Per un nuovo movimento anticapitalista

L’11 maggio a Bologna si lancia il “Movimento politico anticapitalista e libertario”. Ne parliamo con Giorgio Cremaschi.

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8 Maggio 2013 - 19.18


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Intervista a Giorgio Cremaschi

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di Anna LamiMegachip

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Nei giorni scorsi alcuni importanti esponenti di varie realtà politiche, sociali e sindacali hanno lanciato un’appello per la costruzione di un “Movimento politico anticapitalista e libertario”. L’11 Maggio a Bologna al Cinema Galliera dalle ore 10.00 si terrà ci la prima assemblea nazionale per avviare questo percorso. Ne parliamo con Giorgio Cremaschi, portavoce del Comitato No Debito e membro del Direttivo nazionale CGIL, tra i principali promotori dell’appello.

Come nasce questa iniziativa?

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L’idea è semplice. In Italia ci sono tanti movimenti, forze, organizzazioni che nei fatti lottano contro il capitalismo, ma manca un movimento unitario che abbia come obiettivo specifico quello di dire che il problema che dobbiamo affrontare è questo tipo di capitalismo, la sua aggressività contro le persone e contro la natura, con la sua follia e l’ipersfruttamento. Tutta la politica ufficiale si svolge dentro al tragitto predeterminato dal grande capitale, dalla finanza e dallo spread, dal fiscal compact, che decidono chi rientra nel recinto della politica ufficiale. Noi diciamo che se davvero vogliamo provare a fermare il disastro bisogna rompere questo recinto. E fare dunque una precisa contestazione alle regole del gioco che ci vengono imposte.

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Hai scritto che “l’Europa reale può solo essere rovesciata”. E nell’appello si legge che “ci uniamo per la rottura con questa Europa”. Dite chiaramente di essere contro la troika, ma la troika è composta da Fmi, Bce e, appunto, Unione Europea. Si può dire quindi chiaramente, senza giri di parole, né tabù, che questo movimento che nascerà a Bologna è per far uscire i popoli dalla gabbia dell’Unione Europea?

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Certamente. Io sono d’accordo. Vedi, in Italia parlar male dell’Europa è come parlar male della mamma, non si può. Dunque è vero che anche noi siamo partiti da questo tabù, ma oggi io non ho dubbi, perché l’Europa di oggi è come quella del Congresso di Vienna, dominata da un sistema di potere che non è riformabile, ma che deve solo essere rovesciato. Poi questo non significa che bisogna ritornare ai nazionalismi, anzi secondo me è proprio questa Europa che alimenta anche i peggiori nazionalismi. Sono convinto, però, che per avere in futuro un’Europa democratica e sociale, l’Unione Europea debba essere rovesciata. Credo anche nell’opportunità di realizzare una nuova unione dei popoli europei, ma la UE per come è impostata non può essere modificata. Per esempio, c’è chi sostiene che per avere un’altra Europa basterebbe dare più poteri al Parlamento europeo. Dare più poteri anche al miglior Parlamento europeo mentre restano in vigore tutti i trattati da Maastricht in poi, le regole di bilancio, la libera circolazione dei lavoratori senza minimi diritti? Non servirebbe a nulla. Non si può nemmeno pensare di risolvere il problema introducendo un semplice salario minimo. Chi proclama la necessità di un salario minimo in questa Europa, non si rende conto della stupidità di quello che dice perché un salario minimo non potrebbe che essere misurato sui salari più bassi, come quello della Romania. Il fatto è che l’Europa liberale non è districabile dall’Europa liberista.

Nell’appello di convocazione dell’assemblea di Bologna vi definite anticapitalisti. Però diverse componenti radicali in questi anni hanno sostenuto ricette neokeynesiane, individuando principalmente nel neoliberismo e nella speculazione finanziaria il nemico da sconfiggere. Anche riguardo alla crisi economica attuale, molti settori hanno fatto proposte di radicale riformismo (audit debito pubblico, patrimoniale, etc) accreditando le ipotesi per cui sarebbe possibile uscire dalla crisi economica pur restando all’interno del modo di produzione capitalista, semplicemente eliminandone gli eccessi liberisti. Non credi che le rivendicazioni molto sensate come quelle che fate voi (non pagamento del debito, nazionalizzazione di banche ed imprese strategiche, riduzione dell’orario di lavoro, rilancio dei salari, reddito minimo, ecc.) debbano essere collegate ad un disegno strategico di portata storica, che è quello del superamento del capitalismo? Non credi che, essendo la crisi strutturale, anche le più elementari rivendicazioni economiche, sociali, democratiche siano ormai incompatibili con le basi stesse del sistema e che nessuna riforma significativa sia realizzabile senza uscire dal capitalismo?

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Non è un caso se noi nell’appello abbiamo usato l’espressione “socialismo del XXI secolo”, la stessa che si usa in America Latina. Ci sono due rischi da evitare: uno è quello, diciamo così, dell’ingenuità. È l’errore di coloro che vorrebbero fare il socialismo con l’accordo dei capitalisti. È un po’ lo stesso errore di quelli che avrebbero voluto costruire la democrazia con il consenso del Re. Molte delle proposte che tu definisci di stampo neokeynesiano hanno questo carattere di ingenuità. Tralasciano il fatto che se le soluzioni neokeynesiane non vengono attuate non è perché chi le dovrebbe attuare “non ci ha pensato” mentre a loro è venuta in mente la bella idea. Prendiamo la disoccupazione di massa. La disoccupazione di massa non è un incidente né un danno collaterale, ma è voluta: senza disoccupazione di massa non ci sarebbe il tipo di flessibilità del lavoro che c’è oggi, non ci sarebbero i ricatti che ci sono oggi. Se fossimo in un regime di piena occupazione nessun lavoratore accetterebbe di sottostare a certe condizioni. Quindi questo è un sistema che ha in sé la disoccupazione di massa. È uno strumento fondamentale per imporre determinate condizioni di lavoro. Però bisogna anche evitare l’eccesso opposto che si riscontra in una parte della sinistra più settaria e dogmatica. È l’errore di dire: “è tutto già scritto”. I nostri classici hanno già scritto il manuale delle giovani marmotte per la costruzione del socialismo, si tratta di adeguarsi a quello. Ecco, abbiamo ricevuto qualche critica su due fronti. Alcuni ci hanno detto di essere troppo rivoluzionari, altri ci hanno criticato perché “bisogna abbattere il capitalismo qui ed ora”. Questa seconda critica è frutto di una deformazione dottrinaria presente spesso nei piccoli gruppi della sinistra, che è poi il segno della loro stessa crisi. È evidente che noi dobbiamo mettere in discussione il sistema capitalistico, ma con le modalità di oggi, non con quelle di cento anni fa. Ormai abbiamo capito che il socialismo non si costruisce dicendo “prendo il potere e da oggi c’è solo il socialismo”. La costruzione del socialismo è un percorso, un processo che richiede delle rotture, che non avvengono certo in un sistema di potere come quello attuale (ciò detto per tagliare la testa al toro alle illusioni di carattere neokeynesiano), ma questo non significa che dalla sera alla mattina si potrà eliminare di colpo il capitalismo, che ha mostrato una enorme vitalità. Il socialismo va rimesso in campo ma come processo sociale, non come piattaforma che se non realizzi in cinque minuti, sei già un traditore.

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Nell’appello è presente una forte discriminante nei confronti di tutta l’attuale casta politica comprese le forze di centrosinistra. Visto che questo appello è stato sottoscritto da alcuni esponenti di un partito che in varie realtà locali, anche in alcune regioni, è alleato con il centro sinistra, si tratta di una discriminante che vale solo a livello nazionale o anche a livello locale?

A mio avviso si tratta di una proposta generale, non solo locale. Ad esempio, a breve si terranno le elezioni comunali, ed ho notato come anche in molte realtà locali come Roma, Siena, Ancona, Brescia, si sia sviluppato un arcipelago di liste alternative al centro sinistra. Io penso che non si possa fare l’alleanza con il centro sinistra né a livello nazionale né a livello locale per una ragione molto semplice: il quadro di compatibilità alle amministrative ed alle nazionali è più o meno lo stesso. Non è un caso che qui a Roma Marino, candidato del centro sinistra nato come grande alternativa, abbia cercato il rapporto con i poteri forti romani. Infatti anche i comuni sono stretti tra patto di stabilità, privatizzazioni, politica edilizia e politica del territorio. Poi certo ci può essere il piccolo comune dove si fa l’alleanza comune contro il mafioso, per carità, ma non c’è dubbio che il percorso generale debba essere lo stesso. L’11 maggio ci saranno tre iniziative in contemporanea, non a caso. C’è l’assemblea del Partito Democratico, c’è l’iniziativa di Sel, e poi c’è la nostra. Quando sento discorsi come “dovete unire la sinistra” sento tanta retorica e malafede. Come sento retorica e malafede negli elogi alla trovata unità di Cgil Cisl e Uil. L’unità è un mezzo, non un fine. Se l’unità della sinistra significa sostenere le politiche del Partito Democratico, l’unità va rotta. Il Partito Democratico si riconvoca per provare a sopravvivere e sostenere un governo persino peggiore di quello di Monti. Il massimo dell’iniziativa politica di Sel è invece quello di dire “rifacciamo il centro sinistra che è fallito alle elezioni.” Praticamente dice di non sostenere questo governo ma vorrebbe ricostruire quel tipo di alleanza politica che ha portato a questo governo. Ma ha senso partecipare alla politica ufficiale in queste condizioni? Io dico che così non ha senso. O in Italia sorge un movimento di sinistra ed anticapitalista nuovo che occupi uno spazio politico oggi vuoto oppure la politica sarà ridotta a due finte alternative, tra il centro destra ed il centro sinistra, che come poi si è visto, nel momento buono, possono anche governare assieme perché sulle questioni di fondo la pensano allo stesso modo. Quindi per me la rottura con questo quadro politico è la condizione perché si possa partire per costruire qualcosa di diverso.

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Ci fai una prima valutazione dell’opposizione del Movimento 5 Stelle? Come ti sembra si stiano muovendo? Ritieni utile avviare un’interlocuzione con loro?

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Grillo ed il Movimento 5 Stelle, che io a differenza di altri non ho mai demonizzato, e che considero se possibile un interlocutore per molte battaglie, hanno sicuramente svolto un ruolo positivo. Se avessero preso pochi voti ed avessimo Bersani trionfante a governare con Monti saremmo in una situazione uguale dal punto di vista dei contenuti ma peggiore dal punto di vista del quadro politico. Hanno cioè avuto la capacità di dare espressione ad una protesta di massa contro il sistema. Ma il Movimento 5 stelle è concentrato solo sulla punta dell’iceberg del sistema di potere che ci governa e debolissimo su tutto il resto. Il loro difetto fondamentale, il loro limite, è quello di non avere un programma economico sociale, ossia oscillano da programmi di stampo socialista a programmi di stampo ultrà liberista. Mi è capitato recentemente di leggere ne “La Storia dell’Italia partigiana” di Giorgio Bocca tutte le vicissitudini del Partito D’Azione, che poi era un grande partito di partigiani. Alla fine lo stesso Bocca ricorda come in quel partito ci fosse un’unione comune per battere il fascismo, ma una volta abbattuto il fascismo c’erano due linee economiche opposte, i liberisti ed i socialisti. Pur nelle ovvie differenze mi pare che questo sia uno dei limiti anche del Movimento 5 Stelle. È giusto rompere questo sistema di casta e privilegio, ma la questione di fondo è: intacchiamo il potere economico oppure pensiamo che eliminati i ladri di galline la strada sia spianata? Nel tempo questa contraddizione esploderà loro in mano, perché è necessario scegliere da che parte stare, non si possono eludere le grandi questioni di carattere economico.

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