Difficile raccogliere i cocci dell'Occidente

È finito il G-7. L'elefante è uscito dalla cristalleria lasciando intatta solo poca della mercanzia. La fiducia tra alleati non è stata ricostituita.[Giulietto Chiesa]

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30 Maggio 2017 - 23.54


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di Giulietto Chiesa.
 
È finito il G-7. L’elefante è uscito dalla cristalleria lasciando intatta solo una piccola parte della mercanzia. La fiducia reciproca, tra alleati, che non c’era, non è stata ricostituita. Il resto è finito in frantumi.
È stato evidente che questa Europa è, mediamente, più “americana” del presidente degli Stati Uniti in carica. Nel senso che la preferenza dei leader europei andrà rivolta, più di prima del suo arrivo, ai nemici interni di Trump. E che siano “nemici” è proprio lui a ripeterlo un tweet dopo l’altro.
Non è ancora visibile se, e in che senso, questa Europa ostile, capitanata con grinta crescente dalla cancelliera, potrà influire sui destini dell’America. Ma Donal Trump ha dimostrato, coram populo, che non gliene importa più di tanto. Non ha fatto complimenti. Ha chiesto – si sapeva – spese militari addizionali, obolo costoso in favore della Nato, ma non tanto per fronteggiare la Russia quanto per soddisfare i desideri del Pentagono. 
Gli strilli di Donald Tusk, dei baltici, di Stoltenberg, di un pezzo delle élites obamiane d’Europa, circa la “minaccia russa”, sono scivolati nel borbottio. Le sanzioni, contro la Russia, che mezza Europa, capitanata dalla Merkel, vuole procrastinare, sono diventate, di fatto, piuttosto materia europea che americana. Insomma: cavatevela da soli, io non c’entro. Donald Trump pensa ad altro: a evitare l’impeachment. Tant’è che fin dal viaggio di ritorno in patria, la raffica di tweet che è partita dall’aereo presidenziale è stata quasi interamente dedicata ai “produttori di fake news”, ai “nemici” che si annidano nei mainstream media. Ha fatto eccezione qualche tweet che rimarcava il “grande successo” dei viaggio oltre Oceano: “gran lavoro, ma grandi risultati”.
Il che, obiettivamente, non è parso evidente. L’incertezza degli europei è ora più palpabile di prima. Dunque si apre un vero e proprio “interregno”, nel quale tutti i membri dell’Unione dovranno ricollocarsi, chi da una parte, chi dall’altra. C’è chi punta, e spera, decisamente – la Merkel in prima fila – sull’ipotesi che l’elefante sia messo fuori gioco. Ma il fatto stesso di un impeachment rappresenterebbe un colpo durissimo all’immagine degli Stati Uniti nel mondo. Cioè un ulteriore indebolimento. Ed esso dovrà essere compensato da una riorganizzazione delle forze occidentali, con l’apparire di un forte partner europeo, con accresciute responsabilità internazionali.
Questo partner degli USA-post-Trump è già pronto e si chiama Germania. Oppure Germania più Francia. Lo si vedrà dalle prossime elezioni di Germania. In entrambi i casi la fisionomia politica europea è destinata a mutarsi in modo radicale. E non si tratterà soltanto di qualche scossone. Una “Germania first” (in Europa) sarebbe il seguito quasi obbligatorio della fine dell'”America First” di Donald Trump. Ma questo, a sua volta, riaprirebbe in modo lancinante la crisi dei rapporti inter-europei. Prima vittima di questo rimaneggamente sarà l’Italia, che stava appena per approfittare dell'”interregno” per rilanciare il suo invito a smetterla con le sanzioni alla Russia e per riaprire il dialogo con Mosca. Ma tutti gli amici dell’America-prima-di-Trump si troveranno di fronte al problema di accettare un secondo padrino, appunto quello tedesco, che non promette una difesa sufficiente e che si è già fatto abbondantemente notare in questi anni per una certa inclinazione alla prepotenza dei più forte.
Della Grecia tutti i leader europei fanno finta di non ricordarsi, ma la tengono ben presente, specie i poveri PIIGS. E tutti quelli che hanno un minimo di realismo sanno che l’era del “populismo” non è affatto finita. Un dominio predatorio tedesco, fondato sull’euro, renderà più difficili da mantenere gli equilibri sociali e politici interni. Senza contare che ci sono altri protagonisti, fino ad ora non nettamente individuati, non necessariamente “statali”, che agiscono per intensificare la crisi interna europea. Le pressioni migratorie – come è sempre più evidente – possono essere regolate in un senso o nell’altro manovrando alcuni rubinetti. Le pressioni terroristiche possono provocare ondate di panico che potranno destabilizzare questo o quello dei paesi europei più fragili. Come stanno già destabilizzando quelli meno fragili.
 
La stessa Banca Centrale Europea si troverà di fronte a imprevisti mutamenti di rotta.
Quando il padrone è assente i topi possono ballare, ma solo se hanno già mangiato, e qui siamo in una situazione in cui “il piatto piange”, in tutti i sensi. In ogni caso, mentre a Washington si intensificherà la battaglia per togliere di mezzo il presidente che non piace ai “padroni universali”, il panorama europeo che conosciamo in questo momento sembra destinato a mutare.
 
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