IKEA, il cambiamento inizia dalle lotte

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19 Novembre 2012 - 13.00


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di Anna LamiMegachip

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Dai pressi della stazione alle vie dello shopping del centro storico, in un freddo sabato pomeriggio della Piacenza piccola e borghese, sfilano in alcune centinaia i lavoratori delle cooperative Ikea sventolando le bandiere Si.Cobas, molto rappresentativo nel settore, assieme a cittadini comuni ed ai giovani militanti del Network Antagonista Piacentino.

Da quando è esplosa la questione del polo logistico di Piacenza, la multinazionale dell”arredamento ha smesso i panni dell”amica di tutte le tasche per ricoprire quelli dell”arroganza padronale che non disdegna alcuna pratica vessatoria. E se la prende, innanzitutto, con ritorsioni nei confronti di diversi aderenti al Sì.Cobas, colpevoli principalmente di aver sindacalizzato i colleghi migranti, i quali, complici la scarsa padronanza della lingua e la debolezza contrattuale, avevano tollerato pesanti discriminazioni.

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Tutto ha inizio lo scorso luglio, quando alcuni lavoratori, immigrati magrebini, impiegati dal Consorzio Gestione Servizi, hanno avviato una vertenza per chiedere l”applicazione del contratto nazionale del trasporto merci e logistica anche al loro rapporto di lavoro.

L”accordo è stato firmato, ma la vendetta è arrivata presto, innanzitutto tramite lo sfruttamento del concetto di flessibilità del lavoro in senso ritorsivo: infatti se alcuni lavoratori sono stati impiegati per coprire turni straordinari, contemporaneamente per altri l”orario di lavoro si è drasticamente ridotto, facendo crollare il salario anche a 500 euro al mese.

Quindi, tramite la giustificazione della “crisi economica”, che non regge nello specifico, un delegato Cobas è stato sospeso assieme ad altri 14 facchini. Diversi altri lavoratori sono stati lasciati a casa per settimane. Provvedimenti disciplinari che hanno riguardato i lavoratori più esposti, con l”evidente fine di dividere ed intimidire i lavoratori tutti.

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Ma la solidarietà dei colleghi non è stata di poco conto: picchetti quotidiani, tentativi di blocco dei Tir, fino al culmine dello scorso 2 novembre, sfociato nelle pesanti cariche dove non sono stati risparmiati i lacrimogeni quando l”azienda ha provato a far entrare pullman di lavoratori esterni. Un facchino ricoverato in gravi condizioni ed altri 5 con vari giorni di prognosi non sono stati sufficienti a far desistere Ikea.

È persino arrivata la minaccia del trasferimento del deposito centrale di Piacenza: minaccia assolutamente irrealistica, ma che è bastata per isolare ulteriormente i lavoratori ed i loro delegati rispetto alle istituzioni cittadine ed ai sindacati confederali.

Secondo Carlo Pallavicini, consigliere comunale di Rifondazione Comunista, che dagli inizi segue il caso, “è assolutamente possibile tornare all”ordinario svolgersi dei lavori senza riduzione del carico di lavoro, quindi di ore e stipendio, solo per gli iscritti Si.Cobas. Il silenzio di Cgil è stato assordante, gli altri sindacati confederali hanno assunto un atteggiamento di vera e propria avversione. Addirittura è stata chiesta la testa di Luigi Rabuffi, assessore di Rifondazione al Comune di Piacenza che ha osato spendersi per trovare una soluzione a questa vertenza. Indebitamente, questa richiesta è arrivata alla segreteria provinciale della Cisl. Ciò la dice lunga su quelli che sono gli schieramenti in campo. L”azienda era arrivata addirittura ad annunciare 107 licenziamenti, minaccia poi rientrata. I cittadini di Piacenza, e più in generale gli italiani, hanno capito che se adesso ad essere colpiti sono i lavoratori migranti, prima o poi potrebbero essere colpiti per tutti, perché la logica è la stessa che muove Marchionne.”

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Lorella, lavoratrice della cooperativa San Martino (gruppo Sgc), non ha creduto al lavarsi le mani di Ikea, che ha provato a scaricare l”intera responsabilità sulle cooperative, ed afferma che la sua cooperativa “prende gli ordini da Ikea per vessare ed emarginare i lavoratori migranti.” Secondo lei, “alcuni capi reparto ed alcuni capi delle cooperative sono stati allontanati in passato perché non sufficientemente esigenti, cattivi.”

Mohamed Arafat (Si.Cobas), portavoce dei lavoratori, dice che “abbiamo avuto un incontro con la cooperativa, abbiamo discusso della questione dei lavoratori sospesi, mentre per la prossima settimana aspettiamo delle risposte vere dall”incontro tra lavoratori sospesi, Si.Cobas e cooperative. Se i nostri colleghi non verranno pienamente reintegrati ma verranno spostati in un altro luogo di lavoro, apriremo nuovamente lo stato di agitazione. Abbiamo ricevuto solidarietà proveniente non solo dall”Italia ma da tutto il mondo, sono stati fatti volantinaggi in Germania, in Francia, addirittura in Svezia nella sede di Ikea, anche se purtroppo dalla città di Piacenza abbiamo ricevuto poca vicinanza, anche da parte del personale Ikea non dipendente dalle cooperative.”

Aldo Milani, segretario nazionale Si.Cobas, afferma che “le risposte delle cooperative le conosciamo già: o i lavoratori accettano lo spostamento in altri posti di lavoro alle stesse condizioni o li metteranno in cassa integrazione. Ma sul piano formale Ikea non ha niente. Ha voluto punire questi lavoratori, metterli in castigo. È stata data la cassa integrazione ad un”azienda che non è in crisi. La cassa integrazione, infatti, si prevede per le aziende in crisi, non è questo il caso”. Ed a proposito del comportamento dei sindacati confederali, ci va pesante: “o sono coglioni, oppure prendono le buste. Diversamente non si spiega il loro comportamento.”

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E se la Cgil ha rifiutato di dare la solidarietà ai lavoratori Ikea nel corso dell”ultimo direttivo nazionale- anzi, nella città di Piacenza sono stati addirittura distribuiti volantini firmati congiuntamente Ikea-Cgil-Cisl-Uil per la “salvaguardia dell”occupazione a Piacenza” – la lotta si sta allargando in altri depositi del nord Italia; i facchini della Coop Adriatica di Anzola Emilia sono in duro presidio per la partecipazione ai tavoli di accordo sindacale, mentre i lavoratori della Coop Reno denunciano la disdetta del contratto aziendale. Segnali confortanti che mostrano come i settori sociali ultraprecarizzati iniziano ad essere protagonisti nel conflitto sociale.


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