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Nel corso di una conferenza stampa tenuta sabato sera, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha paragonato i recenti sviluppi in Medio Oriente agli avvenimenti della prima guerra mondiale. Parlava a poche ore di distanza dal drammatico allontanamento del personale dell”ambasciata israeliana al Cairo in seguito alle sommosse messe in atto dai dimostranti egiziani. Stando a notizie riportate dal posto, i dimostranti sono riusciti ad entrare nell”ambasciata dopo un giorno di irritazione crescente, che ha visto la distruzione di una barriera di sicurezza e la rimozione della bandiera israeliana dall”ambasciata. Nell”Egitto post-Mubarak, i dimostranti sono entrati in un profondo e crescente malcontento riguardo le relazioni dell”Egitto con Israele.
A gennaio, quando i primi egiziani si sono riversati nelle strade del Cairo invocando la rivoluzione, i cosiddetti esperti e i politici israeliani si sono affrettati a denigrare le capacità degli Egiziani di gestire una rivoluzione che avrebbe dovuto introdurre riforme democratiche senza che la leadership islamica radicale si impadronisse del nuovo Egitto.
Alcuni commentatori, evocando i soliti stereotipi orientalisti, hanno sostenuto che l”Egitto non fosse pronto per la democrazia, in quanto la società avrebbe finito per tornare al radicalismo.
La politica israeliana, come quella americana, è stata di sostegno alla rivoluzione egiziana fino a quando il nuovo regime non ha compreso che i contorni dei rapporti tra Israele ed Egitto erano imposti dall”Occidente.
Tuttavia la causa immediata della rabbia scatenatasi sull”ambasciata israeliana la scorsa settimana non consisteva nel mancato sostegno israeliano alla rivoluzione egiziana; fresca nella mente dei dimostranti era piuttosto l”uccisione accidentale di cinque guardie di confine egiziane avvenuta nel corso di uno scontro a fuoco tra soldati israeliani e attivisti che avevano attaccato obiettivi civili e militari nel Sud di Israele il mese scorso.
Israele non si è mai scusato davvero per la morte del personale di sicurezza egiziano. Il ministro della difesa israeliano, Ehud Barak, si è detto intenzionato a esprimere rammarico, ma non a chiedere effettivamente scusa per i morti.
Per gli israeliani l”attacco all”ambasciata al Cairo non poteva arrivare in un momento peggiore considerata la loro posizione nella regione, dato che anche le relazioni tra Israele e Turchia hanno toccato il fondo.
Nelle ultime due settimane la Turchia ha annunciato un declassamento delle relazioni diplomatiche a causa delle mancate scuse da parte di Israele per il raid che uccise nove persone della Flotilla del 2010. Il ministro degli esteri israeliano, Avigdor Liebermann, a sua volta ha risposto proponendo la spedizione di armi israeliane al Partito curdo dei lavoratori (PKK), un”organizzazione terroristica responsabile di diversi attacchi su civili, inclusa nella lista del terrore degli Stati Uniti.
Fino a che Israele non sarà disposto a diramare scuse formali, le sue possibilità di migliorare i rapporti con la Turchia e l”Egitto saranno limitate. La reazione israeliana agli attacchi di Eilat, nei quali sono stati uccisi nove israeliani, è un indicatore importante di come Israele potrebbe rispondere ad un ulteriore tracollo delle relazioni diplomatiche nella regione.
A poche ore dagli attacchi di Eilat infatti, gli F-16 israeliani hanno avviato attacchi aerei sulla striscia di Gaza, uccidendo almeno 15 persone, tra i quali alcuni membri di rilievo dei Comitati di resistenza popolare.
Però Israele non ha fornito alcuna giustificazione per tali attacchi e col passare del tempo è diventato sempre più chiaro che i responsabili dell”attacco terroristico di Eilat non venivano da Gaza ma dall”Egitto.
Israele non ha ancora chiaramente spiegato perché l”obiettivo della rappresaglia sia stato Gaza. È chiaro, comunque, che la tensione tra Egitto e Israele, soprattutto la tensione violenta, può portare a inasprire la rappresaglia israeliana contro i Palestinesi.
Non si può dire in via definitiva che l”uscita dell”ambasciatore israeliano dall”Egitto spingerà il governo di Netanyahu verso maggiori attacchi ai Palestinesi, però appare probabile, data la prossima richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese alle Nazioni Unite.
Oltre ad attaccare i Palestinesi in base alla logica di reprimere i fermenti politici prima della richiesta di riconoscimento dello Stato, il governo di Netanyahu sta utilizzando la turbolenza regionale per distogliere l”attenzione dai problemi interni. Le proteste delle tende – un movimento popolare che ha scosso la società israeliana quest”estate – rappresentano una formidabile sfida a Netanyahu. I manifestanti stanno esplicitamente richiedendo la sua destituzione dall”incarico.
Eppure da quando le relazioni tra Israele e Turchia sono collassate, il movimento ha fatto tutto tranne che abbandonare i titoli dei giornali israeliani che avevano occupato per gran parte dell”estate.
Netanyahu sta conducendo una politica estera che isolerà Israele nella regione e nel mondo, e in modi del tutto nuovi. La sua incapacità nel tenere rapporti delicati con alleati-chiave, ancor più evidente dalle dichiarazioni stravaganti del suo ministro degli esteri e dalle politiche del suo ministro della difesa nei confronti dei Palestinesi, ha raggiunto livelli critici la scorsa settimana al Cairo.
Se mai c”è stato un momento per Israele nel quale manifestare una certa modesta cautela, ebbene quel momento è adesso.
Tuttavia, invece di rivedere la propria politica allo scopo di ricucire i rapporti, Netanyahu ha raffigurato gli eventi alla stregua di minacce esistenziali, mobilitando l”opinione pubblica su temi lontani dalle legittime rivendicazioni sociali e dietro una politica di arroganza che si affida alla strumentalizzazione della paura.
Dopo un mese di proteste senza precedenti e con i Palestinesi che stanno per chiedere un proprio Stato alle Nazioni Unite, soltanto un conflitto prolungato – la realizzazione dei suoi tentativi di strumentalizzare la paura nell”opinione pubblica israeliana – può salvare il governo di Netanyahu dal collasso.
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Joseph Dana è un giornalista residente a Ramallah
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Fonte: www.thenational.ae – 12 settembre 2011.
* «The National» è un quotidiano in lingua inglese controllato dal governo degli Emirati Arabi Uniti.
Traduzione a cura di Roberto Tretola.
http://www.youtube.com/watch?v=gk6Lb_F_jt8
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