Il bluff di Abu Mazen, rais senza alternative

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12 Novembre 2009 - 22.38


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di Michele Giorgio – il manifesto.


«L”apprezzamento espresso da Hillary Clinton per le posizioni di Netanyahu è stato un colpo basso per Abu Mazen, un modo per segnalare che (il presidente dell”Anp) non va più bene». Aveva visto bene lo stimato ex deputato di Fatah, Husam Khader, interpretando, la scorsa settimana a Nablus, il plateale sostegno dato dal Segretario di stato Usa alla limitatissima sospensione dell”espansione delle colonie ebraiche in Cisgiordania offerta dal premier israeliano.

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Un paio di giorni dopo le considerazioni fatte da Khader, il presidente dell”Anp ha annunciato di non volersi ricandidare alle elezioni da lui stesso convocate per il 24 gennaio 2010. «Stati Uniti e Israele cercano un Karzai palestinese, qualcuno che (come il presidente afgano) accetti senza fiatare i loro piani», aveva aggiunto Khader, che pure non è un sostenitore di Abu Mazen.

Il presidente dell”Anp è stanco e deluso dalle promesse non mantenute dagli americani, della vecchia e della nuova Amminitrazione. Per anni è stato «l”uomo giusto» di Washington (e dell”Ue) in terra palestinese. Si è contrapposto persino al «padre della patria» Yasser Arafat, scomparso esattamente quattro anni fa (oggi in Cisgiordania sono previste commemorazioni con migliaia di persone, Hamas invece ha vietato i raduni a Gaza e ha detenuto decine di attivisti di Fatah). Più di recente ha permesso l”avvio di un programma di addestramento di truppe palestinesi anti-Hamas sotto la supervisione di un generale Usa, Keith Dayton. Ha anche lasciato che «l”uomo forte» di Fatah a Gaza, Mohammed Dahlan, complottasse contro il governo di unità nazionale guidato dall”islamista Ismail Haniyeh, finendo poi per pagare lui il prezzo più alto del conseguente colpo di mano di Hamas a Gaza.
Abu Mazen ritiene di aver fatto la «sua parte» e, per questo, è esploso quando l”Amministrazione Obama ha fatto retromarcia sullo stop totale della colonizzazione originariamente richiesto a Israele. Ora minaccia addirittura di dare le dimissioni e smantellare l”Anp, un”idea che non dispiacerebbe a una larga porzione della popolazione dei Territori occupati. «Il presidente ha lavorato per creare uno Stato palestinese ma questo Stato non è in cantiere, quindi perché dovrebbe rimanere al suo posto. Inoltre non ha motivo di continuare a esistere anche l”Anp, che venne istituita all”unico scopo di gettare le fondamenta dello Stato di Palestina», ha spiegato il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat mettendo in dubbio la ben nota formula dei «due Stati» ed evocando per la prima volta quella dello «Stato unico» per israeliani e palestinesi.
D”altronde segnali incoraggianti dagli Stati Uniti per i palestinesi ne sono giunti pochi, anche nelle ultime ore. Obama ha ricevuto Netanyahu nella tarda serata di lunedì, un incontro a porte chiuse durato un”ora e mezza e senza conferenza stampa finale, a segnalare quello che la stampa israeliana progressista ha definito il «gelo» tra la presidenza Usa e Netanyahu. Washington tuttavia si guarda bene dal prendere iniziative concrete per cercare di piegare l”intransigenza israeliana.
E la minaccia di uno scioglimento dell”Anp ha fatto rumore ma in molti sospettano che il rais palestinese stia solo cercando di far pressione su Obama per spingerlo ad alzare con voce con Israele. «Non credo che Abu Mazen voglia andare sino in fondo ma allo stesso tempo (il presidente) non può rimanere a guardare, deve fare qualcosa se vuole costringere Netanyahu a cambiare rotta e gli americani ad adottare una linea più decisa e neutrale», sostiene Mustafa Barghouti, che sfidò Abu Mazen alle presidenziali del 2005. Dubbi anche sulla «non ricadidatura», visto che la Commissione elettorale dell”Anp non ha ancora avviato la preparazione del voto del 24 gennaio, al quale nessun palestinese crede, perché Hamas lo impedirebbe a Gaza e boicotterebbe in Cisgiordania.
Non è peregrina però l”ipotesi della ricerca di un «Karzai palestinese». Il moderato e filo-occidentale Abu Mazen potrebbe davvero non andare più bene a Washington e Tel Aviv, poiché anche lui (come fece Arafat) si rifiuta di accettare tutte le condizioni dettate da Israele per la nascita di uno Stato palestinese. Ma il «Karzai palestinese» non è facile da individuare. Non certo è certo il premier Salam Fayyad (molto stimato dagli Usa), perché non essendo un dirigente del partito Fatah non ha possibilità di venir eletto. Non Mohammed Dahlan il quale, pur avendo recuperato influenza e potere (nei media), è visto dalla popolazione come un «agente degli americani». Allo stesso tempo dovranno rinunciare alle loro speranze di cambiamento i sostenitori del «comandante dell”Intifada» Marwan Barghuti (in carcere in Israele). Il Comitato centrale di Fatah non ha intenzione di candidarlo, nonostante la sua enorme popolarità. Alla fine Abu Mazen rimarrà al suo posto.

Altri approfondimenti su Rete – ECO Ebrei Contro l”Occupazione.

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