Nell' Inferno di Darfur

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10 Maggio 2005 - 15.18


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Una catastrofe umanitaria infuria nel Darfur, nella regione occidentale del Sudan. Dall”immane genocidio del Ruanda avvenuto nel 1994 ( una delle pagine più nere della storia dell”Africa e delle Nazioni Unite) il mondo non aveva più visto un simile massacro. La guerra civile in Sudan è in corso da più di venti anni. All”origine la differenza etnica , sociale e religiosa, esistente tra il Nord nazionalista, arabo e islamico e il Sud nero, cristiano e animista, di stampo tribale.

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 I due gruppi ribelli cioè l””Armata di liberazione del Sudan” e il “Movimento per la giustizia e l”eguaglianza”, sostengono di aver preso le armi per difendere i diritti e gli interessi delle etnie nere autoctone dall”oppressione del governo centrale di Khartoun dominato dall”etnia araba.

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Una guerra intestina sta estinguendo un”inerme popolazione civile. La milizia di “Janjaweed”, composta da governativi e non governativi (ribelli ostili agli altri due movimenti) stanno sistematicamente eliminando intere comunità tribali di contadini africani. Sono stati razziati interi villaggi, donne e bambine sono state rapite e violentate, uomini e ragazzi arrestati, scomparsi, uccisi o mutilati, bloccate le forniture di cibo e di acqua. Gli effetti di questa campagna di pulizia etnica sono stati devastanti. E” stato stimato che almeno 200 mila persone siano morte. Più di un milione e seicento mila siano state cacciate dalle loro case, più di 200 mila sono fuggite nel Ciad.

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Questi profughi del Darfur ora vivono in accampamenti dove mancano il cibo, farmaci e condizioni igieniche adeguate. Donne e bambini vivono ammassate nei “campi” con il rischio di essere attaccate e violentate dalle milizie dei Janjaweed che pattugliano la zona.

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Negli accampamenti del Ciad e del Sudan un numero incalcolabile di persone, soprattutto bambini, muore perché l”acqua dei pozzi è inquinata causando dissenteria e altre decine di infezioni la cui diffusione viene agevolata dalla denutrizione e dalla mancanza di igiene. Dall”inizio di gennaio è scoppiata un”epidemia di meningite ed è in corso una campagna di vaccinazioni per bloccare la diffusione dell”infezione. “La meningite è una malattia mortale che, senza cura, uccide tra il 50 e l”80 per cento dei malati che la contraggono” afferma Gianfranco De Maio, responsabile medico della sezione italiana di Medici Senza Frontiere (Msf). “Le autorità sanitarie del Ciad ci hanno chiesto aiuto per frenare l”epidemia”. Msf sta operando con le autorità sanitarie locali e la Croce Rossa Internazionale e la Mezzaluna Rossa per raggiungere con il vaccino 70 mila persone. Cifre da capogiro che danno l”immagine della tragedia.

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Infezioni, acqua e cibo. Il rischio rappresentato dalla meningite si aggiunge alle condizioni di vita nei campi profughi che, per quanto più sotto controllo rispetto al recente passato, non sono di certo ideali. Attualmente negli undici campi del Ciad vivono 215 mila persone. “La situazione medica è oggi stabilizzata (la mortalità è ritornata a livelli normali), ma vi sono ancora casi di infezione respiratoria acuta, malaria e diarrea grave” racconta Huub Vergagen, capo missione di Msf in Ciad. “I problemi maggiori riguardano la disponibilità di acqua potabile, che in alcuni campi raggiunge solo 4-7 litri per persona al giorno (quando il minimo, secondo alcune norme internazionali, è di 20 litri). Secondo il Programma alimentare mondiale (Pam) vi sono anche problemi di approvvigionamento di cibo. Quanto alle prospettive, rimangono incerte, perché legate alla situazione che prevarrà in Darfur, per la quale non ci si attende una soluzione rapida”. Infatti, negli ultimi mesi la situazione è andata sempre più peggiorando. Gli scontri e le violenze sono aumentati, alcune organizzazioni umanitarie, incapaci di proteggere i loro volontari, sono uscite dalla regione del Darfur.

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Nei giorni scorsi, Bruxelles, ha approvato una risoluzione sul Sudan in cui, tra l”altro, si sostiene con forza che i responsabili delle atrocità nel Darfur dovrebbero essere sottoposti al giudizio della Corte Penale Internazionale. Il fatto di rendere esplicito questo orientamento mentre Bush era a Bruxelles, ha inteso costituire una netta presa di posizione dell”Europa a favore di un organo internazionale , che Bush tenacemente avversa. Gli Stati Uniti non vogliono che la Corte – unico organo di giustizia internazionale che potrebbe intervenire subito ed in modo efficace – si pronunci su quei crimini. Forse perché temono che la Corte – organo indipendente dal potere politico – possa prima o poi processare militari o politici statunitensi? “E” chiaro”, spiega Antonio Cassese, già presidente del Tribunale dell”Aja, che dirige la Commissione d”inchiesta dell”Onu sul Darfur, ” che l”avversione pregiudiziale americana alla Corte è dettata non da ragioni utilitaristiche ma da motivi ideologici e soprattutto dall”intento di non legittimare politicamente quell”organo di giustizia internazionale. Senza sapere che così facendo Bush finisce per fare il gioco dei pianificatori ed esecutori di quelle atrocità dato che, in assenza di alternative realistiche, l”opposizione americana alla Corte, garantirà l”impunità dei colpevoli.”. Insomma se l”Europa vuol contare di più, “deve insistere con Bush sulla necessità di essere coerenti: non si può proclamare ai quattro venti di voler diffondere nel mondo la democrazia e la libertà e poi opporsi alla Giustizia”, conclude Cassese. E poiché tutto il mondo sa che un genocidio è in atto, il silenzio di Bush è diventato assordante.

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Gina Zanchi

Articolo originale

http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=282?

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Il documento fotografico. Ecco le quattro foto ottenute dall”editorialista del New York Times Nicholas D. Kristof dagli osservatori dell”Unione africana. La foto in alto a sinistra è stata scattata nel villaggio di Harmada dopo l”assalto delle milizie degli janjaweed. A destra un uomo con la gamba ferita che non è riuscito a fuggire. Sotto, a sinistra, un uomo ucciso mentre era in fuga. A destra i resti irriconoscibili di una vittima.

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