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A proposito di "American Moon"

La recensione di Giulietto Chiesa al film documentario "American Moon" di Massimo Mazzucco.

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3 Settembre 2018 - 06.06


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di Giulietto Chiesa 

 

Mentre al Festival di Venezia si è ri-celebrata la conquista della Luna, con il film “First Man” prodotto da Hollywood, mi è capitato di vedere il documentario “American Moon” di Massimo Mazzucco. Questo documentario mette seriamente in dubbio che sulla Luna ci siamo andati.

Prima di parlarne vorrei fare una premessa di tipo personale: sebbene in questi anni io non mi fossi mai pronunciato sullo sbarco sulla Luna, ho dovuto subire insulti, sfottò, filippiche numerose, ripetute, sempre uguali. Come se avessi proclamato urbi et orbi che gli americani sulla Luna non c’erano mai andati. E avessi in tal modo dimostrato di essere un definitivo, inguaribile, pazzo (e via smoccolando) “complottista”.

In genere questi sfottò si materializzavano nel corso delle discussioni sull’attentato terroristico dell’11 settembre 2001. Siccome io sostenevo (e lo sostengoo tutt’ora, con immutata certezza) che quell’ ”operazione” fosse una “false flag” — cioè una operazione “sotto falsa bandiera”, realizzata da una banda di assassini radunati per l’occasione, arruolati da una coalizione di pezzi dei servizi segreti (in cui CIA, FBI, Pentagono e Mossad giocarono il ruolo cruciale) — la cosa appariva ai più come la prova che io fossi pazzo. E, come tale, sicuramente potevo credere a tutte le leggende metropolitane, inclusa quella dei falsi allunaggi, inclusi i rettiliani, inclusi i terrapiattisti eccetera eccetera. È noto che, da quando esistono i social networks, le leggende metropolitane si moltiplicano di giorno in giorno.

Io, per alcuni anni, feci una gran fatica a rispondere banalmente che non ero in condizione di occuparmi di tutto, incluse tutte le leggende metropolitane, e che ero disposto a discutere seriamente solo delle questioni che conoscevo, su cui mi ero informato e avevo scritto.

Ma fu uno sforzo inutile. Coloro che mi irridevano non avevano letto una sola riga di ciò che avevo scritto e, quindi, erano impermeabili ad ogni argomentazione. Inoltre fu presto evidente che, su certe questioni, esistessero intere squadre di professionisti della disinformazione, pagate direttamente o indirettamente dagli organizzatori dell’attentato terroristico dell’11 settembre. Alle quali si associavano, in massa e volontariamente – cioè gratis – migliaia di cretini naturali, convinti di sapere cose che non sapevano, ma mossi dal sacro fuoco della verità ufficiale. Si chiama “sindrome di Stoccolma”. Non va dimenticato che tutti i grandi media occidentali (quelli sì, pagati dagli organizzatori del crimine), svolsero (e svolgono tutt’ora) il ruolo di “gatekeepers”, consistente nella duplice, cruciale funzione di a) impedire che le versioni alternative a quella ufficiale giungano agli occhi e alle orecchie del grande pubblico e, b) nel malaugurato caso in cui le porte fossero rimaste incustodite per un attimo, scatenarsi nella demolizione personale, individuale, di tutti coloro che fossero anche semplicemente dubbiosi.

Finisco qui la premessa personale. Che era necessaria per spiegare, a chi legge questa nota, le ragioni della mia prudenza. Va bene doversi impegnare a difendere una tesi che condividevo in toto, e alla quale ho dedicato molto studio e tempo. Una tesi, tra l’altro, assolutamente decisiva per capire tutti, proprio tutti, gli sviluppi politici e geopolitici successivi, fino ai giorni nostri, nel corso di ben 17 anni. Ma chi me lo faceva fare di aprire un altro fronte, sul quale non avrei potuto comunque dire alcunchè senza averlo ben studiato?

A intaccare la mia ritrosia e a condurmi su questa riva, dove mi trovo in questo momento, è stata la tenacia di Massimo Mazzucco. Del quale, per giunta, avevo ben potuto misurare la professionlalità di giornalista, di regista, di analista politico proprio sul tema che ha occupato una così grande parte della sua e della mia attività giornalistica. Il suo film “11 settembre: la nuova Pearl Harbor” è una straordinaria enciclopedia sul più grande attentato terroristico della storia umana. Non esiste nulla di paragonabile al mondo. E solo un totale imbecille può uscire da quella visione ancora convinto che 19 terroristi islamici, sotto la guida di Osama bin Laden, abbiano organizzato e attuato l’11 settembre.

Sapevo che Massimo stava lavorando alacremente al film “American Moon” e mi ero riproposto di colmare finalmente una mia lacuna. Essendo certo — appunto conoscendo il valore di Mazzucco — che avrei trovato in quel suo lavoro ciò che occorreva per “farsi un’idea” non superficiale, non approssimativa. Adesso che l’ho visto, per ben due volte, vi comunico la mia meditata conclusione.

Che è questa: la versione ufficiale dell’intera serie delle missioni Apollo non regge alla verifica dei fatti. Se c’è una verità, non è quella che è stata mostrata al mondo.

D’altro canto mi pongo la questione: si può affermare che nessuna delle sei missioni Apollo (Apollo 11, 12, 14, 15, 16, 17) di cui la versione ufficiale afferma il successo pieno, sia mai giunta effettivamente sulla Luna? Penso che, allo stato dei fatti non sia possibile fare un’affermazione come questa. Neanche l’autore del film lo fa.

Ma l’analisi dettagliatissima di “American Moon” conduce alla conclusione inequivocabile che tutta la serie di missioni Apollo è farcita di trucchi e menzogne che nascondono problemi cruciali. Fin dove siano giunti i trucchi e dove cominci una qualche verità è difficile da scoprire. L’autore di “American Moon”, del resto, non ha toccato molti punti aperti, per esempio non si è addentrato nella pubblicistica web russa (cioè niente di ufficiale), dove c’è una valanga di argomenti molto seri che mettono anch’essi in dubbio ciò che l’America ha raccontato al mondo. Non ha toccato tutta la – a mio avviso rilevantissima – serie di allusioni alla missione Apollo di Stanley Kubrick, contenuta nel suo film “Shining”. E molto altro. E ha fatto bene, preferendo restare sul terreno solido dei fatti documentati e verificabili, evitando i toni “complottistici”, e ponendo delle domande legittime alle quali non è possibile non rispondere. E, se la risposta valida non si trova, allora non resta che concludere che la NASA ci ha mentito.

Non posso approfondire, in una recensione come questa, tutti i punti evidenziati da Mazzucco. Vi dirò quelli che hanno lasciato in me una traccia indelebile. Sono tre essenzialmente:

a) Le interviste con i fotografi illustri: Peter Lindbergh, Aldo Fallai, Toni Thorimbert e Oliviero Toscani, tutta gente con oltre 40 anni di esperienza ai massimi livelli internazionali. L’analisi delle fotografie della NASA da parte di questi esperti giunge alla conclusione unanime che si tratta di fotografie realizzate in uno studio cinematografico, con luce artificiale (e non con il sole). Uno studio opportunamente attrezzato, ma non in grado di nascondere l’evidenza all’occhio esperto dei professionisti.

b) La sparizione dei nastri originali della prima passeggiata lunare di Neil Armstrong, ovvero la sparizione del documento che, a ragione, potrebbe essere catalogato come uno dei più importanti di tutta la storia dell’umanità: il primo passo di un essere umano su un altro corpo celeste. Unita alla sparizione dei dati telemetrici della missione (che indicavano l’esatta posizione della navicella nello spazio) questa sparizione rimane tanto inspiegabile quanto clamorosa.

c) La questione delle “Fasce di Van Allen”. Si tratta di due fasce altamente radioattive che circondano la Terra ad una altezza che va dai 1.500 ai 40.000 chilometri circa. E’ quindi necessario attraversarle per arrivare sulla luna (che si trova a circa 400.000 km. di distanza).

Per intenderci: tutti i voli spaziali della storia, da Gagarin alle missioni americane Gemini, le sovietiche Soyuz, lo Shuttle, la stessa stazione spaziale internazionale, è tutto avvenuto sempre all’interno di una sfera di raggio molto inferiore ai 1000 chilometri, cioè molto al di sotto delle Fasce di Van Allen. Tutto, eccetto appunto le missioni Apollo, che le avrebbero attraversate ben 18 volte, 9 all’andata e 9 al ritorno.

Di esse si sa (lo rivelò il loro scopritore) che sono altamente radioattive e — egli presunse — molto pericolose per un essere vivente che dovesse attraversarle. Quali siano i livelli esatti di pericolo che esse rappresentano, però, al momento attuale non lo sa nessuno. Tant’è vero (ecco qui una delle scoperte più sorprendenti del film di Mazzucco) che recentemente la NASA ha realizzato un documentario per spiegare al grande pubblico che, prima di mandare delle persone attraverso quella zona pericolosa, è necessario valutare a fondo i problemi posti dalle fasce radioattive.

Ma allora, come hanno fatto ad andarci 50 anni fa, senza nessuna protezione particolare?

Nel film è anche presente un’intervista all’astronauta Alan Bean, scomparso di recente. Come astronauta di Apollo 12, Bean è uno dei pochissimi esseri umani ad aver attraversato le fasce radioattive. Eppure nell’intervista – forse perchè colto di sorpresa dall’intervistatore – dichiara di “non credere di essere andato abbastanza in alto da raggiungerle”. Ma, per arrivare sulla Luna, quel punto avrebbero dovuto oltrepassarlo, eccome!

Ora, visto che gli astronauti sono tornati tutti vivi, resterebbe l’ipotesi che le “Fasce”, pur esistendo, non siano così perniciose come Van Allen aveva detto. Ma questo cozza con il fatto che oggi la NASA stessa affermi la necessità di studiarle a fondo, prima di mandare gente in quella zona dello spazio, dimenticandosi di averle già attraversate con facilità mezzo secolo fa.

Aggiungo una cosa che mi ha fatto una grandissima impressione, tanto che ho voluto rivederla più volte. La prima conferenza stampa dello storico equipaggio di Apollo 11, Armstrong, Collins e Aldrin. Quei tre si presentano di fronte alla stampa mondiale non come dei trionfatori ma come esseri avviliti, incerti, impauriti. Sono entrati nella Storia ma balbettano, si guardano l’un l’altro come temessero che qualcuno commettesse qualche errore, timorosi di commetterne a loro volta. Impressione mia, forse ingannevole. Ma prego chi guarderà “American Moon” di porre attenzione a quelle immagini in particolare.

Ultima nota, questa volta divertente: ad ogni passaggio del film, Mazzucco si preoccupa di presentare anche le tesi dei debunkers, ovvero di coloro che sostengono la versione ufficiale della NASA, e che si sono autoincaricati di “smontare” i sospetti di cui stiamo parlando.

Mazzucco riporta ogni volta i loro disperati tentativi di spiegare l’inspiegabile e dimostra, a sua volta, pazientemente, perfino con una punta di sadismo, l’inanità dei loro sforzi. Tra i “debunkers” presi in giro c’è anche – provate a indovinare? – l’italiano Attivissimo, che in questo caso rappresenta una voce particolarmente autorevole nel dibattito, visto che è collaboratore ufficiale del sito della NASA sulle missioni Apollo. Ebbene, la perla della sciocchezza più sesquipedale spetta poprio a lui, l’Attivissimo nazionale, che in una sua conferenza cerca di giustificare la sparizione dei nastri originali dicendo che “nastri del genere sono molto costosi, per cui se nessuno li richiede vengono riutilizzati, perchè non si lasciano lì a marcire”. Anche se contengono, come abbiamo detto, il documento più importante della storia dell’umanità.

Ma, ripeto, è l’intero film che va visto e valutato nel suo insieme. Mazzucco non afferma mai con certezza che sulla Luna non ci siamo andati, ma pone una lunga serie di domande legittime, alle quali è necessario dare una risposta valida, se si vuole continuare a sostenere che sulla Luna invece ci siamo andati.

 

 

 

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