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Pil e lavoro, dal governo solo propaganda

Lavoro: alle bugie del governo si contrappongono tre semplici verità. [Giorgio Cremaschi]

Pil e lavoro, dal governo solo propaganda
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18 Settembre 2017 - 08.20


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di Giorgio Cremaschi

Aumentano PIL e produzione industriale, cala la disoccupazione ufficiale e naturalmente il governo festeggia, anche se la stragrande maggioranza delle nuove assunzioni sono a termine e part time.

Renzi e Gentiloni vantano il loro milione di posti di lavoro e lo dicono merito del Jobs Act. A questa propaganda di regime, che non a caso usa le stesse cifre storiche di Berlusconi, si contrappongono tre semplici verità:

1) In tutto il mondo c’è una ripresa economica, molto fragile secondo tanti economisti. Negli USA il PIL è cresciuto del 3% , in GB di oltre il 2, così Germania e Francia. La crescita dell’1,4% del PIL dell’Italia è quindi una delle più basse e comunque segue un’onda generale, quindi il Jobs Act non c’entra nulla, altrimenti saremmo cresciuti più degli altri e non meno. In ogni caso dopo una lunga recessione e stagnazione questa ripresa né in Italia né nel resto del mondo è solida, anche perché non una delle cause economiche e finanziarie che hanno provocato la crisi é stata rimossa.

2) Se è vero che si é raggiunto il numero di occupati del 2008, come qualità questa occupazione è molto diversa. TUTTE le nuove assunzioni sono precarie, non solo i contratti a termine, ma anche quelli formalmente a tempo indeterminato. Non bisogna mai dimenticare infatti che con il Jobs act è stato abolito l’articolo 18 per tutte le nuove assunzioni, quindi chi entra al lavoro con contratto a tempo indeterminato può essere licenziato in qualsiasi momento, senza possibilità di reintegra. I 23 milioni di oggi sono composti da una percentuale molto più alta di precari di quelli del 2008. Inoltre una parte di essi è formata da chi È COSTRETTO a restare al lavoro dalla legge Fornero. Se poi dovessimo misurare le ore lavorate, scopriremmo che molti dei nuovi assunti fanno orari ridotti sottopagati Gli occupati supersfruttati, precari, anziani oggi sono assieme al doppio di disoccupati ufficiali rispetto a ieri. Nel 2008 il tasso di disoccupazione ruotava attorno al 6%, oggi sta sempre attorno all’11. Anche questi dati andrebbero considerati prima di spargere stupido ottimismo da spot pubblicitario.

3)Infine, per realizzare questo obiettivo il governo Renzi ha speso dai 15 ai 20 miliardi di incentivi alle imprese e quello Gentiloni vuole aggiungere la sua nuova quota. Qui bisogna affermare una verità che stranamente i governanti cultori del libero mercato dimenticano. Nessuna impresa assume lavoratori di cui non abbia bisogno, neppure se il governo dà un bel premio per ognuno di essi. Così i miliardi del Jobs Act sono andati ad imprese che in gran parte quelle assunzioni le avrebbero fatte COMUNQUE. Sono stati un regalo ai profitti aziendali e non alla occupazione. Nessuno dei soldi pubblici spesi ha creato nuovo lavoro. Tutto questo ha drogato un mercato del lavoro che si è abituato agli incentivi, per cui se ci fosse una nuova fermata produttiva la catastrofe sarebbe enorme, anche perché, come si è detto, tutti i nuovi assunti sono precari o licenziabili in qualsiasi momento.

È di questi giorni il fallimento annunciato delle Acciaierie di Piombino, svendute dal governo ad un imprenditore fantasma che si è rapidamente dileguato. Ecco, lì si stanno cancellando migliaia di posti di lavoro qualificati a tempo e salario pieno. Lo stesso avviene in Alitalia, ad Almaviva, si preannuncia per l’Ilva e per tutte le grandi aziende le cui crisi non si risolvono mai. Sono 166 per 200000 dipendenti le crisi insolute parcheggiate al Ministero dello Sviluppo ( si fa per dire) Economico. Poi c’è la distruzione della ricerca – sono appena stati lasciati a casa 22 precari dell’ISPRA – i tagli alla scuola ed al lavoro pubblico, lo smantellamento dei servizi sociali.

I liberisti al governo, cioè il PD, spiegano che tutto questo è inevitabile perché il mondo cambia, finiscono i vecchi lavori e ne nascono dei nuovi. Peccato però che tutti i lavori che finiscono siano quelli di 40 ore settimanali , pagate secondo i contratti. Mentre gran parte dei nuovi impieghi sono fondati su un numero molto inferiore di ore, pagate pochi euro l’una. Qui sta il grande imbroglio: i nuovi lavori non sono altro che i vecchi lavori poveri riorganizzati, facchinaggio, pulizie, servizi privati. Saltano i posti da 1500 euro al mese e dilagano quelli da 600. Per questo mentre formalmente aumenta l’occupazione, cresce anche l’emigrazione, interna e verso l’estero, soprattutto di persone qualificate. E l’incremento dell’occupazione femminile non supera la disparità salariale e di qualifiche con gli uomini, ma al contrario l’aggrava con il supersfruttamento dei lavori sottopagati.

In conclusione i dati sulla occupazione non sono affatto il segno di un superamento della crisi sociale, ma anzi per certi versi significano un suo aggravamento. È il modello americano, che nasconde la disoccupazione di massa con milioni di poveri che lavorano, senza minimamente migliorare la loro condizione. lo stesso accade da noi, dove contemporaneamente aumentano gli occupati e coloro che vengono dichiarati ufficialmente poveri. Se l’Istat riproporzionasse gli occupati alle ore effettivamente lavorate ed al salario percepito, i 23 milioni diventerebbero molti meno. Ma come si sa, oggi basta un’ora di lavoro a settimana per essere considerati ufficialmente occupati, nella voce part time.

Il lavoro degrada verso la schiavitù e i governanti vantano il successo. Come l’altoparlante dei supermercati che annunzia l’offerta di due prodotti al prezzo di uno.

(15 settembre 2017)

 

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