classe all”altra.

 

Alcuni casi esemplari: Eutelia, impresa informatica che ha minacciato i lavoratori di non corrispondere gli stipendi senza il ritiro delle denunce dei lavoratori di cessione di un ramo dell”azienda senza alcuna garanzia occupazionale; la fabbrica di sanitari Ideal Standard, col presidio operaio degli impianti dopo la minaccia della chiusura del forno; cinque operai appesi per giorni nel milanese a venti metri d”altezza alla Metalli Preziosi; settimane di sciopero a oltranza alla Spx, in provincia di Parma, per ottenere la sospensione delle procedure di mobilità; e naturalmente il “bossnapping“, come dicono gli anglofoni, ovvero sequestri dei dirigenti, a cominciare dalla sede di Colleferro della Alstom, sede anche di tentativi individuali di suicidio; addirittura il “rapimento” di un sindaco consenziente nel livornese contro la dismissione dell”azienda di smaltimento rifiuti della Costa Mauro. Storie di crisi di dubbia sostanza e di lotte di lavoratori per la propria sussistenza.

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La rediviva classe operaia ritrova in queste settimane le antiche alleanze e gli usuali nemici. Tra questi ultimi sembrano arruolarsi le sigle sindacali pronte a firmare accordi separati per il rinnovo contrattuale delle tute blu, accettando, oltre alla frattura tra i lavoratori, anche l”ennesima perdita di potere di acquisto con rialzi nominali che scontano solo una parte dell”aggravio inflazionistico. La perdita nelle buste paga reali, secondo un documentato studio dell”Ires-Cgil, è stata drammaticamente costante negli ultimi trent”anni, e in particolare dall”abolizione della scala mobile, con l”aggravante di politiche economiche che hanno favorito la rendita a scapito del lavoro. E il risultato è che il salario, non solo è sceso ai minimi europei, ma che quel minimo è il più tassato nell”intero continente. Se solo la pressione fiscale fosse rimasta invariata, ogni lavoratore oggi si troverebbe con oltre tremila euro in più annui.

 

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A fianco dei lavoratori stanno incombendo però anche i vecchi amici. Gli studenti, con le prime massicce mobilitazioni a bersagliare i drastici tagli al settore voluti dal governo. Ma anche, a differenza degli anni sessanta, il corpo unitario dei docenti precari, prime vittime dei tagli stessi. Quarant”anni fa si chiedeva il conto del boom economico. Oggi i lavoratori, compatti, rivendicano l”estraneità da una recessione loro estranea. Hanno già dato e pagato, per loro la crisi è trentennale e nessun “piano” è andato mai in loro soccorso. L”autunno, però, per chi non se ne fosse accorto, è arrivato.

 

acisilin@yahoo.it

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