Sardegna: giochi di guerra

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1 Marzo 2011 - 23.41


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di Gianni Lannes – costruendo.lindro.it.

Villaputzu – «Sa die de sa vardiania»: il giorno della sorveglianza, recita un cartello in lingua sarda. A Quirra, minuscola frazione di Villaputzu in provincia di Cagliari, la popolazione seguita a morire. 14 persone uccise dalla leucemia in un paese di 150 abitanti e 14 bambini nati con gravi malformazioni. Numeri da scenario di guerra in un belpaese volutamente addormentato dalla spazzatura televisiva e dal chiacchiericcio internettiano. Abbonda l”uranio artificiale a Quirra: qui aleggiano -secondo gli accertamenti ufficiali- valori di radioattività cinque volte superiori alla norma. Isotopo 238, in gergo uranio arricchito. Tradotto: mortale. Lo hanno scoperto il 26 febbraio gli esperti inviati dalla Procura di Lanusei per un”ispezione nel poligono.

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Lo hanno trovato al”interno di cinque cassette, sistemate in un deposito di materiali speciali, compreso il munizionamento rimasto inesploso dopo le esercitazioni e in attesa di una futura distruzione. Magazzino senza nessuna misura di protezione o di sicurezza, senza nessun cartello di pericolo, dove l”accesso era libero per chiunque lavori all”interno della base” mi spiega al telefono Mariella Cao, antica combattente civile del Comitato Gettiamo le basi.

Il deposito si trova a Capo San Lorenzo, ad un soffio dalla spiaggia e dalla zona dove, secondo i veterinari delle Asl di Lanusei e Cagliari, si sono ammalati cancro nel sangue 10 pastori su 18. È una solida conferma nell”inchiesta del procuratore Domenico Fiordalisi. Il deposito di Quirra è stato sequestrato e sigillato, le cinque cassette metalliche altamente radioattive sono state consegnate al professor Paolo Randaccio, fisico nucleare dell”Università di Cagliari, che nel bunker dell”Ateneo le aprirà per sapere dove l”uranio 238 è contenuto. Si tratta di particolari proiettili in grado di perforare qualsiasi corazza? Oppure di pezzi di radar o di barre stabilizzatrici di missili?

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L”ispezione è scaturita dalle denunce presentate alla Procura della Repubblica di Lanusei e alla Squadra mobile di Nuoro. Gli inquirenti hanno potuto appurare che in quei magazzini diversi soldati che lavoravano come magazzinieri si erano ammalati tutti della stessa patologia: linfoma di Hodgking. Uno dei tumori più aggressivi.

La Procura di Lanusei indaga per «omicidio plurimo, danni ambientali e omissione di controllo». Il poligono di tiro della Difesa viene utilizzato anche da altri eserciti e da multinazionali degli armamenti che testano armi di ogni tipo, coperti dal segreto di Stato, dagli omissis della Nato e delle industrie di morte.

La magistratura ha scovato nell”ordine: un missile con 100 chili di esplosivo impigliato nelle reti di un peschereccio, una discarica sottomarina fatta di vecchie bombe e rottami di radar e un sito abusivo pieno di bersagli.

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A Quirra si arriva attraverso una strada che solca un ”far west”. Una manciata di case e nessuna industria. La gente viene qui a raccogliere i funghi e a fare qualche bagno nel mare proibito. Ci sono agrumeti: grosse arance e limoni che i sardi ti regalano con fierezza. C”erano, una volta, le pecore. Ora è difficile intravederle: i pastori versano lacrime di sangue, molti agnelli sono nati malformati. A un tiro di schioppo dal centro abitato si staglia una lunga cesoia di filo spinato e un check point: tredicimila ettari di ”luna park” per eserciti che giocano alla guerra. Piombano in mimetica, ma anche in giacca e cravatta. Dal microcosmo dei civili si avvertono solo esplosioni. “Quirra si è accorta di essere malata quando è venuta a sapere del primo militare sardo ucciso dall”uranio impoverito“, racconta Mariella Cao.

È il 1999 e l”Italia sta combattendo una guerra in ex Jugoslavia. Si inizia a balbettare di Sindrome dei Balcani. In Sardegna, invece, si parla di Sindrome di Quirra. Sotto accusa i proiettili all”uranio impoverito, arma potente e a basso costo capace di trasformare le corazze in burro.Se nei teatri di guerra usavano quel tipo di proiettili da qualche parte dovevano pur testarli” continua Cao.

Nel 2001 si inizia a parlare degli effetti dell”uranio impoverito sulla salute umana. Contemporaneamente Antonio Pili, allora sindaco di Villaputzu, denuncia otto casi sospetti nella vicina frazione di Quirra. Otto casi su 150 abitanti e Pili, che di professione fa l”oncologo, si riferisce solo ai suoi pazienti. Affiora qualche inchiesta giornalistica. Così, nel dicembre 2002, il ministero della Difesa affida un”indagine ambientale all”Università di Siena. Per lo Stato è “Tutto a posto“. Nel 2006 arriva la Regione Sardegna, con un campione di 26.130 abitanti su un territorio di 10 comuni. Il periodo di riferimento va dal 1981 al 2001. Risultato? Si rileva una crescita di tumori del sistema linfoemopoietico. Significa mielosi e leucemie. Trentasei morti. Sopra la media, ma non abbastanza da non rappresentare una prova diretta e inequivocabile.

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Proiettili all”uranio impoverito (foto di Gianni Lannes)

In effetti, per verificare se in quel territorio ci sono troppi tumori basta fare una banale operazione aritmetica. Bisogna incrociare i dati dell”indagine della Regione con le cifre fornite dall”Asl 8 sui casi a Villaputzu tra il 1998 e il 2001 e su quelli a Muravera-San Vito nell”anno 2000. Risultato? Il 75 per cento dei morti – 27 su 36 – sono concentrati in un piccolo pezzo di terra tra Villaputzu, Muravera e San Vito.

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Un”area, nemmeno troppo popolata, che non ha nulla attorno, se non il poligono militare. E, per la cronaca, i 14 morti di Villaputzu sono quasi tutti nella frazione di Quirra, che conta 150 abitanti. Nel gennaio del 2011 arriva un”ulteriore conferma. Due veterinari dell”Asl di Cagliari e Lanusei, insospettiti dall”eccessivo numero di pecore malformate, iniziano a contare quanti uomini e quanti animali si ammalano. Risultato? Dieci pastori su 18 che lavorano entro un raggio di 2,7 chilometri dalla base hanno la leucemia.

Gli ultimi a sbarcare sono stati gli israeliani. Ma da quelle parti hanno sperimentato in tanti, perfino i libici. E” un centro d”eccellenza per testare nuove armi. Nuovi clienti: al poligono arrivano nel 2007 soldi aerospaziali: un milione di euro. Dalla ricerca aerospaziale arriva sull”Ogliastra una pioggia di denaro. un milione e duecentomila euro per tre anni con la possiblità di rinnovare l”accordo per ulteriori dieci anni: questa la somma che il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira) verserà al ministero della Difesa per l”utilizzo del Poligono Sperimentale Interforze del Salto di Quirra. Lo ha detto il sottosegretario alla Difesa, Emidio Casula, secondo cui «si tratta di un primo concreto esempio di impiego per scopi civili delle professionalità e delle attrezzature del Pisq che dimostra concretamente di essere una risorsa preziosa per i programmi di sviluppo aerospaziale nazionale». Per fare un giro di giostra, basta un”autocertificazione e tanti quattrini.

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SERVITU” INFINITA
La Sardegna dal mare alla terraferma è occupata dalla più estesa servitù militare d”Europa” rivela l”ammiraglio Falco Accame, ex presidente della Commissione parlamentare Difesa. In quest”isola è concentrato l”80 per cento dei centri di sperimentazione bellica in Italia. Nell”isola il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a 24.000 ettari; in tutta la penisola italiana raggiunge i 16.000 ettari. A questa cifra vanno sommati i 12.000 ettari gravati da servitù militare. Gli spazi aerei e marittimi sottoposti a schiavitù militare sono di fatto incommensurabili, solo uno degli immensi tratti di mare annessi al poligono Salto di Quirra con i suoi 2.840.000 ettari supera la superficie dell”intera isola (kmq 23.821).

Correva l”anno 2006 (29 novembre) – in un”audizione alla Camera – e l”allora Capo di Stato Maggiore dell”aeronautica, Vincenzo Camporini non lasciava spazio a dubbi: «Le elevate potenzialità delle strutture militari della Sardegna, per l”addestramento operativo di forze aeree sono diventate oggetto di interesse di vari Paesi alleati e amici. In particolare di francesi e tedeschi. La Francia è infatti disposta a integrare le strutture già presenti in Corsica. Mentre la Germania è orientata a ottimizzare gli oltre 13 milioni di euro che versa ogni anno all”Italia per l”utilizzo di un”altra base sarda, quella di Decimomannu».

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Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra sono gli scenari di occupazione militare. Solo a Capo Frasca ci sono a disposizione 1.416 ettari. A gestire il poligono è proprio l”aeronautica, ovvero la fonte diretta della notizia dell”ampliamento. E a Capo Frasca insistono un eliporto, impianti radar e basi di sussistenza. La Difesa ci ridia la baia“: l”amministrazione comunale di Tertenia chiede al Poligono di Quirra la restituzione agli usi civili dei quattro ettari in riva al mare dove alloggia la postazione militare di Punta Is Ebbas. La richiesta è stata inoltrata invano, ben 4 anni fa dal sindaco Pisu al ministero della Difesa.

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VITTIME INFINITE
Un lancio dell”agenzia Agi (2 aprile 2007) avvertiva: «Capo Frasca: Accame, “avieri sgombra-bossoli morti o ammalati”. Nel poligono militare di Capo Frasca, in Sardegna, giovani avieri erano impiegati nella raccolta a mani nude degli ordigni sganciati dagli aerei durante le esercitazioni militari. Lo denuncia il presidente dell”Anavafaf, l”Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti, in riferimento ai casi di Ugo Pisani, Gianni Fredda e Maurizio Serra, che prestarono servizio come Vam, addetti alla vigilanza dell”aeroporto, nel poligono sardo».

L”assassino è conosciuto con la sigla U 238: uranio impoverito che ha tolto la vita a Gianni Faedda e Maurizio Serra due Vam del poligono di Capo Frasca costretti a sgomberare a mani nude e senza nessuna protezione dalle polveri di uranio impoverito i proiettili sganciati dagli aerei nella base addestrativa. Nel 2006 il padre di uno dei due avieri morti, Antonio Serra, aveva incaricato l”avvocato di avviare la battaglia legale per il risarcimento dal mistero della Difesa ai sensi della legge 308/81, che prevede elargizioni speciali per infortunio o decesso in servizio. Ma undici mesi più tardi il Ministero ha negato l”indennizzo.

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BOMBE A CAPO TEULADA
Gli ordigni sono adagiati sul fondo del mare. Basta allungare lo sguardo, oltre il manto trasparente dell”acqua, per distinguere i letali cilindri metallici. “Bombe sono“, dice Antonio Loru, volto marchiato dal sole come quello degli altri pescatori di Teulada e Sant”Anna Arresi. I quali, appese reti e nasse al recinto del Poligono militare di Capo Teulada, sono scesi in sciopero. E” dal dicembre 2003 che protestano pubblicamente, ma le istituzioni statali non ascoltano. Quando le condizioni meteomarine lo consentono, escono sui loro pescherecci a sfidare i giochi di guerra, rallentando una macchina bellica che non ammette soste forzate. Stazionano giornate intere nelle acque su cui il transito è permanentemente vietato. E rischiano anche di prendersi qualche cannonata, scendendo in mare a manovre iniziate. Infatti, proprio come i civili che nell”isola portoricana di Vieques, hanno costretto gli americani a abbandonare la base, i pescatori occupano le zone di tiro durante le esercitazioni. Qui hanno gettato le reti per decenni nei giorni in cui non si sparava. Adesso non possono più farlo. Da qualche tempo fioccano le multe: due tre, cinquemila euro. E i settanta pescatori invisibili all”opinione pubblica nazionale si sono ribellati. Chiedono a gran voce la bonifica di almeno qualche miglio lungo la costa. Hanno barche piccole, nasse e tramagli devono essere calati su fondali non tropo alti. Fondali che pullulano di bombe. Questa zona che va all”incirca da Porto Pino all”Isola Rossa, è permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi «di cui non è possibile o conveniente la bonifica», asserisce lo Stato maggiore dell”Esercito italiano. L”operazione di ripulitura comporterebbe dieci, quindici anni di lavoro e una spesa che, si ipotizza, potrebbe oscillare intorno a qualche centinaio di miliardi di vecchie lire. I pescatori chiedono di svolgere la loro attività nell”immensa zona a mare interdetta, l”unica accessibile alle loro piccole imbarcazioni, ed “esigono” che l”area, come impongono leggi e regolamenti delle Forze Armate italiane, sia bonificata, ripulita dall”accumulo di ordigni bellici esplosi e inesplosi. Per poter ripulire il tratto di mare sottoposto da 50 anni a schiavitù militare e mai bonificato, a detta di alcuni militari, bisognerebbe sospendere tutte le attività del poligono per circa 15 anni.

Un ammiraglio ha valutato “a occhio” i costi dell”operazione e ha affermato (rifiutando che fosse messo a verbale) che “per la Difesa sarebbe economicamente più conveniente regalare una villetta in Tunisia a tutti i teuladini accollandosi anche le spese di trasferimento“. Quante sono le bombe? Un numero indefinito, gli stessi militari non sanno dire. Sono un omaggio per quasi mezzo secolo di attività del Poligono militare di Capo Teulada. Alcune forse inattive, altre solo inesplose. Ma chi potrebbe distinguerle? “Io combatto da 64 anni. C”era la guerra quando sono nato e non è ancora finita“, commenta ancora Loru. “Da 33 anni mi sveglio alle 4 del mattino per pendere il mare, ma sono a casa mia“. Aveva 12 anni quando la sua e altre 250 famiglie furono costrette a svendere la casa per quattro lire per consentire la costruzione del Poligono.

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Sardegna, esperimenti bellici (foto di Gianni Lannes)

E” un conflitto lungo, estenuante, complicato, perché le forze militari internazionali pagano salato, per martoriare con ordigni d”ogni genere (compreso l”uranio impoverito, come documentano le relazioni di servizio della Nato) questi 7.200 ettari di terra – e uno specchio di mare largo all”incirca un quinto dell”isola – acquistati dalle famiglie che abitavano lì. Ma il peso contrattuale di questo nugolo di pescatori cresce: maggiore è l”esercitazione che disturbano, maggiore il danno. Nel frattempo, la popolazione del comune di Teulada, dimezzatasi dacché esiste il Poligono, registra ufficialmente il notevole incremento di svariate forme tumorali e già nel 2000, prima che fosse di dominio pubblico la questione dell”uranio impoverito, sui muri del paese si leggeva: «Benvenuti a Uraniopoli». Il colonnello Mongiorgi, comandante del Poligono, nega con fermezza che vengano utilizzate armi all”uranio e dice: “Controlliamo le munizioni di tutti quelli che vengono qui a sparare“. Anche quelle delle navi straniere? Risposta: “No comment“.

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Le esercitazioni navali -come quelle della Seconda flotta Usa, che viene a sparare qui soprattutto da quando è stata cacciata dall”isola di Vieques, segnata dall”alto grado di tumori e malattie polmonari, cardiache, cardiovascolari, da diabete e alta mortalità infantile- si effettuano con cannonate che dal mare puntano verso terra e comportano l”interdizione di un tratto di acqua molto ampio. Un esempio illuminante quanto alla considerazione militare per l”incolumità della popolazione civile proviene addirittura dagli States. Dal 1977 ogni tre mesi la US Navy svolge esercitazioni a pochi chilometri dalla costa statunitense, sparando proiettili all”uranio impoverito che vengono così disseminati in mare, in aree che sono al tempo stesso dedite alla pesca. è il nome del cannone prodotto dalla Raytheon e installato su quasi tutte le navi da combattimento statunitensi; spara fino a 4500 proiettili da 20 millimetri al minuto, contenenti un penetratore di uranio impoverito da 15 millimetri. Noncurante dei gravi rischi ambientali, la US Navy ha da sempre optato per l”economico ma letale uranio impoverito, e, continua ad utilizzarlo nonostante tempo fa avesse annunciato l”intenzione di passare al tungsteno. Solo di recente Glen Milner del gruppo pacifista Ground Zero è venuto in possesso di un documento che dimostra come la marina militare continui ad utilizzare per queste esercitazioni proiettili all”uranio impoverito, e le svolga in aree vicino alla costa di Washington e Seattle. Ciò ha suscitato notevoli preoccupazioni tra i pescatori e nella popolazione locale, anche perchè sono note le conseguenze dell”uso di queste armi nell”ambiente durante le guerre in Iraq, Jugoslavia e Afghanistan. La US Navy non ha fornito informazioni ulteriori su come si svolgono queste esercitazioni, ma i cittadini delle zone coinvolte sono comunque determinati a fare chiarezza e in caso a denunciare la marina militare statunitense.

E” comunque difficile per gli autoctoni, che di ”incidenti” ne hanno visti e subiti parecchi, credere che sia tutto sotto controllo. Sanno bene, infatti, che le bombe inesplose nei fondali vengono trascinate dalle correnti anche miglia e miglia oltre le zone interdette. Spesso le cannonate sparate dal Poligono piovono sulla zona libera di Porto Pino, sorvolando le teste dei residenti e degli occasionali visitatori. E succede anche che i carristi finiscano sempre per errore con i loro cingolati in qualche centro abitato. Le maggiori preoccupazioni, tuttavia, riguardano i rischi per la salute. L”incidenza di leucemie, tumori e malformazioni alla nascita nelle zone intorno alle basi militari è una coincidenza che spalanca squarci inquietanti e imbarazzanti. Un sempre maggiore numero di cittadini sardi -sostenuti dal Comitato Gettiamo le Basi- chiede che i poligoni e la basi dell”isola siano sottoposti a indagine super partes, a controlli permanenti e scientificamente qualificati: da Teulada a Quirra, da Perdasdefogu a Decimomannu, fino a Capo Frasca e alla base Usa di sommergibili a propulsione ed armamento nucleare di Santo Stefano (arcipelago La Maddalena), sloggiata nel 2008.

Fonte: http://costruendo.lindro.it/2011/02/28/sardegna-giochi-di-guerra/.

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