Intervista di Luca Sappino a Emiliano Brancaccio.
Non
gliene passa una l’economista critico Emiliano Brancaccio a Matteo
Renzi. La riforma del lavoro, «sarà un buco nell’acqua», perché è
dimostrato «che più precarizzazione non vuol dire più occupazione».
Anzi, «la scommessa sulla corsa al ribasso salariale può portare
l’intera unione alla deflazione, e la deflazione rischia di aggravare la
crisi del debito». Brancaccio però è sicuro che Renzi terrà fede alle
sue promesse, nonostante le rassicurazioni date ad Angela Merkel sui
vincoli del debito, a cominciare dagli ottanta euro in busta paga.
«Sforando di qualche decimale», però, il vincolo che pubblicamente ha
assicurato di rispettare, perché quello che «si stia profilando è lo
scambio tra un po’ meno austerità e un po’ più riforme del lavoro».
Le
riforme immaginate da Renzi, lavoro in cima, hanno convinto la
Germania. E’ questo il cuore del vertice, non più una revisione
dell’austerità ?
«Mi sembra che in realtà si stia profilando
lo scenario che avevamo previsto nel “monito degli economistiâ€,
pubblicato lo scorso settembre sul Financial Times. La dottrina della
“austerità espansivaâ€, secondo cui l’austerità dovrebbe assicurare la
crescita, viene messa almeno temporaneamente ai margini della
discussione. Non a caso Merkel non si è concentrata molto sui vincoli di
bilancio. Piuttosto ha insistito su una nuova dottrina, che potremmo
chiamare della “precarietà espansivaâ€: l’idea è che attraverso ulteriori
dosi di precarizzazione del lavoro si dovrebbe generare crescita dei
redditi e dell’occupazione».
Dal tono non sembra molto convinto…«Il
rischio è che si passi da una vecchia a una nuova illusione. Già la
tesi della austerità espansiva non aveva riscontri empirici. Ed infatti,
invece di favorire la ripresa, l’austerity ha solo alimentato la
depressione. Ma nemmeno la nuova dottrina trova conferme nei dati: le
evidenze empiriche, dell’Ocse, come del Fondo monetario internazionale,
ci dicono che la flessibilità del lavoro non è correlata all’aumento
dell’occupazione. I contratti precari incentivano forse i datori di
lavoro ad assumere, ma favoriscono anche la distruzione di posti di
lavoro nelle fasi di crisi. L’effetto netto è prossimo allo zero».
Dal
vertice Renzi-Merkel oltre al plauso sulle riforme è arrivata la
conferma del fatidico limite del 3 per cento del deficit pubblico in
rapporto al Pil. Rispettando quel vincolo Renzi potrà tenere fede alle
sue promesse?«A fine maggio gli ottanta euro promessi in
busta paga ci saranno. Non è quello il punto. Il punto è che
effettivamente in questo preciso momento l’Italia si trova già oltre il 3
per cento, come ha notato la stessa Merkel».
Renzi dice però che chiuderà il 2014 con un deficit al 2,8 per cento. Lo ritiene verosimile?«La
scommessa di Renzi – rispettare il vincolo e abbassare le tasse – si
basa evidentemente sulla possibilità che il Pil aumenti, che sia cioè il
denominatore ad aumentare facendo scendere il rapporto».
E’ scettico ancora una volta.«Mi
sembra una scommessa ardimentosa. L’effetto espansivo che Renzi ha
previsto di ottenere con questa riduzione delle tasse sarà in realtÃ
modesto, e verrà in parte mitigato dalla diminuzione della spesa
pubblica. La spending review su cui tutti puntano può avere un effetto
contrario agli ottanta euro in busta paga, soprattutto quando si
tagliano spese sensibili, come ad esempio il trasporto pubblico».
A
proposito di spending review: Palazzo Chigi dice che il piano
Cottarelli non è definitivo, ma Renzi conferma di volerne ricavare sette
miliardi già per il 2014. Cottarelli oggi dice che saranno 5, anche
partendo da maggio. In una precedente audizione aveva detto che
“prudenzialmenteâ€, in metà anno, non sarebbero stati più di 3. Chi ha
ragione?«Per il 2014 il taglio della spesa sarà certamente
minore rispetto a quanto previsto da Renzi. E’ chiaro quindi che siamo
di fronte a un buco di bilancio. Anzi, in un certo senso dovremmo
augurarcelo. Anche perché, a prescindere dalle cifre, non esiste un
programma di revisione della spesa che sia credibile se realizzato in un
semestre. La storia ci insegna che le revisioni di spesa condotte in
fretta e furia si trasformano in tagli lineari brutali che colpiscono
sempre i soggetti più deboli e non aiutano certo la crescita del Pil».
Sta dicendo che, secondo lei, Renzi ha già previsto di fare debito?«Al
di là delle frasi di circostanza tipiche un vertice europeo, può darsi
che si stia pensando a uno sforamento di qualche decimale. Penso insomma
che in Europa siano iniziate le prove generali per l’annunciato scambio
tra un po’ meno austerità e un po’ più riforme del lavoro. Il problema,
come ho detto, è che anche la nuova dottrina della “precarietÃ
espansiva†rischia di rivelarsi un altro buco nell’acqua».
Se così fosse, quali sarebbero le implicazioni per l’eurozona?«Dietro
la nuova dottrina vi è l’idea che l’intera eurozona si salva solo se i
paesi periferici, a colpi di precarizzazione del lavoro, riescono ad
abbattere i salari, i costi e i prezzi. In questo modo si dovrebbe
colmare il divario di competitività rispetto alla Germania e si
dovrebbero quindi riequilibrare i rapporti di credito e debito
all’interno dell’Unione. La Storia tuttavia ci insegna che in genere
questo meccanismo non funziona. Esso infatti impone ai soli paesi
debitori il peso del riequilibrio. In questo modo l’intera Unione viene
trascinata in una corsa salariale al ribasso che può determinare una
deflazione generalizzata e una nuova crisi del debito. E’ la vecchia
lezione di Keynes, ma ieri a Berlino sembravano averla dimenticata».
Fonte: l’Espresso online, 18 marzo 2014.
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