Russia: ritorno all'Hotel President

Il sogno dei compradores moscoviti che hanno dato il meglio di sé – e anche il peggio – in questi anni, adesso si sta trasformando in un incubo. [Giulietto Chiesa]

Russia: ritorno all'Hotel President
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29 Ottobre 2014 - 13.39


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di Giulietto Chiesa.

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Invitato
a partecipare alle “Letture Zinovieviane”, dedicate all’ex dissidente sovietico
Aleksander Zinoviev –
l’autore, tra altre decine di opere, di un libro che fece epoca negli anni ’70
, Cime abissali – sono stato ospitato nell’Hotel President. Scrivo per
raccontare il mio ritorno, appunto, dove mancavo dal lontano 1991. Era il
grande albergo del Comitato Centrale del Pcus. E là – cioè qui da dove sto
scrivendo – alloggiavano le delegazioni dei “partiti
fratelli”
e le altre delegazioni di stato in visita ufficiale a
Mosca.

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Era – ed è – un sontuoso 5 stelle.
Ma, rispetto agli altri della stessa categoria che ormai sono non pochi a
Mosca, ha ancora tutto il glamour
dell’epoca. Tutto è rimasto come allora, i marmi, i tappeti, le pesanti tende
di broccato, le tappezzerie in seta, le finestre doppie di legno, i bar e i
ristoranti ancora elegantissimi, ma d’un gusto che nessun hotel moderno può
vantare.

E – questo è davvero ancora tutto made in Urss â€“ per
entrare bisogna esibire
il documento
al poliziotto che abita la garitta ben prima
dell’ingresso. E, se arrivi in macchina, trovi il passaggio a livello chiuso e
l’altro poliziotto, bene imbacuccato perché adesso fa freddo, viene a bussare
al finestrino e, anche lui, ti chiede di dimostrare che non sei un intruso.

Mi hanno dato una stanza al 12-esimo
piano. La vista è sontuosa e lo spettacolo non è più quello del socialismo reale.
Allora svettavano, sul profilo dell’orizzonte, solo i grattacieli staliniani:
sulla destra il Cremlino;
sulla sinistra, mastodontica e imponente con le sue guglie, l’Università Lomonossov;
al centro il Ministero degli Esteri, sulla Smolenskaja. Proprio qui sotto c’era
la Casa sul Lungofiume (Dom na naberezhnaja) che diede il titolo a uno dei
libri del disgelo, di Jurij
Trifonov
.

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Tutto questo c’è ancora, davanti
all’Hotel President (così denominato da Boris
Eltsin
, subito dopo il suo truffaldino arrivo al potere). Ma il
panorama di Mosca è adesso tutt’altro.

La cosa più impressionante è la nuova skyline del quartiere
Krasnaja Presnia: un grappolo
di una quindicina di altissimi grattacieli che ora sovrastano tutta la città.
E, proprio di fronte a me illuminata di notte come una grande torta di panna,
sormontata da cupole d’oro, la cattedrale del Cristo Salvatore, ricostruita da
zero ai tempi del sindaco Jurij
Luzhkov
, ora sparito dalla circolazione, forse a Vienna, per
colpa – si dice – di una moglie troppo avida.

E il lungofiume è ora una rassegna
di palazzi rimessi a nuovo, o ricostruiti anch’essi, oppure buttati giù e
trasformati in elegantissimi esperimenti architettonici in cristallo, in
vetrocemento, in post-moderno con colonnati e timpani che ricordano, ricreano,
copiano, riproducono Parigi e Roma, Amsterdam e New York. E’ come guardare,
dall’alto, una sfilata
di moda di architetture.

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E’ l’America, bellezza. E, a chi
guarda dalle finestre dell’Hotel President, fa venire in mente che il sogno dei
compradores moscoviti
(più volgarmente oligarchi) che hanno dato il meglio di sé – e anche il peggio
– in questi anni, adesso si sta trasformando in un incubo. Adesso i
russi scoprono che l’America non li ama comunque, anche se loro hanno fatto di
tutto per sentirsi americani. E le loro carte di credito Visa e Master Card,
pulsano nelle loro tasche come segnali
d’allarme.

Se l’obiettivo di Washington, come
sembra, è di espellere
la Russia
di Putin dal mercato finanziario occidentale, per i
proprietari di tutto quel ben di dio sarà difficile continuare a esportare
capitali nelle banche dell’Impero
del Bene
. Quale architettura bisognerà ora copiare? Pechino e
Shanghai hanno delle skyline identiche, solo un tantino più alte.

Ma va detto che questa città, anche
da questa panoramica, non ha l’aria di un accampamento incline a arrendersi. Il
rosso Cremlino, sulla destra della cartolina, sonnecchia acquattato sulla riva
della Moscova ancora non gelata, in attesa, forse, che qualche cadavere passi
sul filo della corrente. Come ha detto Putin a Sochi, l’orso russo non ha
intenzione di lasciare la taigà.
Sarà fredda ma ci siamo abituati- ha ribadito con un mezzo sorriso. Ed è
nostra, con tutto quello che c’è dentro, e sotto. Una cosa è certa: meglio non provare a
sloggiarci.
Vorrà dire che delle carte Visa e Master Card, divenute così precarie, faranno
a meno.

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Davanti alla mia finestra c’è
un’altra presenza che allora non c’era. E’ l’altissimo, vertiginoso, verticale,
incongruo monumento a Pietro
il Grande,
voluto anche quello da Luzhkov, e da Eltsin. Si dice
che il suo autore, Zurab
Zereteli,
l’avesse pensato come monumento a Cristoforo
Colombo
, per venderlo a una città americana di cui non ricordo
il nome. Ma poi gli americani declinarono gentilmente il dono, e Zereteli –
evidentemente un grande risparmiatore – mise sul cassero Pietro il Grande e lo
piazzò in mezzo alla Moscova.

Come tutti i monumenti, lancia
messaggi. Le caravelle sono otto invece che tre, ma si capisce che doveva far
dimenticare Colombo. In ogni caso oggi sembra dire che la flotta rimane a Sebastopoli e che le
porta-elicotteri Mistral che Hollande
non è riuscito a vendere a Putin, per colpa di Obama, Putin se le costruirà per conto
proprio.

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