Ecco a cosa serve la Bocconi

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1 Marzo 2011 - 22.19


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(a cura di) Michele Maggino – Megachip.

Tratto da: SenzaSoste

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Durante la stagione della “riforma” Gelmini la Bocconi si è distinta per la difesa delle proposte del ministro. Non solo perchè parte della riforma è bocconiana di firma e di ispirazione. Ma anche per la condivisione di una filosofia di fondo: l”università serve solo se e quando garantisce profitti. Oppure come istituto di certificazione di potenzialità di affari. E che gli affari vadano cercati ovunque ce lo spiega la stessa Bocconi. L”Università commerciale milanese mette infatti online uno studio sulle potenzialità d”investimento in caso di guerra. Lo studio riguarda, secondo gli stessi firmatari, una simulazione di portafoglio per confrontare i rendimenti di un investitore che SFRUTTI sistematicamente le reazioni dei mercati comprando o vendendo attività finanziarie nelle settimane di avvio di un conflitto”.

I risultati dello studio che potete leggere qui sotto? I bocconiani, al netto del linguaggio algido dell”economista economico-finanziario, parlano alla Alberto Sordi: finchè c”è guerra c”è speranza. Di investire in futures, commodities, portafogli differenziati ed alta redditività garantita.
Ecco così l”università della Gelmini: mentre la maggior parte delle facoltà è allo stremo, la più ricca certifica che la guerra è un buon affare. Questo si che è un ruolo di punta nell”università del merito. Quello di annunciare che “le borse reagiscono positivamente all”avvio di un conflitto”. Le popolazioni magari reagiscono un pò meno positivamente ma quando il mercato tira tutto va bene.

(red) 1 marzo 2011

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La fonte

Come dei razzi. La reazione dei mercati alla guerra

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di Fabio Todesco.

In media le borse reagiscono positivamente all”avvio di un conflitto, secondo uno studio di Guidolin e La Ferrara che analizza 101 conflitti nel periodo 1971-2004. La reazione dei mercati di altre attività finanziarie è più variata

Può darsi che i mercati non amino la guerra, ma sicuramente detestano l”incertezza che solitamente precede un conflitto e quando la guerra finalmente scoppia tirano un sospiro di sollievo collettivo, che in media fa salire le borse. Lo evidenziano Massimo Guidolin (Dipartimento di Finanza) ed Eliana La Ferrara (Dipartimento di Economia) in The Economic Effects of Violent Conflict: Evidence from Asset Market Reactions (Journal of Peace Research, 47(6) 671-684, doi: 10.1177/0022343310381853).

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Utilizzando l”approccio degli event study i due studiosi analizzano 101 conflitti interni (72) o internazionali (29) nel periodo 1971-2004, per i quali è possibile stabilire una precisa settimana di avvio, e misurano i loro effetti sugli indici di borsa MSCI (Morgan Stanley Capital International) World, USA, UK, France e Japan, il tasso di cambio ponderato su base commerciale del dollaro americano rispetto alle maggiori valute, i prezzi del petrolio e dell”oro e gli indici Goldman Sachs per le commodity. Lo scopo dello studio, che utilizza quotazioni finanziarie settimanali, è prima di tutto di individuare extra rendimenti in corrispondenza della settimana di avvio dei conflitti e, poi, di “capire se gli effetti dei conflitti sulle principali variabili finanziarie avrebbero potuto essere sfruttati per produrre una superiore remunerazione degli investimenti acquistando o vendendo in modo sistematico le attività finanziarie a seconda della loro reazione media all”avvio di un conflitto”.

“In media”, scrivono gli studiosi, “i mercati borsistici nazionali hanno maggiore probabilità di reagire in modo positivo che negativo all”avvio di un conflitto. Il mercato borsistico americano è quello che mostra le reazioni più forti e produce extra rendimenti positivi in corrispondenza del 12% dei conflitti analizzati (…). In generale si evidenzia che la quota di risultati significativi è più alta per i conflitti internazionali che per quelli interni”.

Ma non tutti i conflitti sono uguali e i mercati borsistici di paesi che dipendono dalle forniture straniere di materie prime o fonti di energia possono essere colpiti con durezza da conflitti localizzati nei paesi esportatori di questi beni, specialmente quando i conflitti non sono anticipati e i mercati non hanno ancora scontato l”incertezza che ne precede l”esplosione. È il motivo per cui la borsa italiana è crollata alla notizia dei violenti scontri in Libia, dopo che simili situazioni si erano risolte in modo più pacifico in altri paesi dell”area.

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In quanto ai mercati delle commodity, le reazioni sono più variate. La reazione di un indice che comprende tutte le commodity è positiva nel 6,9% dei casi e negativa nel 4,9% (dal momento che gli autori usano dei test al 5%, i coefficienti al di sotto del 5% potrebbero essere attribuiti al caso), ma ci sono molte eccezioni, compresa la forte reazione dei future sul petrolio all”avvio di conflitti in Medio Oriente, che è negativa nel 45,5% dei casi e positiva nel 27,3%. Il risultato, scrivono gli studiosi, “conferma una tendenza generalizzata del mercato ad accumulare posizioni lunghe nella commodity a fronte dell”incertezza sull”offerta futura di petrolio. Quando i conflitti in Medio Oriente effettivamente scoppiano, scompare la domanda in eccesso motivata dalle pressioni speculative e i prezzi dei future sul petrolio scendono”. I tassi di cambio del dollaro seguono uno schema simile perché l”accumulo di riserve liquide di dollari è una risposta diffusa alla crescente ambiguità che precede l”esplosione di un conflitto.

Tutti gli impatti sui mercati finanziari sono più forti per i conflitti a maggiore intensità, sia in termini di durata sia di numero di vittime.

Guidolin e La Ferrara conducono una simulazione di portafoglio per confrontare i rendimenti di un investitore che sfrutti sistematicamente le reazioni dei mercati comprando o vendendo attività finanziarie nelle settimane di avvio di un conflitto secondo la loro reazione media ai conflitti con i rendimenti di un investitore meno sofisticato che acquisti in modo passivo il portafoglio mondiale nelle stesse settimane. Alla fine del periodo 1971-2004, l”effetto ricchezza è debole per chi avesse investito in azioni USA (sarebbe solo il 4% più ricco della controparte più ingenua), ma forte nel caso di azioni UK (ricchezza superiore del 27%). L”effetto ricchezza più significativo deriva dall”investimento sistematico in future sul petrolio, con una ricchezza che supera dell”80% quella accumulata con una strategia passiva.

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