Capire la Russia

L’attacco, via Ucraina, è simultaneamente contro la Russia e contro l’Europa. Ma la vittoria implica lo sterminio del nemico, non più la sottomissione [Giulietto Chiesa]

Capire la Russia
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5 Agosto 2014 - 10.12


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Prefazione
di Giulietto Chiesa al libro di Paolo
Borgognone, “Capire la Russia. Correnti politiche e dinamiche sociali nella
Russia e nell”Ucraina postsovietiche”
(Zambon editore, in uscita
nell’autunno 2014).*

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Mai
come in questo momento l’idea – il problema – di “capire la Russia”, “conoscere
la Russia
” è importante, decisivo
per la pace mondiale
. Non perché la Russia costituisca una minaccia, ma perché coloro che hanno
lanciato l’offensiva contro la Russia – un’offensiva
che si propone le sua distruzione
– non hanno una cultura (politica, etica,
storica) in grado di misurare i pericoli
dell’impresa
che si accingono a realizzare.

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Mi
riferisco, naturalmente, agli Stati Uniti d’America, che di questa impresa sono
gl’ideatori e i principali propugnatori. E che, in un ricorso storico davvero agghiacciante, si
apprestano a ripetere le gesta di quei russi, tutti riassunti nella tragicomica
figura di Boris Eltsin, che
disfecero l’Unione Sovietica.

Le
affermazioni contenute in queste prime righe sono tutte, in varia misura, controcorrente, cioè contro le idee che
il mainstream va spargendo a piene
mani, tous azimuts direbbero i
francesi, dal 1989, l’anno fatale della caduta del famoso e famigerato Muro di
Berlino. Dunque sarà mio compito argomentare in dettaglio ciascuna di esse. Che
sarà il mio modesto contributo e accompagnamento di questo libro, che le tocca
quasi tutte.

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Dirò
subito che i materiali, raccolti e commentati da Paolo Borgognone sono il
ritratto di un’epoca di transizione concettuale, e sono, al contempo,la
fotografia di una totale vittoria e di una totale sconfitta. La vittoria è quella dell’Impero; la sconfitta è non solo quella del comunismo, o del “socialismo reale”
che dir si voglia, ma dell’intera storia
della sinistra mondiale
così come si è dipanata nel corso degli anni che
vanno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai tempi nostri. Della sconfitta
qui si parla molto, e ne parlerò anch’io. Della vittoria si può dire subito –
anticipando le argomentazioni di merito – 
che è lo spartiacque tra una
vertiginosa salita e una rovinosa caduta
. La vertiginosa salita è quella
dell’Impero. Quanto rovinosa sia la sua caduta è ancora da vedere, così com’è
da vedere su chi, tra gli abitanti di questo nostro pianeta, questa rovina si
rovescerà. Ma poiché la vittoria è stata travolgente e vertiginosa,
coinvolgendo gran parte del pianeta, la sua caduta non potrà che essere
rovinosa. Anche perché – aggiungo – c’è un grande quantitativo di dati che
indicano che non avverrà lentamente, nemmeno gradualmente, ma piuttosto si presenterà
come un collasso o, per meglio dire, come una serie di collassi.

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Perché
ho fissato la data del 1989 come spartiacque? Perché esso è stato il momento
della vittoria. Il momento in cui la vittoria fu percepita come completa. Che
fu subito considerata come definitiva all’interno dei confini del “miliardo
d’oro”. Terminava il sistema del comunismo;terminava la grande paura
dell’Occidente e dell’America. Francis Fukuyama decretava la fine della storia e tutti apparvero
contenti. Sia in Occidente che in Russia. Situazione fantasticamente
favorevole, quella in cui i vincitori e
gli sconfitti (in grandissima parte) provano gli stessi sentimenti di
liberazione da un incubo
.  Ecco, il
dato paradossale, incongruo, è proprio questo: come mai, nel momento della
vittoria, della liberazione dalla paura,l’Occidente capitalistico, guidato con
mano fermissima e implacabile dagli Stati Uniti, scatena un formidabile attacco ideologico, culturale,
politico, diplomatico, militare
contro un nemico che ha appena dichiarato come non più esistente, debellato, liquidato, addirittura “per
sempre”?

I festeggiamenti per
la “caduta del Muro” non sono mai terminati da allora.
Continuano tutt’ora e, si presume,
continueranno ancora per qualche tempo, di anniversario in anniversario. Ma,
tra un lancio di fuochi d’artificio e un altro, non cessa – anzi si accresce –
l’incongruenza. Il 1989 dice infatti molte
cose simultaneamente
e non tutte
così in linea
le une con le altre. Dice, per esempio, che l’America è stata
più forte dell’Unione Sovietica, ma non spiega l’attuale presenza della Russia
sulla scena mondiale. Dice, per esempio, che il capitalismo ha demolito il
socialismo, ma non spiega perché il mondo di oggi non è niente affatto né
sicuro, né pacificato. Non spiega soprattutto un dato inquietante
perl’Occidente trionfatore: come mai, sparito il nemico principale, cui
venivano attribuite tutte le colpe, in quanto “Impero del Male” non sono
spariti i problemi? Fino a quel momento
la tenuta dell’unità dell’Occidente era stata determinata dalla paura
dell’Oriente
, impersonata dall’Unione Sovietica. Era in nome di quella
paura che le élites di Stati Uniti ed Europa si erano cementate tra loro: per
fare fronte a una minaccia percepita come mortale. Ma, sparito il nemico,
divenne subito necessario costruirne un altro, artificialmente. E questa
necessità derivava dal presentarsi di una crisi
gigantesca
, di tipo nuovo e inedito, le
cui cause non potevano essere addebitate a un nemico esterno
. Dunque, per
evitare che qualcuno si facesse venire in testa idee improprie e inaccettabili,
come ad esempio quella che esisteva, da qualche parte, un virus interno al
capitalismo globalizzatore, in grado di mettere a repentaglio la sua
sopravvivenza, occorreva creare un altro nemico esterno.

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Va
detto che, in Occidente, vi fu chi aveva indicato l’esistenza di quel virus, e
ne aveva delineato con precisione le sue caratteristiche. Non erano “di
sinistra”. Ma costoro furono messi in un angolo, isolati, irrisi, prima di
poter fare danni maggiori. Mi riferisco al Club di Roma e all’opera collettiva,
intitolata “I limiti dello sviluppo”,
che vide la luce all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. Il virus era
appunto rappresentato da quei “limiti”.
Che erano invalicabili ma erano incompatibili
con l’ideologia della crescita infinita
. Per questo vennero cancellati
“sulla carta” e nascosti allo sguardo delle moltitudini , poiché non si poteva
parlare di limiti a chi era destinato a divenire consumatore compulsivo. Non
era ammessa questa “bestemmia” alle orecchie di chi sarebbe stato presto
privato di ogni possibilità di reazione di fronte al corso infausto degli
eventi che si stavano preparando.

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Cancellati
sulla carta non significava cancellarli dal mondo reale. Ma, nel frattempo, il mondo reale era stato opportunamente
trasformato in Matrix
, e gli stessi suoi creatori avevano già ceduto alla
tentazione di credere che quel mondo fosse la nuova realtà alla quale tutto e
tutti avrebbero dovuto adattarsi: la natura e gli uomini.

Eliminata
dunque – attraverso il controllo della
comunicazione e delle menti
-l’interpretazione e l’anticipazione della
gigantesca crisi di sistema che si stava preparando, restava aperta solo
l’opzione di creare un nuovo nemico. Naturalmente esisteva anche l’opzione
razionale, consistente nel prendere atto dei limiti dello sviluppo, che erano
incompatibili con la prosecuzione della crescita infinita, e procedere a un
ridisegnamento dell’architettura internazionale che permettesse di gestire una transizione “multipolare” verso un
equilibrio tra Uomo e Natura
.

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Ma
i centri di guida dell’Occidente, il suo “ponte di comando” erano mentalmente
agli antipodi di una tale prospettiva.

Avevano
appena sgominato un’alternativa empirica, per quanto imperfetta, al loro
dominio, e non erano certo inclini a creare, essi stessi, un’alternativa
razionale ad esso. Per questo fu “necessario” inventare il nuovo nemico:
“verde” al posto di quello “rosso”; islamico al posto di quello comunista. Fu l’11 settembre 2001. Tutto l’Occidente
divenne, in quel momento, l’America, e il cemento venne rinforzato con l’avvio
della “guerra infinita” contro il
terrorismo internazionale. Guerra che è in corso da 13 anni e che è in evidente
e continua intensificazione, sebbene
la connotazione del termine terrorismo venga di volta in volta modificata dalle
circostanze.

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È
dunque necessario documentare le quattro affermazioni collocate all’inizio di
questo scritto. Cominciando dalla prima. La
Russia è “una minaccia”?
E,
eventualmente, per chi?
I dati ci dicono che la Russia è un paese
capitalistico e, giuridicamente parlando, è una democrazia liberale. Dal punto
di vista istituzionale si può affermare senza tema di smentita, che è uno “stato di diritto”. Un diritto relativo
– si può convenire – ma sempre uno stato di diritto. Del resto, con i tempi che
corrono, con le radicali modificazioni in corso del concetto di stato di
diritto (si prenda ad esempio il modello europeo, partito con l’idea di farne
una democrazia, finito con una pratica autoritaria), e con le trasformazioni da
tempo in atto negli Stati Uniti, dove il Patriot
Act
è in effetti uno stravolgimento autoritario dei principi fondanti della
stessa democrazia americana. Dunque, con i tempi che corrono, pretendere che la
Russia sia uno stato di diritto perfetto, è davvero un’idea fuori di ogni
logica, per non dire una pretesa insensata e prepotente.

Dunque
dovremmo concludere, di primo acchito, che la
Russia non è un “altro da sé” rispetto all’Occidente
. Per altro il crollo
dell’URSS, come spesso si dimentica di ricordare, fu seguito da una vera e
propria colonizzazione della Russia
da parte delle idee, e delle forme di organizzazione politica e sociale,
dell’Occidente. La Russia eltsiniana divenne addirittura parte integrante
dell’Occidente, al punto da essere accolta in tutte le sue istituzioni
fondamentali: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio,il G-8 e poi il G-20. A momenti si
riusciva perfino a farla entrare nella NATO e passi importanti in quella
direzione furono compiuti, con il consenso di una parte maggioritaria
dell’élite moscovita degli anni ’90.

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Eppure non c’è alcun
dubbio che la Russia odierna sia concepita dai circoli occidentali come un
nemico
, cioè come
una minaccia. E quando parlo di “circoli occidentali” sono costretto dai fatti
a includere in essi tanto la destra
quanto la sinistra europea. Borgognone ha dedicato a
questa singolarità – delle sinistre europee, passate dall’antisovietismo all’anti-russismo,
cioè alla russofobia – numerose
pagine, facendo spesso riferimento all’analisi di Costanzo Preve . Io non
intendo approfondire questi temi perché in quell’analisi mi riconosco in buona
parte. Il fatto è, però, che la Russia odierna costituisce una “oggettiva” minaccia ai progetti di
costruzione di un “nuovo secolo americano”
. Sottolineo il termine
“oggettiva” perché la Russia attuale, la sua dirigenza attuale, non avrebbe
avuto alcuna intenzione (cioè non c’è nessuna “soggettività” avversaria) di
entrare in conflitto con l’Occidente. I suoi oligarchi sono interconnessi
inestricabilmente con la finanza
occidentale
. La capitalistizzazione
della Russia è avvenuta in forme violente e in tempi brevissimi, ma ha comunque
permesso a quei capitali di integrarsi ormai stabilmente nel mercato
globale.  Dove sono stati accolti con
grande entusiasmo.

I
modelli di azione economica e finanziaria dei grandi centri finanziari
mondiali, a cominciare dalla City of London, e da Wall Street,  sono stati legge per il business russo. I
sistemi di calcolo interno alla economica russa sono a tutt’oggi quelli di
Master Card e di Visa, le banche russe sono soggette al sistema SWIFT come
tutte le altre banche del mondo .

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Come può essere
“nemico” un soggetto internazionale tanto “integrato” nel sistema globale
dell’Occidente?
La
risposta, a mio giudizio, è una sola. La Russia odierna è sicuramente tutto
quello che ho fin qui elencato. Ma non è “soltanto” questo. Il “questo” è una
parte nemmeno essenziale. E’ una corrente di superficie, un’increspatura
marginale. Le “correnti profonde”
sono tutt’altra cosa; si muovono, quando si muovono, con altre dinamiche, in
altre direzioni, spesso imprevedibili. Lo stesso Vladimir Putin, che pure è stato all’origine di tutti questi
cambiamenti superficiali, che pure è stato portato al potere dagli oligarchi
che a loro volta obbedivano ai comandi della finanza mondiale, non era e non è
soltanto “questo”. Gli ci è voluto un discreto gruzzolo di anni perché se ne
accorgesse lui stesso. E siamo ora giunti al momento in cui, pena la sua stessa
sopravvivenza fisica, oltre che politica, egli non può più essere “questo”.

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La
“colpa” non è sua. Mi verrebbe da citare qui alcuni dei momenti topici del “Guerra
e Pace”
di Lev Tolstoj. Là
dove, tornando sulla sua visione degli eventi storici e la sua sprezzante
sottovalutazione del ruolo delle personalità nella storia, descrivendo il
vecchio Kutuzov alla vigilia della storica battaglia di Borodino, scriveva
queste straordinarie riflessioni:

“…capiva
come sia impossibile a un solo uomo dirigere centinaia di migliaia di uomini
che lottano contro la morte, e sapeva che le sorti della battaglia sono decise
non dagli ordini del comandante in capo, non dal luogo dove stanno le truppe
(…) ma da quella inafferrabile forza che si chiama lo spirito delle truppe, ed
egli vigilava su questa forza e la guidava, per quanto era in suo potere”.

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Mutatis mutandis e usciti dalla metafora militare, Vladimir Putin è stato condotto, più che
condurre lui stesso, da quella “inafferrabile forza”
che è riemersa
zampillando fuori non dal cuore della Russia, ma dalla Crimea, in quel momento
ancora dentro l’Ucraina divenuta corpo estraneo e ostile. 

Il
colpo di stato organizzato dagli Stati
Uniti in Ucraina
, attraverso l’uso spregiudicato dei nazisti ucraini e dopo la ventennale
opera di edificazione della russofobia
portata avanti dai quattro
presidenti della storia dell’Ucraina indipendente post sovietica, ha acceso nei
russi di Crimea una fiamma che era stata spenta trent’anni prima e che nessuno
pensava sarebbe tornata a brillare.

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E
la richiesta di “tornare in patria”, da parte di quella frazione di popolo
russo che si sentiva, ed era, minacciata fisicamente, non poteva essere
rifiutata. E fu quella scintilla che accese le regioni sud-orientali
dell’Ucraina, piene di russi, anch’essi in pericolo. E che accese infine la
grande massa dei russi, risvegliati anch’essi dal letargo in cui erano stati
tenuti. Risvegliati dalla scoperta,
davvero strana per molti, specie per le giovanissime generazioni, prive di ogni
nostalgia, che l’Occidente non li ama
. Non li ama anche se hanno accattato
tutto il peggio dell’Occidente, e se ne sono sentiti parte. Fino a che
l’Occidente non ha smesso il suo volto benevolo di “Impero del Bene”, e non ha
cominciato a ucciderli.

Dopo
Euromaidan e dopo la risposta crimeana, c’è stata Odessa, e il massacro del
Donbass
: molto oltre, molto più in là delle tutto sommato morbide
discriminazioni antirusse del Prebaltico. Molto oltre le “vendette” anti-russe
e anti-sovietiche di molte parti della ex Unione Sovietica: si è giunti alla pulizia etnica vera e propria, brutale,
nazista, contro la comunità più numerosa e storicamente importante della
nazione che sconfisse il nazismo. Troppo
per essere sopportato in silenzio
dalla Russia.

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Dire
che gli Stati Uniti non hanno la
capacità di comprendere le radici profonde della storia dei popoli
, non
significa altro che tradurre in dati politici contemporanei la brevità della
loro storia. La loro globalizzazione ha nutrito l’illusione che tutti i
popoli potessero essere piegati con la tecnologia
. Ma anch’essa è troppo
breve – la sua storia intendo dire – per poter attingere alle profondità. La
globalizzazione non poteva marciare “con il passo dell’Uomo”. La crisi
dell’Occidente consiste anche in questo: che la sua scienza, formidabile motore
di ogni tipo di cambiamenti, ha prodotto con la separazione dei saperi, con la
settorializzazione dei saperi, con la specializzazione esasperata che la
tecnologia comporta, una sterminata
massa di “scienziati stupidi”
, ciascuno capace di operare miracoli sul suo
centimetro quadrato di sapere, e incapace al tempo stesso di vedere il prato in
cui opera. Di questi scienziati stupidi fanno parte anche i leader politici e la loro corte di politologi, ai quali tutti, o quasi, manca la capacità di percepire
le grandi forze che, volta a volta,impersonano lo “spirito del tempo”.
L’America, nel momento più acuto della sua crisi, ha finito per risvegliare lo
spirito addormentato della Russia. E ora, dopo averla sconfitta e assorbita –
dopo avere creduto di averla sconfitta e assorbita – se la trova di fronte
tutta intera, e risvegliata. Putin la sta ora interpretando.

Forse
le energie di questa Russia non basteranno per avere ragione dell’immensa
potenza che la tecnologia occidentale ha prodotto, e che si muove con una sua
propria inerzia, appunto tecnologica. Forse sarà questa inerzia che produrrà la
guerra, per la quale è stata
costruita. Ma la Russia nata in Crimea ha ora la forza di chi non ha terreno su cui arretrare ulteriormente. E,
dietro di sé potrebbe improvvisamente trovare l’alleanza degli altri sei
miliardi di individui che devono ancora essere asserviti.

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Zbignew Brzezinski aveva individuato il problema molto
tempo fa, alla metà degli anni ’80, quando ancora esisteva l’Unione Sovietica e
nessuno poteva nemmeno immaginare che, in meno di cinque o sei anni, l’URSS si
sarebbe dissolta come neve al sole sotto i colpi di maglio del sistema comunicativo-informativo
controllato dagli Stati Uniti. 

Brzezinski
può essere, a buon diritto, considerato il demolitore principale dell’Unione Sovietica. Ben più, a mio avviso,
di Papa Wojtyła, fatto santo per meriti che non ebbe e per demeriti che invece
ebbe. Brzezinski aveva capito perfettamente che il compito principale che
l’Impero aveva di fronte a sé non consisteva nell’abbattere l’URSS. Quello era
l’obiettivo numero uno. Ma, dopo avere raggiunto quello, egli comprese che l’Impero
si sarebbe trovato di fronte un secondo
e più decisivo compito: quello di abbattere la Russia
.  L’Impero non avrebbe potuto tollerare
l’esistenza di un partner così grande, meno che mai di un partner dotato di un
sistema di armamenti in grado di mantenere l’equilibrio, cioè di delimitare il
potere sterminato dell’Impero stesso.

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La
Cina era, in quella fase, in
formidabile ascesa, ma nell’ipotesi della scuola Brzezinski, essa appariva
maneggiabile, omogeneizzabile, assorbibile all’interno dello schema
globalizzatore americano. Soprattutto non era ancora un antagonista strategico
militare. Avevano previsto, a Washington, che essa sarebbe diventata il
“pericolo principale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”,
ma un ventennio dopo, attorno al 2017.

Il corso della storia
ha però ristretto il tempo tra la fase due, demolizione della Russia, e la fase
tre, il conto finale con la Cina
.
Cioè c’è stato un accidente della storia che ha impropriamente accorciato la
parentesi tra le due tappe. Costringendo il gendarme mondiale ad affrontarle
quasi insieme. Da qui il senso dell’urgenza
e del disordine con cui stiamo entrando in guerra.

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Ma
l’iniziativa è indubbiamente quella
degli USA ed è visibile a occhio nudo
. Qui la Russia di Putin non è affatto
all’offensiva, come si cerca di presentarla agli occhi del mondo. La crisi ucraina è stata organizzata per
infliggere un
colpo mortale alla
Russia (e all’Europa)
.  La Russia
però costituisce, con la sua stessa presenza “fisica”, con le sue stesse gigantesche
dimensioni, con l’immensa ricchezza di materie prime, con i suoi spazi agricoli
potenziali, con le sue quantità d’acqua potabile, un obiettivo
straordinariamente appetibile.  E ora
inaspettatamente più determinato a difendersi.

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Dunque
l’Impero, che è in crisia causa dei “limiti allo sviluppo” e che è in crisi
perché l’evidenza dimostra che non è più un “impero” (perché non è più in grado
di comandare tutti, a cominciare dalla Cina) si trova obbligato, per la natura
stessa di entrambe queste crisi, ad attaccare
e a distruggere non uno solo ma i due antagonisti principali
. Sia per
mostrare che esso è ancora Impero, sia per procurarsi i mezzi per la sua
esistenza futura. Lo sta facendo in tutta fretta. Più in fretta di quanto
avesse preventivato di fare. Perché il fattore Cina è già fin troppo visibile. Il 2017, si può dire, è arrivato “prima del
previsto”
. Il fattore  “limiti”
aleggia ormai nelle menti di molti, ma è per il momento sullo sfondo: i
“ministeri della propaganda”, noti come i media occidentali, sono per il
momento riusciti a nasconderlo agli occhi delle grandi masse popolari
dell’Occidente. Ma l’urgenza di imminenti collassi – che i centri di ricerca
americani già percepiscono con chiarezza, pur mantenendone segrete le fonti e
le cause – impone un’accelerazione.

E’
una corsa contro il tempo. La
capitale dell’Impero ha scelto la Russia
come l’obiettivo da demolire per primo. Poi
verrà la Cina
. 

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Per
questo ha bisogno di sottomettere
l’Europa in modo definitivo e irreversibile
.

L’attacco, condotto
mediante l’Ucraina, è simultaneamente contro la Russia e contro l’Europa
. I segnali sono convergenti. I
fronti sono tutti aperti: dal califfato iracheno e siriano, alla Palestina
cancellata da Israele, all’Ucraina. Per raggiungere questi obiettivi non si
bada ai mezzi. Perfino il nazismo diventa utile, perfino il fantasma di Al-Qa”ida.  Ma la vittoria implica lo sterminio del
nemico, non più la sua sottomissione
. Bertolt Brecht scrisse, alla vigilia
della seconda guerra mondiale, una specie di vaticinio che si sta inverando
sotto i nostri occhi: quando la democrazia scolorirà in nazismo, allora avrà il
volto dell’America.

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* Scheda del libro:

Paolo Borgognone, Capire la Russia. Correnti politiche
e dinamiche sociali nella Russia e nell”Ucraina postsovietiche”
(Zambon
editore, in uscita nell’autunno 2014). Prefazione di Giulietto Chiesa.

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Allo stato attuale, la Russia è il Paese più demonizzato al mondo,
inserito d”ufficio, a seguito degli sviluppi di situazione in Ucraina, nel particolarissimo
elenco di «Stati canaglia» individuati dalle strategie obamiane di
“esportazione delle libertà americane” (capitalismo consumistico e
“senza frontiere”, individualismo, mercificazione,
commercializzazione dell”esistenza dei singoli) in ogni angolo del Pianeta
non ancora sottomesso ai dettami speculativi del nuovo ordine che intende
imporre al mondo. Non a caso, il popolare tabloid statunitense “Newsweek” ha recentemente
riservato una copertina al presidente russo, Vladimir Putin, definendolo,
sprezzantemente e spregiativamente, «Pariah». Decostruire le menzogne alla
radice di questa nuova “caccia alle streghe” anti-russa, pertanto
anti-europea, e difendere la Russia, le sue ragioni in ambito geopolitico e
culturale, è dunque un dovere da parte di chi, oggi come in passato, non
accetta di deporre le armi della cultura, della conoscenza e della lotta per
la dignità dei popoli e delle nazioni, contro l”imperialismo globalizzatore
del “mega-mostro” euro-atlantico. Per difendere la Russia, occorre
partire dal “Capire la Russia”.

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