Una guerra di cui non si può pronunciare il nome

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14 Marzo 2009 - 17.52


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di Abdus Sattar Ghazali – «al-Ahram Weekly»

A partire dal suo insediamento all”inizio di quest”anno, il presidente americano Barack Obama ha virtualmente fatto proprie le politiche della “guerra al terrore” del suo predecessore George W. Bush, senza chiamarle per nome. Quando, nel corso di un”intervista alla CNN, gli è stato chiesto perché egli non avesse usato il reiterato slogan “guerra al terrore” coniato dall”amministrazione Bush, Obama ha risposto di ritenere che gli Stati Uniti potrebbero riuscire a convincere i musulmani moderati se venisse usato un linguaggio corretto.


“Le parole contano in questa situazione, perché uno dei modi che ci permetteranno di vincere questa battaglia è la lotta per accattivarci i cuori e le menti”, ha detto Obama. Sembra che lo slogan “guerra al terrore”, inserito nel lessico americano subito dopo gli attacchi dell”11 settembre 2001, sia stato deliberatamente rimpiazzato dall”amministrazione Obama nel tentativo di ristabilire l”immagine dell”America nel mondo islamico.

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Il provvedimento preso da Obama il 22 gennaio 2009 – nel suo primo giorno da presidente – per chiudere il famigerato campo di detenzione di Guantanamo Bay e mettere fuori legge la tortura è stato interpretato in alcuni ambienti come l”espressione della volontà di chiudere il capitolo della cosiddetta “guerra al terrore” di Bush. Tuttavia, nello stesso giorno in cui Obama ha firmato i provvedimenti, egli ha anche nominato Richard Holbrooke come suo rappresentante speciale in Afghanistan e Pakistan. Holbrooke è l”uomo che, dopo l”11 settembre, sponsorizzò l”azione militare contro l”Afghanistan, escluse qualsiasi ruolo della diplomazia nel trattare con i Talebani, etichettò come estremisti tutti i Talebani, e considerò i Talebani ed al-Qaeda come un”unica entità.

La nuova “guerra al terrore” in Pakistan e Afghanistan

Un giorno più tardi, il 23 gennaio, Obama ha dato il via libera agli attacchi missilistici compiuti dai “drone”, aerei senza pilota ospitati da basi in Pakistan e diretti dalla CIA, contro obiettivi nelle aree tribali del Pakistan. Circa 20 civili sono rimasti uccisi nel corso di due attacchi missilistici. E” significativo che il nuovo addetto stampa della Casa Bianca, Robert Gibbs, abbia in quell”occasione rifiutato di rispondere alle domande sugli attacchi aerei, affermando: “Non toccherò questi argomenti”.

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Il 14 febbraio, almeno 28 persone sono state uccise nel corso di due attacchi compiuti da drone nella regione del Waziristan. Due giorni dopo, il 16 febbraio, un drone americano ha sparato tre missili contro un obiettivo nel distretto di Kurram, uccidendo 30 persone. Come al solito, è stato detto che gli attacchi erano rivolti contro obiettivi talebani, ma non è stato trovato il corpo di uno solo fra i militanti locali o stranieri che ufficiali americani o pakistani affermavano essere stanziati nella regione. Invece, è stato detto che i militanti avevano circondato l”area dopo l”attacco, ed avevano portato via i loro morti ed i loro feriti. Ironicamente, questi due attacchi missilistici nell”arco di tre giorni hanno avuto luogo proprio mentre Holbrooke era in visita nella regione.

Sia il governo afghano che il governo americano accusano la provincia della Frontiera del Nord-Ovest, in Pakistan, di essere responsabile dell”intensificazione delle operazioni talebane in diverse parti dell”Afghanistan, inclusa la capitale Kabul. In un”intervista diffusa dalla CNN il 13 febbraio, il presidente afghano Hamid Karzai, il cui potere non si estende molto al di là del suo palazzo presidenziale, ha affermato che i Talebani non hanno dove nascondersi nei villaggi afghani, sostenendo che “la guerra al terrorismo non è nei villaggi afghani, ed al-Qaeda non avrà e non ha un posto dove nascondersi in Afghanistan da quando i Talebani furono cacciati nel 2001”.

Tuttavia, un recente rapporto dell”International Council on Security and Developent (ICOS) , un think-tank europeo, smentisce l”asserzione di Karzai. Secondo il rapporto, pubblicato l”8 dicembre, i Talebani sono ormai presenti nel 72% dell”Afghanistan, rispetto al 54% di un anno fa. Secondo l”ICOS, le forze talebane sono avanzate dalle loro roccaforti meridionali, dove attualmente rappresentano l”autorità di fatto in una serie di città e villaggi, verso le province occidentali e nord-occidentali dell”Afghanistan, ma anche verso le province a nord di Kabul. Nell”arco di un anno, la presenza talebana nel paese è aumentata di un impressionante 18%, secondo la ricerca sul terreno compiuta dall”ICOS.

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Il rapporto dell”ICOS documenta anche l”avanzata dei Talebani su Kabul, dove tre delle quattro principali superstrade dirette alla città sono ora esposte all”attività talebana. La sicurezza nella capitale è precipitata a livelli minimi, con i Talebani ed elementi criminali che si infiltrano nella città a loro piacimento. In breve, “i Talebani attualmente controllano le dinamiche politiche e militari in Afghanistan”, secondo Norine McDonald, presidente e importante ricercatrice dell”ICOS.

Tre decenni di guerra sembrano aver temprato i gruppi militanti afghani, ponendoli in una posizione migliore rispetto alle forze straniere di occupazione guidate dagli Stati Uniti. Grazie a legami organici con la società, i ribelli sono visti dalla popolazione afghana come un potere reale, un potere che combatte per una causa: la liberazione del paese, ancora una volta, dall”occupazione straniera. Questa convinzione è rafforzata dall”esistenza di celle di tortura nel paese, e dall”enorme numero di vittime civili causate dagli Stati Uniti e dalle altre forze straniere. Secondo l”ultimo rapporto dell”ONU, una cifra record di 2.118 civili sono stati uccisi lo scorso anno, con più di 500 morti dovuti agli attacchi aerei.

Per citare le parole di Paul Craig Roberts, ex vicesegretario al Tesoro nell”amministrazione Reagan, i Talebani non sono un”organizzazione terroristica, ma piuttosto un movimento che sta cercando di unificare l”Afghanistan. In questo contesto, la “guerra al terrore” guidata dagli USA è un fronte per il controllo americano degli oleodotti nella vicina Asia Centrale, appoggiato dai profitti legati al complesso militare e della sicurezza, dai fomentatori di uno stato di polizia, e da coloro che appoggiano l”espansionismo israeliano.

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Di conseguenza, la guerra condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan è qualcosa di più di una semplice “guerra al terrore”. Dietro la retorica dei responsabili americani sulla volontà di annientare la cosiddetta rete di al-Qaeda guidata da Osama bin Laden, in nome della “libertà” e della “civiltà“, si nasconde una ragione più profonda: le riserve di petrolio e di gas dell”Asia Centrale, ed altre risorse naturali. L”Afghanistan, che praticamente non ha riserve di petrolio, nondimeno ha occupato un posto chiave nei piani americani volti ad assicurare il controllo delle enormi riserve (tuttavia prive di sbocco al mare) di petrolio e di gas dell”Asia Centrale, un territorio che occupa il secondo posto al mondo per riserve di petrolio e di gas accertate. Gli Stati Uniti da tempo si sforzano di colmare il vuoto di potere in Asia Centrale, creato dal crollo dell”Unione Sovietica, al fine di affermare il proprio dominio sulla regione.

Visto che la guerra afghana è proseguita senza successo negli ultimi sette anni, l”esercito americano in Afghanistan ha chiesto altri 30.000 uomini, ed a febbraio Obama ha autorizzato il dispiegamento di altri 17.000 soldati americani in Afghanistan. Questo incremento di truppe porterà il totale dei soldati USA a 60.000, mentre le forze della NATO, che includono soldati tedeschi, canadesi, britannici e olandesi, ammontano a oltre 32.000. Quando saranno al completo, le forze USA-NATO in Afghanistan potrebbero arrivare quasi a toccare la quota di 100.000 uomini, probabilmente entro la fine di quest”anno.

Gli Stati Uniti stanno attualmente costruendo 8 nuove basi militari nel sud dell”Afghanistan per una guerra di lungo periodo, una guerra che è già stata definita “la lunga guerra” da esperti della Rand Corporation, un think-tank americano semiufficiale. Sembra che le promesse di cambiamento di Obama non porteranno nulla di positivo per la gente dell”Afghanistan e per gli abitanti delle regioni di confine del vicino Pakistan, dove gli attacchi missilistici dei drone americani continuano ad uccidere, fomentando i sentimenti antiamericani ed indebolendo il governo civile di Islamabad.

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La stessa politica applicata in Medio Oriente

Allo stesso modo, in Medio Oriente gli Stati Uniti hanno bollato Hamas e Hezbollah come “organizzazioni terroristiche” per la semplice ragione che Washington sta dalla parte di Israele nel conflitto. Hezbollah rappresenta gli sciiti del Libano meridionale, un”altra regione mediorientale sulla quale Israele ha mire espansionistiche.

Sull”altro fronte, Hamas è il governo democraticamente eletto di Gaza. Nel tentativo di piegare Hamas all”egemonia israeliana, Israele ha fatto ricorso a bombardamenti e uccisioni di stampo terroristico contro i palestinesi. Gli Stati Uniti hanno appoggiato la carneficina di 22 giorni a Gaza, compiuta tra la fine del 2008 e l”inizio di quest”anno, durante la quale sono stati massacrati quasi 1.400 palestinesi, fra cui 412 bambini e 100 donne. Più di 5.000 persone sono rimaste ferite, fra cui 1.855 bambini e 795 donne, secondo fonti dell”ONU.

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Hamas ha risposto al terrorismo israeliano con razzi artigianali ed inefficaci, che hanno rappresentato poco più che un atto di sfida. Se Hamas fosse davvero armato dall”Iran, come sostiene Israele, l”aggressione israeliana a Gaza sarebbe costata allo stato ebraico la perdita di elicotteri, carri armati, e la vita di centinaia di soldati. Ma Hamas è una piccola organizzazione dotata solo di armi di piccolo calibro che sono incapaci di penetrare i mezzi corazzati. E” un”organizzazione che non è stata in grado di fermare le bande di coloni israeliani dirette contro i villaggi palestinesi della Cisgiordania per cacciarne gli abitanti ed appropriarsi delle loro terre.

Per citare ancora Paul Craig Roberts, l”affermazione assolutamente non dimostrata secondo cui l”Iran starebbe rifornendo i palestinesi di armi sofisticate è come la precedente asserzione che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa. “Queste asserzioni sono giustificazioni propagandistiche per l”uccisione di civili arabi e per la distruzione di infrastrutture civili, al fine di assicurare l”egemonia americana ed israeliana in Medio Oriente”.

Questi sviluppi segnalano che la politica americana proseguirà nella direzione indicata dalla “guerra al terrore” dell”era Bush anche dopo l”addio di Bush stesso. In realtà, secondo il ministro della giustizia degli Stati Uniti, Eric Holder, non solo gli Stati Uniti sono attualmente in guerra, ma essi erano in guerra anche prima degli attacchi dell”11 settembre, come evidenziato dai precedenti attacchi al cacciatorpediniere USS Cole ed alle ambasciate americane all”estero. Gli Stati Uniti semplicemente “non avevano compreso che eravamo in guerra”, ha detto Holder davanti alla Commissione giudiziaria del Senato americano il 5 gennaio.

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Ad ulteriore conferma di questa continuità, il Dipartimento della Giustizia americano ha adottato le politiche dell”amministrazione Bush sui detenuti in Afghanistan, con l”amministrazione Obama che il 20 febbraio di quest”anno ha sostenuto che i detenuti in Afghanistan non hanno diritti costituzionali. Il Dipartimento ha affermato di essere d”accordo sul fatto che i prigionieri della base aerea di Bagram in Afghanistan non possono appellarsi ai tribunali americani per impugnare la propria detenzione.

Mentre la Corte Suprema la scorsa estate aveva concesso ai sospetti appartenenti ad al-Qaeda ed ai Talebani, detenuti nella base americana di Guantanamo, il diritto di impugnare la propria detenzione, un analogo diritto non è stato concesso ai circa 600 detenuti della base di Bagram in Afghanistan, né alle migliaia che si trovano nelle basi in Iraq; ed i tribunali americani hanno dovuto confrontarsi con la necessità di stabilire se anche tali detenuti avessero il diritto di impugnare la propria detenzione. Tre mesi dopo la sentenza della Corte Suprema su Guantanamo, quattro cittadini afghani detenuti alla base di Bagram hanno cercato di impugnare la propria detenzione davanti al tribunale distrettuale di Washington. I ricorsi presentati dai loro difensori affermavano che essi erano trattenuti senza alcuna accusa, ed erano stati ripetutamente interrogati senza poter consultare un avvocato.

L”amministrazione Obama ha anche mantenuto la posizione di Bush sulle “extraordinary renditions”, le detenzioni straordinarie con le quali cittadini di diversi paesi potevano essere trasportati in paesi terzi, dove – secondo le loro denunce – sono stati torturati. Il 9 febbraio, l”amministrazione Obama ha annunciato che avrebbe mantenuto la posizione dell”amministrazione Bush nel caso intentato da Binyam Mohamed ed altri (Mohamed è stato detenuto a Guantanamo, altri due sono detenuti rispettivamente in Egitto ed in Marocco, mentre gli ultimi due sono attualmente in libertà) contro la Jeppesen Dataplan Inc..

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Costoro hanno citato in giudizio una società affiliata alla Boeing, la Jeppesen Dataplan, accusando questa compagnia specializzata in pianificazioni di volo di aver aiutato la CIA a trasportarli per via aerea in altri paesi dove essi sarebbero stati torturati.

L”anno scorso il caso fu respinto adducendo ragioni di sicurezza nazionale, ma il 9 febbraio di quest”anno la IX Corte d”Appello americana ha ricevuto un ricorso in appello, con il network americano ABC che ha citato una fonte del tribunale, la quale avrebbe detto che un rappresentante del Dipartimento della Giustizia aveva affermato che la sua posizione non era cambiata e che la nuova amministrazione aveva accolto le argomentazioni dell”amministrazione precedente.

In base ai provvedimenti esecutivi approvati da Obama, la CIA ha tuttora l”autorità di compiere le extraordinary renditions, una pratica che aveva attirato la condanna internazionale nel momento in cui erano emersi dettagli di arresti illegali, errori di identità, e accuse di tortura. Il parlamento europeo, ad esempio, ha condannato la politica americana delle extraordinary renditions, ed un”indagine dell”Unione Europea ha concluso che la CIA aveva organizzato più di 1.200 voli nello spazio aereo europeo dopo gli attacchi dell”11 settembre.

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In uno dei casi più noti, un cittadino tedesco di nome Khaled al-Masri fu arrestato in Macedonia nel 2003 e condotto in tutta fretta dalla CIA in una prigione segreta in Afghanistan. Egli fu segretamente rilasciato in Albania cinque mesi più tardi, dopo che l”agenzia americana era giunta alla conclusione di aver confuso al-Masri con un affiliato ai dirottatori dell”11 settembre. Al-Masri ha poi raccontato di essere stato rapito da “sette o otto uomini vestiti di nero che indossavano dei passamontagna neri”. Egli ha detto di essere stato spogliato dei suoi vestiti, bendato e imbarcato su un aereo in manette – un resoconto che corrisponde ad altre descrizioni di prigionieri catturati nell”ambito del programma delle renditions.

In un altro importante caso, un egiziano noto come Abu Omar è stato sequestrato in Italia nel 2003 e trasportato segretamente in una prigione egiziana, dove egli ha detto di essere stato torturato. L”incidente divenne fonte di grave imbarazzo per la CIA quando le autorità italiane, usando le registrazioni dei telefoni cellulari, identificarono gli operativi dell”agenzia americana coinvolti nel sequestro e cercarono di portare avanti un”azione legale nei loro confronti.

La delusione dei difensori dei diritti civili

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Con grande disappunto dei gruppi americani per la difesa dei diritti civili, l”amministrazione Obama sta anche difendendo le decisioni dell”amministrazione Bush di mantenere segreti molti documenti relativi alle intercettazioni telefoniche compiute in America, alla raccolta di dati su viaggiatori e cittadini americani, ed agli interrogatori a sospetti terroristi. Secondo l”Associated Press, in una mezza dozzina di casi gli avvocati del Dipartimento della Giustizia si sono opposti alle richieste di rinviare l”azione giudiziaria fino a quando la nuova amministrazione avrà riscritto i principi del Freedom of Information Act (FOIA).

I gruppi per la difesa dei diritti civili che promuovono un governo trasparente, le libertà civili ed il rispetto della privacy, accolsero con grande gioia il fatto che Obama nel suo primo giorno da presidente smentì le politiche del FOIA imposte dal primo ministro della giustizia dell”amministrazione Bush, John Ashcroft, promettendo “un livello di trasparenza senza precedenti nel governo” ed ordinando che venissero scritti nuovi principi per il FOIA. Tuttavia, da allora le azioni del Dipartimento della Giustizia hanno sollevato dubbi sulle reali intenzioni dell”amministrazione.

Secondo Jonathan Turley, professore di Legge alla George Washington University, l”amministrazione Obama sembra voler cancellare l”idea che Obama combatterà per le libertà civili e per le indagini sui crimini di guerra. “Dopo che Eric Holder sembra aver assicurato a un senatore che non vi saranno indagini sui crimini di guerra, ed è sembrato difendere le politiche di Bush, la preside della Facoltà di Legge dell”Università di Harvard, Elena Kagan, la candidata di Obama alla carica di vice procuratore generale, ha detto a un senatore repubblicano che l”amministrazione è d”accordo con Bush sul fatto che siamo in guerra, e perciò può trattenere in stato di detenzione i combattenti nemici indefinitamente”.

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“Visto che al vice procuratore generale viene richiesto di applicare la legge, la risposta della Kagan è estremamente allarmante”, ha dichiarato Turley.

Quando le è stato chiesto se una persona catturata nelle Filippine e sospettata di aver contribuito a finanziare al-Qaeda verrebbe considerata come un prigioniero catturato sul campo di battaglia, la Kagan ha risposto che lei concordava con l”amministrazione Bush sul fatto che una persona del genere può essere considerata un combattente nemico.

Con questa risposta della Kagan, l”identificazione dell”amministrazione Obama con le politiche dell”era Bush è completa – ha commentato Turley.

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Abdus Sattar Ghazali è un giornalista di origini pakistane residente negli Stati Uniti; è direttore esecutivo della rivista online ”American Muslim Perspective” (www.amperspective.com)


Titolo originale:

The war that cannot speak its name

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