Pakistan, la catastrofe che non fa audience

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18 Agosto 2010 - 23.30


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di Alessandro Cisilin.

Nessuna diva di Hollywood a lanciare appelli in lacrime. Nessun concerto prospettato dalle stelle del rock mondiale. Nessun fuoriclasse del basket americano o del calcio europeo ad annunciare generose donazioni. Nessuna banca o televisione occidentale di rilievo a organizzare un conto corrente per eventuali aiuti. Il Pakistan non riscuote la fascinazione esotica della Haiti devastata sei mesi fa dal sisma o delle coste indonesiane travolte dallo tsunami del 2004. Eppure, è da oltre una settimana che le Nazioni Unite vanno ripetendo che le piogge torrenziali di queste settimane intorno alla valle dell”Indo sono “più catastrofiche di tutte le calamità naturali degli ultimi anni messe assieme“.

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Un”esagerazione, forse, in riferimento al numero dei morti accertati, fermo a circa 1700.

Ma le dimensioni della calamità sembrano in effetti non conoscere precedenti, con oltre 160mila chilometri quadrati – più della metà del territorio italiano – sott”acqua, e venti milioni di persone rimaste senza casa. “Mai visto nulla del genere“, ha commentato il Segretario Generale dell”Onu Ban Ki Moon, che ha sorvolato domenica scorsa alcune aree inondate col presidente Zardari.

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L”estensione del disastro rende perciò poco attendibile ogni stima sulle vittime, anche alla luce della lentezza delle informazioni circolate finora: il grosso delle esondazioni risale al 29 luglio scorso, ma solo una settimana più tardi è emerso che i morti nelle varie province pakistane colpite dagli smottamenti e dalle esondazioni erano non decine bensì migliaia. E quel che è peggio è che, qualunque sia la cifra reale delle vittime odierne, essa rischia di incrementarsi esponenzialmente. Nuove ondate di maltempo bersaglieranno il paese per l”intera settimana, pronostica Islamabad. Più grave ancora: la sopravvenuta assenza di acqua potabile, ha avvertito ieri l”Unicef, mette a rischio la vita di tre milioni e mezzo di bambini, i più esposti alla dissenteria e ad altre epidemie quali il colera, di cui sono stati denunciati nelle ore scorse i primi focolai nell”ovest del paese.

I vertici delle Nazioni Unite stanno dunque facendo il loro mestiere per sensibilizzare il mondo, ma la reazione delle cancellerie è per ora tiepida. La richiesta dell”Onu per gli interventi immediati è di circa mezzo miliardo di dollari. La cifra appare modesta, considerando che ci vorranno almeno cinque anni, secondo la Croce Rossa, per riparare agli enormi danni all”economia e alle infrastrutture, eppure l”ammontare raccolto finora corrisponde a solo un quinto.

Il territorio falcidiato è tra l”altro culla della civiltà globale, tant”è che in grave rischio per le esondazioni risulta ora perfino l”antichissimo sito di Mohenjo-daro. La realtà è che ai governi e all”opinione pubblica globale il Pakistan appare oggi come l”epicentro di tutt”altro, ovvero di quel fondamentalismo islamico con cui la Nato è in guerra da un decennio.

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Un conflitto che, inciso, vale ben altre somme, costando annualmente centinaia di miliardi di euro (700 milioni ai contribuenti italiani) per la sola missione nel vicino Afganistan (nonché per i bombardamenti oltreconfine, che hanno già messo in fuga centinaia di migliaia di pakistani). E tuttavia proprio la minaccia islamica dovrebbe ulteriormente sollecitare la macchina degli aiuti stranieri. Invece è quasi inerzia (al di fuori un “ponte aereo umanitario” in corso di trattativa tra l”Isaf e le autorità pakistane) con conseguenze che già si intravvedono esplosive, oltre che drammatiche.

Mentre le Ong lamentano la carenza di fondi, si moltiplicano le violente proteste della gente contro la latitanza degli aiuti. E i primi resoconti indipendenti confermano: in molte zone non c”è traccia del governo, e l”unica bandiera visibile è quella del partito dissidente Jamaat-i-Islami. Lo scenario riproduce quanto avvenuto cinque anni fa, all”indomani del terremoto nel Kashmir pakistano, quando i terroristi di Lashkar-e-Taiba vinsero la corsa alla solidarietà.

Oggi, i più consapevoli della posta politica in palio sembrano proprio i talebani, che hanno intimato l”Occidente a fare ciò che sta già facendo: tenersi sostanzialmente alla larga dalla macchina dell”assistenza.

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Tratto da Il Fatto Quotidiano – 17 agosto 2010.

 

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