'Fincantieri. Fra diktat e giochi c''è un''alternativa'

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25 Maggio 2011 - 12.02


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di Fabrizio Tringali – Megachip.

Il nuovo piano industriale di Fincantieri, presentato dall”amministratore delegato Bono, disegna uno scenario catastrofico per la cantieristica italiana: chiusura o ridimensionamento di diversi stabilimenti, licenziamenti oltre le 2500 unità. La reazione del mondo politico è unanime: governo nazionale, istituzioni locali, forze politiche di maggioranza e opposizione, tutti uniti nel chiedere il ritiro del piano industriale e l”apertura di un tavolo di negoziati (fissato per il prossimo 3 di giugno).

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Quella che sembra essere la normale reazione delle istituzioni democratiche, altro non è che una farsa. Ennesima rappresentazione, frutto della “Società dello Spettacolo” cui si è convertito il mondo in cui viviamo. In questo gioco delle parti, Fincantieri le “spara grosse” ben sapendo di avere obiettivi ben diversi da quelli dichiarati. E ottenendo così di raggiungerli, simulando un negoziato aperto alle istituzioni e alle parti sociali.

Di fatto è quello che accade sempre nelle relazioni industriali, quando la parte più debole (gli operai) non ha le informazioni per farsi un”idea propria dello stato reale del mercato e delle prospettive aziendali. Le informazioni sono tutto. Se non le hai, l”azienda ti può raccontare quel che vuole.

Il mondo politico, invece, le informazione le possiede, dato che stiamo parlando di una società in mano pubblica. Il 99% di Fincantieri è di Fintecna, una società finanziaria interamente controllata dal Ministero dell”Economia e delle Finanze.

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Dunque il Palazzo sa che il piano presentato da Bono è un”utile boutade: ministri, presidenti di regioni e sindaci (di centrodestra e di centrosinistra) possono fare la voce grossa. Farsi paladini degli operai, “costringendo” Fincantieri a trattare.

Ora, queste avrebbero potuto essere solo congetture, ma uno scoop del quotidiano genovese «Il Secolo XIX» fornisce la prova: in documento che Fincantieri ha preparato per Fintecna, in cui sono svelati i veri obiettivi:

– Nessuna chiusura di stabilimento

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– Aumento generalizzato dei livelli di produttività (più lavoro e meno salario)

– 1500 esuberi, ma nessun licenziamento (saranno gestiti solo ed esclusivamente attraverso turn over, incentivazione ai prepensionamenti, mobilità interna)

– Realizzazione del “ribaltamento a mare” nei cantieri di Sestri Ponente (costo 70 milioni di euro, già stanziati dal governo), con conseguente chiusura temporanea per eseguire i lavori (3 anni stimati). Durante questo periodo, si prevede lo spostamento degli operai a Monfalcone e Marghera

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– Ottenimento di risorse pubbliche regionali per integrazioni salariali

Ecco il documento: http://www.ilsecoloxix.it/r/IlSecoloXIXWEB/economia/allegati/fincantieri2011.pdf

Dunque abbiamo le prove di questo odioso gioco delle parti. Nessuno canti vittoria, né istituzioni, né sindacati, se gli accordi prossimi venturi non faranno altro che certificare le reali volontà di Fincantieri.

Istituzioni serie dovrebbero almeno vincolare gli investimenti pubblici a determinate garanzie relative al mantenimento dei livelli occupazionali attuali e alla salvaguardia dell”ambiente.

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Il “ribaltamento a mare” sarà un”opera di grandi dimensioni, che produrrà un ampliamento importante degli spazi destinati ai cantieri nell”area di Sestri Ponente, che potrebbe quindi inglobare il polo di Riva Trigoso (destinato a diventare un polo d”eccellenza dell”officina meccanica).

In questo modo, quella porzione di riviera potrebbe essere restituita ai cittadini.

Per quanto riguarda i sindacati, essi hanno la possibilità di condurre una trattativa disponendo di importanti informazioni sugli obiettivi aziendali. Non dovrebbero accettare né gli esuberi, né i trasferimenti per 3 anni. Quantomeno possono pretendere di negoziarne le condizioni (per esempio accettando solo trasferimenti a carattere volontario, per quella parte di operai disponibili a spostarsi in cambio di un significativo incentivo economico).

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Né dovrebbero accettare il punto di vista aziendale per quanto riguarda l”aumento della produttività, che spesso si traduce in un deperimento delle condizioni di lavoro ed in una diminuzione della sicurezza.

 

 

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