I giovani e le farfalle

Sulla classe dirigente e i nuovi "sfigati" eudomotici. [Giorgio Mascitelli]

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7 Marzo 2014 - 08.50


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di Giorgio Mascitelli

Anche John Elkann, ultimo (ma solo in ordine cronologico) di un’illustre serie di entomologi che avevano via via scoperto e classificato le specie dei bamboccioni, dei giovani choosy e degli sfigati, ha contribuito ad arricchire il nostro quadro tassonomico descrivendo la specie dei giovani che non lavorano perché stanno troppo bene a casa, per la quale mi permetto di proporre il nome scientifico di eudomotici.

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Anche a quest’ultimo entomologo, al pari dei suoi sfortunati colleghi, è toccato subire la rabbiosa reazione sia delle farfalle appena classificate sia di un pubblico istintivamente antipatizzante. In fondo era prevedibile che gli sfaccendati avrebbero preso la sua bonaria e oggettiva osservazione scientifica come una sorta di presa in giro delle loro miserie.

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Se ci si pensa, però, è curioso che una serie di persone che per ragioni professionali dovrebbero avere una certa consuetudine con la comunicazione mediatica incappi nel medesimo errore da principiante suscitando reazioni polemiche e sarcastiche proprio nei destinatari delle loro dichiarazioni. Credo che una spiegazione sia da rintracciare nel fatto che le classi dirigenti neoliberiste siano istruite a fare questi richiami alla gioventù di tanto in tanto con lo scopo didattico di abituarla alla precarietà generalizzata delle condizioni e dei luoghi di lavoro.

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Il problema è che questa prassi comunicativa, a occhio e croce, è nata negli Stati Uniti dove i poveri sono considerati, e spesso si autoconsiderano, dei perdenti che hanno avuto la sorte che si meritano, mentre in Italia vige ancora la visione francescana della dignità del povero, un solido archetipo nazionale che non può essere stato cancellato da pochi decenni di televisione e di berlusconismo.

La mentalità necessaria per formulare giudizi del genere implica un sentimento di irresponsabilità come classe dirigente rispetto alla situazione generale. È un tratto tipico delle classi dirigenti neoliberiste che si autorappresentano come gli aggiustatori o i medici di una situazioni prodottasi indipendentemente dalle scelte di quegli stessi gruppi dirigenti. È insomma la vecchia mentalità del mercato come prodotto delle leggi di natura, che si presenta come una forma di falsa coscienza e in taluni casi di vera e propria ipocrisia, visto che ormai anche da parte neoliberista si ammette che il meccanismo di mercato è un risultato dell’azione degli stati e delle norme giuridiche, a fare capolino.

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L’idea di governo che veicola tale senso di irresponsabilità è quella, per usare le parole di Giorgio Agamben, del “suo senso etimologico: un buon pilota – colui che tiene il timone, non può evitare la tempesta ma, se essa sopraggiunge, deve essere capace di guidare la sua barca”(1). Queste gaffe da parte di ministri o giovani ereditieri non sono solo dunque gaffe, ma le manifestazioni di una cultura o meglio di un’ideologia che in Italia per particolari ragioni storico-culturali assume la forma di gaffe.

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Il senso di irresponsabilità delle classi dirigenti ha chiaramente una funzione decisiva nella propria autorappresentazione perché permette di prendere decisioni che hanno delle evidenti ricadute sulla vita di tante persone senza effetti collaterali psicologici di coinvolgimento emotivo o addirittura di rimorso.

Fin qui l’ideologia neoliberista; in alcune di queste dichiarazioni vi è però anche un aspetto più prettamente italiano: quando un giovane sottosegretario, che ha conseguito un dottorato in modi all’altezza di ogni sospetto, dileggia chi si laurea fuori corso; quando l’azionista di un’azienda che ha condizionato pesantemente lo sviluppo economico del paese con ricadute anche sull’occupazione, sgrida i giovani disoccupati, è del tutto evidente che qui vi è anche un senso di irresponsabilità individuale.

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Di questo secondo senso di irresponsabilità, e da dove nasca, scrisse a suo tempo Leopardi nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani ed è perfettamente inutile parlarne: lo si può considerare però il moltiplicatore specificamente italiano della crisi internazionale, che spiega perché la nostra sia una crisi nella crisi, o meglio una crisi al quadrato.

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(4 marzo 2014)

Note:

1 La parola italiana governo e tutti i termini affini discendono dal latino gubernator il cui significato originale è timoniere.

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