Fenomenologia della crescita/1

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1 Febbraio 2011 - 18.12


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di Claudio Martini

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Uno dei più insigni, e tuttavia più misconosciuti esponenti della tradizione liberale è Bernard Mandeville (1670-1733). Questo medico, pensatore politico di vaste vedute, interessato di teologia e di filosofia, cultore delle scienza naturale, olandese di nascita e inglese d”adozione, ha goduto del privilegio di vivere nell”epoca della nascita di quei due paese in quanto potenze marittime e commerciali.
Olanda e Inghilterra sono infatti intimamente legate da un percorso comune, che le ha condotte, attraverso i loro imperi coloniali, ad una secolare prosperità. Queste due formazioni politiche, modernamente intese (non ci interessa qui la storia dell”Inghilterra medioevale) si forgiano entrambe nel medesimo braciere: la terribile guerra contro la Spagna di Filippo II e del suo successore, Filippo III, desiderosi di imporre l”egemonia cattolica su tutta l”Europa, nonché su tutto l”Atlantico. I cosiddetti “papisti” rimarranno gli avversari mortali di queste potenze emergenti, accomunate dalla fede protestante (tendenzialmente calvinista), fino al rovesciamento del sovrano inglese Giacomo II Stuart, cattolico e assolutista come il di lui cugino Luigi XIV, ad opera del parlamento; questo colpo di stato portò sul trono Guglielmo III d”Orange, non a caso olandese, fu salutato con entusiasmo dal padre del liberalismo politico, il mercante di schiavi John Locke, e viene ricordato come Gloriosa Rivoluzione.

Questo brevissimo excursus storico serve semplicemente a chiarire il quadro storico in cui visse e operò il nostro medico liberale. Mandeville è noto soprattutto per l”opera satirica la favola delle api, ovvero dei vizi privati e delle pubbliche virtù. In essa si descrivono le vicissitudini di un particolare alveare, nel quale la prosperità diffusa, che si riflette nella potenza dell”esercito, si accompagna alla più turpe immoralità. Il quadro dipinto da Mandeville è sconfortante, e dimostra come all”autore fossero chiare le conseguenze sociali del modello liberale: la ricchezza è mal distribuita, con drammatiche diseguaglianze, lo sfruttamento della metà più povera fa il paio con il lusso sfrontato della metà più ricca, nessuna etica è riconosciuta, fuorché quella del profitto ad ogni costo, il potere centrale non riesce a risolvere le piaghe dell”illegalità, dello spreco e dell”ingiustizia, e ogni corporazione sociale-professionale, quella dei medici come quella dei sacerdoti come quella degli avvocati, contribuisce da par suo al degrado morale, frodando il resto della popolazione e sperperando il maltolto.

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E tuttavia: « Essendo cosí ogni ceto pieno di vizi, tuttavia la nazione di per sé godeva di una felice prosperità. era adulata in pace, temuta in guerra. Stimata presso gli stranieri, essa aveva in mano l”equilibrio di tutti gli altri alveari. Tutti i suoi membri a gara prodigavano le loro vite e i loro beni per la sua conservazione. Tale era lo stato fiorente di questo popolo. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica. Le furberie dello stato conservavano la totalità, per quanto ogni cittadino se ne lamentasse. L”armonia in un concerto risulta da una combinazione di suoni che sono direttamente opposti. Cosí i membri di quella società, seguendo delle strade assolutamente contrarie, si aiutavano quasi loro malgrado. »

Vi ricorda qualcosa?

La storia prosegue con un evento rivoluzionario: Giove, dall”alto dell”Olimpo, ascoltando le continue, inconcludenti lamentele (in genovese: mugugni) delle api, scontente di vivere, anzi prosperare, un sistema così scandaloso e perverso, concesse all”alveare la virtù; e da allora l”onestà si impadronì della società delle api.

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Fu un vero cataclisma. Nessuno più mentiva, nessuno più raggirava, tutti saldavano spontaneamente i propri debiti, e questo portò alla chiusura dei tribunali, e alla disoccupazione di giudici e avvocati. Dato che il crimine e la malversazione erano spariti, anche l”apparato repressivo risultò superfluo: non ci rimisero solo guardie e carcerieri, ma persino i fabbri smisero di produrre lucchetti e casseforti. La ventata di moralità e parsimonia non riguardava soltanto delitti e mariuoli, ma anche i consumi: l”industria del lusso era in crisi, perché più nessuno indulgeva in acquisti volgari che, oltrettutto, costituivano uno schiaffo alla miseria. Decaddero tutte le arti, dalla musica all”architettura, in quanto nessuno più ricercava, e finanziava, il bello, il particolare, il raffinato.

« A misura che diminuivano la vanità e il lusso, si videro gli antichi abitanti abbandonare la loro dimora. Non erano più né i mercanti né le compagnie che facevano decadere le manifatture, erano la semplicità e la moderazione di tutte le api. Tutti i mestieri e tutte le arti erano abbandonati. La facile contentatura, questa peste dell”industria, fa loro ammirare la loro grossolana abbondanza. »

L”indole pacifista, che ora caratterizzava le api redente, cagionò la debolezza dell”esercito: e l”alveare veniva ora attaccato da tutti coloro che fino a ieri erano suoi tributari. Le api combatterono valorosamente e vinsero, ma a caro prezzo, con la morte di parecchie migliaia di loro. Quelle rimaste, sfiancate dal duro ma onesto lavoro e dalla guerra non volendo più vivere in un alveare dove rinascesse il lusso e l”ingiustizia se ne andarono ad abitare nel cavo di un albero «dove a loro non resta altro, della loro antica felicità, che la contentatura dell”onestà.»

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La conclusione che l”autorevole liberale trae è la seguente: la sola virtù non solo non conduce le nazioni alla grandezza, ma può trascinarle nella rovina: la maggior parte dlele attività umane è determinata dal vizio, e chi pensa di estirparlo per sempre complotta per paralizzare la la creatività, l”inventiva e l”operosità.

A questo punto è importante sottolineare un fatto: l”autore di questo panphlet sotto forma di favoletta potrebbe apparire come un vizioso, un uomo di facili costumi e dalle frivole abitudini. Errore: Mandevelle era un liberale, non un libertino. Era un calvinista ossessionato dalla teologia, un puritano perseguitato dell”idea di peccato. L”uomo che elogiava il vizio fino a fargli assumere il rango di categoria necessaria la benessere della società era lo stesso che proponeva pubblicamente di vietare il consumo di alcolici ai membri delel classi inferiori e di rendere loro obbligatoria l”assidua frequentazione della chiesa. Per Mandeville la virtù è «ogni atto con cui l”uomo, andando contro l”impulso della natura, ricerca il vantaggio degli altri, o la vittoria sulle sue passioni, per un”ambizione razionale di essere buono»: da cui si evince che la natura umana, assunta come esistente, è vista come ontologicamente malvagia ed egoista. Questa visione deriva dll”interpretazione calvinista dell”Antico Testamento.

La descrizione dell”alveare ci rimanda inevitabilmente alla condizione degli U.S.A, il grande paese le cui istituzioni sono permeate di liberalismo e calvinismo, l”erede ideale (e biologico) dell”Olanda e dell”ighilterra secentesche. Un paese in effetti temuto per la sua potenza militare, un paese ricchissimo, un paese dove l”illegalità impazza ad ogni livello: le mafie trovano la propria culla nelle grandi città U.S.A. (non era Lucky Luciano che diceva “lo stato si occupa della pubblica virtù, noi dei vizi privati”?), mafie nate e cresciute per il commercio di merci proibite dalla moralità puritana dell”opinione pubblicana WASP (ieri l”alcol, oggi la droga). La grande repubblica nordamericana ha il più severo sitema repressivo dell”occidente, ma anche i più alti tassi di criminalità, la più ingente popolazione carceraria e la più alta percentuale di morti per armi da fuoco. Gli stati uniti sono un coacervo di contraddizioni: sono contraddistinti dai costumi sessuali più castigati dell”occidente, eppure è negli U.S.A. Che viene prodotto l”80% della pornografia di tutto il mondo. Non c”è che dire, Mandeville ha fatto proseliti!

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Al sistema liberale, che trae le sue radici dal protestantesimo calvinista, un sistema che trasforma le passioni in insulti alla morale, e che prevede una necessaria quota di disperazione, di crimini e di sprechi per poter funzionare (il produttore puritano ha bisogno del consumatore frivolo), una concezione che considera gli uomini incapaci di autoregolarsi, cosa che rende inevitabile l”impianto di un feroce sistema repressivo, noi dobbiamo contrapporrre un altro pensiero, un”altra cultura. Propongo di partire da quanto scritto da un acuto intelletuale di poco successivo a Mandeville, Samuel Johnson, noto per il suo talento e per il suo stile di vita godereccio, il quale notò a proposito della favola: “la fallacia di quel libretto sta in ciò, che Mandeville non definisce né il vizio né la virtù. Egli annovera tra i vizi qualunque cosa regali piacere. Egli assume il più duro dei sistemi morali, quello monastico, che considera il piacere in quanto tale un vizio (..) il piacere non è di per sé vizio”.

Johnson demolisce il sistema dell”immoralità al servizio del bene comune (ossimoro dialettico) introducendo il concetto di misura. Se è vero che non tutti i piaceri sono peccaminosi, è necessario tracciare una linea di demarcazione tra ciò che dà godimento senza effetti nocivi, e ciò che va combattuto proprio a causa dei suoi effetti nocivi. La misura, categoria elaborata dai greci, implica il controllo: quel controllo che lo stato centrale di Mandeville non può fare, pur essendo così burocratico, violento e invadente, per via della lotta che deve condurre contro il vizio, pietra angolare dell”economia. La misura tutela il piacere e abbatte lo spreco, ma questo è al di là della portata dei puritani capitalisti, incapaci di trovare una via di mezzo, una mesotes tra la morale del gangster e quella del francescano. La misura, non la virtù monastica o il vizio capitalista, è la bandiera di chi combatte i liberali di ieri e di oggi, è la bandiera di chi sceglie Atene a Gerusalemme, di chi non è disposto a barattare il benessere con l”accettazione dell”ingiustizia e dell”immoralità.

Tratto da: appelloalpopolo.it

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