‘
Al fine di orientarsi adeguatamente nella galassia della comunicazione in cui siamo immersi, è scontato l”accordo sull”opportunità di dedicare particolare attenzione a sviluppare nei giovani il necessario senso critico nel corso della loro formazione culturale.
Meno scontato, però, è che cosa s”intenda per educazione ai media, e la definizione dei percorsi e degli scopi da conseguire con tale educazione. A secondo della risposta a tali quesiti si possono prefigurare prassi educative ed esiti formativi molto diversi ed anche opposti.
Andiamo per ordine. Che cosa significa educare ai media nella scuola? È preliminare intendersi sul significato della parola “educare”. Educare è parola latina composta da e + duco, cioè portare dal basso verso l”alto; il “basso” sta ad indicare una mente configurata da stili di vita, convinzioni e criteri di giudizio derivati in modo acritico dal senso comune della società nella quale ciascuno è nato e vive.
L”educazione è dunque un percorso di uscita dall”ordinario paesaggio nel quale si è immersi, per fornire alla mente strumenti di conoscenza di realtà e forme di esistenza diverse da quelle cui siamo stati abituati.
Quest”uscita dall”esperienza immediata allo scopo di elevare la mente è descritta in modo straordinario da Platone nel celebre mito della caverna (Repubblica, libro VII). Ricordiamolo in estrema sintesi: Platone rappresenta gli uomini come prigionieri in una caverna, con le spalle rivolte all”imboccatura e lo sguardo sempre orientato verso la parete di fondo, su cui sono proiettate le ombre della realtà e del paesaggio esterno alla caverna. I prigionieri sono certi che le sole cose reali siano le ombre in movimento da cui non hanno mai distolto lo sguardo. Quando poi uno di questi prigionieri fosse condotto fuori della caverna rimarrebbe abbagliato dall”improvviso contatto diretto con la luce del Sole e vedrebbe all”inizio figure offuscate, poi, progressivamente, abituandosi alla luce, vedrebbe la vera realtà e capirebbe che le figure che si muovono sul fondo della caverna sono semplici ombre prive di consistenza e parola.
Se poi, prosegue il mito, quest”uomo che ha posto lo sguardo verso l”esterno tornasse nella caverna per spiegare agli altri prigionieri che le figure che essi vedono sono riflessi distorti degli oggetti reali esistenti fuori della caverna, sarebbe prima coperto di ridicolo e, infine, ucciso, perché i suoi compagni, ormai adattati alla realtà delle ombre, non sono disponibili a mettere in dubbio la loro visione delle cose.
La cultura, dunque, consiste nell”intraprendere un percorso che, con fatica, porti “fuori” dall”ordinaria visione della realtà trasmessa dal senso comune, quindi un percorso che consenta di emanciparsi dalle ombre. Il messaggio platonico, insomma, è che l”educazione non consiste nell”imparare a manipolare le ombre, ma imparare a capire che sono ombre.
A solo titolo di esempio, per calare questo discorso in alcune situazioni pratiche della didattica scolastica in cui possono convergere percorsi disciplinari e educazione ai media, facciamo riferimento a due fra le tante questioni rispetto a cui è fondamentale sviluppare negli studenti un adeguato senso critico, e cioè il ruolo della pubblicità e la lettura dei quotidiani.
Tra le ombre più invadenti della caverna contemporanea ci sono quelle della pubblicità . È un fenomeno totalizzante e ossessivo rispetto a cui il giovane può maturare una visione critica, a condizione che la scuola, attraverso i suoi percorsi disciplinari, gli faccia comprendere:
a) il contesto storico e le specifiche esigenze del modo di produzione capitalistico che hanno determinato nascita e diffusione della pubblicità ;
b) le ragioni storico-economiche che hanno portato nella fase attuale la comunicazione ad essere concepita come “arma di distrazione di massa” (soprattutto quella televisiva) in funzione della vendita di pubblicità ;
c) attraverso quali procedure e controlli si esercita la dittatura della pubblicità ;
d) quali mutazioni antropologico-culturali hanno reso possibile formulare l”odierna concezione dell”essere umano come “consumatore che esprime il proprio essere attraverso le merci che acquista”, ecc….
Per realizzare questo percorso educativo bisogna dunque uscire dalla caverna della comunicazione pubblicitaria allo scopo di acquisire le necessarie conoscenze storico-culturali che ci consentano, poi, di rientrare nella caverna con uno sguardo della mente in grado di vedere il mondo con occhi diversi.
Discorso analogo vale per la lettura dei quotidiani, un progetto attivo in molte scuole: ultimamente i quotidiani e televisioni stanno preparando il terreno per predisporre le menti ad accettare l”idea di una possibile guerra all”Iran. Per educare il giovane lettore a riconoscere la distorsione e la menzogna, non mancano occasioni per fargli fare un”esperienza culturale decentrata: ad esempio, nel corso dello studio della seconda guerra mondiale si possono analizzare i contenuti propagandistici e ideologici con cui la stampa tedesca, francese e inglese giustificavano la guerra.
Analogo discorso può essere fatto per l”esame delle motivazioni (armi di distruzione di massa, esportazione della democrazia…) con cui la stampa ha preparato e giustificato la recente guerra in Iraq.
Sensibilizzato sul tema di come i media diventino strumento di propaganda del potere in una situazione storica decentrata rispetto all”attualità , ecco che al giovane lettore abbiamo fornito un esempio di metodo critico da applicare anche al presente. Ho fatto esempi tratti dalla pratica scolastica utilizzando contenuti storici e filosofici, ma è ovvio che ciascun docente è in grado di operare con analoga finalità servendosi dei propri contenuti disciplinari.
Se muoviamo da queste premesse, è aggiornato quel percorso di formazione che con un occhio molto attento alle fondamentali questioni del nostro tempo, fornisce strumenti culturali di comprensione e non di addestramento.
Confondere i due piani (la comprensione con l”addestramento) porta a conseguenze che negano il concetto stesso di educazione: porta a non uscire dalla caverna, quindi a non educare. Un esempio per visualizzare meglio i termini del problema. Serena Ferrara scrive un articolo su Megachip, Media e minori, al confine tra protezione e educazione, in cui afferma che …«una riflessione responsabile sulla riabilitazione del sistema educativo-formativo costituisce senz”altro una delle grandi priorità del Paese». Giusto. Aggiunge, però: «Dalla sua valorizzazione dipende la possibilità di uscire dalla crisi e di offrire ai giovani gli strumenti per essere competitivi in un”economia sempre più globalizzata».
Stiamo attenti, perché assumere come dato di fatto l”esistente, preclude ogni possibilità di sviluppare un vero senso critico. Non c”è dubbio che ci siano dei momenti della formazione che esigano l”addestramento: è chiaro che se nella mia vita professionale volessi dedicarmi al marketing, dovrei immergermi nelle tecniche del marketing. Ma questo è addestramento, non educazione. Allora, per quanto riguarda le finalità del sistema educativo nel suo complesso, correggerei la conclusione della Ferrara in questo modo: «Dalla sua valorizzazione [del sistema educativo-formativo] dipende la possibilità di fornire ai giovani gli strumenti per comprendere come mai oggi viviamo in un mondo che ci impone di essere competitivi e che ci fa credere che lo sviluppo, inteso come crescita del PIL, e la cosiddetta globalizzazione siano una sorta di destino immodificabile a cui adattarsi e a cui essere funzionali».
Nella scuola, non si deve addestrare nessuno a saper utilizzare le ombre, perché questo non è lo scopo dell”educazione. Dalla Rivoluzione francese in poi, lo scopo dell”educazione è stato individuato nella formazione dell”uomo e del cittadino: certamente declinando questa finalità nello specifico tempo storico, elaborando per la scuola adeguati assi culturali, ma senza perdere di vista che si tratta sempre di realizzare finalità e valori universali quali l”autonomia culturale e la consapevolezza civica della persona, cioè valori indipendenti e separati dalle esigenze contingenti degli apparati produttivi. Questa lezione della storia circa la necessaria “separatezza” della scuola rispetto ad altre istanze presenti nella società , in primis quella economica, oggi è dimenticata.
Questa dimenticanza spiega il perché di alcuni apparenti paradossi che si riscontrano nei dibattiti sulla scuola, in ambito politico e culturale. A un primo sguardo sembra che sul tema della scuola si scontrino posizioni molto diverse e incompatibili.
Un esame più attento rivela però che spesso proposte che provengono da sponde politiche e culturali apparentemente distanti, nella sostanza convergono sull”idea di rendere funzionale la scuola alle istanze della produzione e del consumo.
Di seguito, solo qualche esempio clamoroso.
Beppe Grillo, protagonista di un”opera dirompente e meritevole su tante questioni del nostro tempo, quando parla di scuola ripropone le famigerate tre “i”, Internet, Inglese, Impresa (rimando in proposito all”ottimo articolo di Michele Maggino (Grillo e la scuola. Quasi quasi, Gelli…).
«Il Fatto quotidiano» – giornale cui vanno riconosciuti grandi meriti, e che nel fondo del suo primo numero dichiara espressamente “Linea politica la Costituzione” – nel pieno della battaglia per la difesa della scuola pubblica, affida il 3 settembre 2010 il fondo del giornale (Forse c”è un”altra strada) a certo Michele Boldrin che indica come strada da perseguire per riformare la scuola un delirante liberismo che capovolge il dettato costituzionale.
Per non dire poi dei tanti intellettuali, che muovono da nobili premesse e finiscono poi o per delegittimare il ruolo della scuola o per allinearla agli imperativi del nostro tempo.
Temo non siano incidenti di percorso ma difetto di analisi. Sono questioni su cui auspicherei un”ampia discussione.
Â
Articolo correlato: Fabio Bentivoglio Scuola e comunicazione: è una questione culturale Megachip 11-4-2007.
Â
Â
‘