Israele in Libia: preparare l'Africa per lo “scontro di civiltà”

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1 Novembre 2011 - 21.32


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di Mahdi Darius Nazemroaya – DissidentVoice.org.

Sotto l”amministrazione Obama gli Stati Uniti hanno esteso la loro “guerra lunga” in Africa. Barack Hussein Obama, il cosiddetto “figlio dell”Africa”, è divenuto di fatto uno dei peggiori nemici di quel continente. A parte il sostegno continuato ad alcuni dittatori africani, la Côte d”Ivoire (Costa d”Avorio) ha subito gravi sconvolgimenti sotto la sua tutela. La divisione del Sudan ha avuto la pubblica approvazione della Casa Bianca già prima che si svolgesse il referendum, la Somalia è stata ulteriormente destabilizzata, la Libia  è stata brutalmente attaccata dalla Nato e l”Africa Command statunitense (Africom) sta per entrare a pieno regime.

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La guerra in Libia è solo l”inizio di un nuovo ciclo di avventurismo militare esotico nel continente africano. Gli Stati Uniti adesso vogliono altre basi militari in Africa. Anche la Francia ha annunciato di avere il diritto di intervenire militarmente ovunque in Africa vi siano cittadini francesi i cui interessi siano messi a rischio. La Nato sta inoltre irrobustendo le sue posizioni nel Mar Rosso e al largo delle coste della Somalia.

E mentre disordini e tumulti stanno ancora una volta stravolgendo l”Africa con interventi esterni, Israele se ne sta zitto dietro le quinte. Tel Aviv infatti è pesantemente coinvolta nel nuovo ciclo di insorgenze, che sono legate al suo Piano Yinon per la riconfigurazione del suo intorno strategico. Tale processo di riconfigurazione si basa su una ben studiata tecnica di destabilizzazione che crea divisioni settarie volte a neutralizzare di fatto gli stati presi di mira o a causarne la dissoluzione.

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Molti dei problemi che affliggono le odierne aree dell”Europa Orientale, dell”Asia Centrale, dell”Asia sud-occidentale, meridionale e orientale, dell”Africa e dell”America Latina derivano da tensioni regionali che sono state deliberatamente innescate da potenze straniere.

Divisioni di tipo settario, tensioni di ordine etno-linguistico, differenziazioni religiose e atti di violenza interni sono tradizionalmente sfruttati da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia in varie parti del globo. Iraq, Sudan, Ruanda e Yugoslavia sono soltanto alcuni esempi recenti di questa strategia del “divide et impera” utilizzata per mettere intere nazioni in ginocchio.

 

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Le insorgenze dell”Europa centro-orientale ed il progetto di un “Nuovo Medio Oriente”

Il Medio Oriente, per certi aspetti, è sorprendentemente simile ai Balcani e all”Europa centro-orientale degli anni che precedettero la Prima Guerra Mondiale. In seguito alla Grande Guerra, infatti, i confini degli stati multietnici che si trovavano nei Balcani e nell”Europa centro-orientale furono ridisegnati da potenze straniere, con l”alleanza di forze di opposizione autoctone. Dalla Prima Guerra Mondiale fino al dopo Guerra Fredda, i Balcani e l”Europa centro-orientale hanno attraversato un continuo periodo di insorgenza, violenza e conflitto che ha perennemente diviso la regione.

Da anni ci sono promotori che auspicano un “Nuovo Medio Oriente”, con linee di confine ridisegnate, nella regione del mondo dove si incontrano Europa, Asia sud-occidentale e Nord-Africa. Questi promotori per lo più risiedono in capitali come Washington, Londra, Parigi e Tel Aviv. Quella che immaginano è una regione che si configura intorno a stati etno-religiosi omogenei. La formazione di tali stati significherebbe la dissoluzione dei più ampi paesi ora esistenti nella regione. La transizione avverrebbe nel senso della formazione di stati più piccoli, delle dimensioni del Kuwait o del Bahrain, che sarebbero così più facili da manipolare da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Israele e relativi alleati.

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Come fu manipolata la prima delle “primavere arabe” durante la Grande Guerra

I piani di riconfigurazione del Medio Oriente risalgono a diversi anni prima della Grande Guerra. Fu comunque durante la Prima Guerra Mondiale che le avvisaglie di questi disegni coloniali si resero visibili nella “Grande Rivolta Araba” contro l”Impero ottomano.

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Nonostante il fatto che britannici, francesi ed italiani costituissero potenze coloniali che avevano impedito agli arabi di godere di alcuna libertà in paesi come Algeria, Libia, Egitto e Sudan, queste potenze coloniali agirono in modo da rappresentare se stesse come amiche ed alleate della liberazione araba.

Durante la “Grande Rivolta Araba” i britannici e i francesi usarono in effetti gli arabi come fanteria contro gli ottomani per favorire i propri schemi geopolitici. Gli accordi segreti Sykes-Picot fra Londra e Parigi ne sono un esempio emblematico. Francia e Gran Bretagna agirono semplicemente in modo da usare e manipolare gli arabi facendo loro credere all”idea di una liberazione araba dalla cosiddetta “repressione” degli ottomani.

In realtà, l”Impero ottomano era un impero multi-etnico. Dava autonomia locale e culturale a tutti i suoi popoli, ma questo dato fu falsificato facendone una entità solo turca. Anche il Genocidio degli Armeni che sarebbe seguito nell”Anatolia ottomana andrebbe analizzato nello stesso contesto della contemporanea persecuzione dei cristiani in Iraq come parte di uno schema settario scatenato da attori stranieri per dividere l”Impero ottomano, l”Anatolia e gli abitanti dell”Impero ottomano.

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Dopo la caduta dell”Impero ottomano, furono Londra e Parigi a negare la libertà agli arabi, seminando zizzania fra i popoli arabi. I corrotti capi arabi locali erano anche soci nel progetto e molti di loro furono fin troppo felici di diventare clienti di Gran Bretagna e Francia. In tal senso la “primavera araba” viene manipolata anche oggi. USA, Gran Bretagna, Francia ed altri sono infatti all”opera con l”aiuto di leader e personaggi arabi corrotti per la risistemazione del mondo arabo e dell”Africa.

 

Il Piano Yinon

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Il Piano Yinon, che prosegue lo stratagemma britannico nel Medio Oriente, è un piano strategico israeliano per garantire la superiorità israeliana. Esso esige e determina che Israele debba riconfigurare il proprio ambito geopolitico attraverso la balcanizzazione del Medio Oriente e la riduzione degli stati arabi a stati più piccoli e più deboli.

Gli strateghi israeliani vedevano nell”Iraq il maggior problema strategico posto da uno stato arabo. Ecco perché l”Iraq è stato descritto come la colonna portante per la balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo. Dell”Iraq, in base ai principi del Piano Yinon, si è richiesta da parte degli strateghi israeliani la spartizione in uno stato curdo e due stati arabi, uno per i musulmani sciiti e l”altro per quelli sunniti. La prima tappa verso una tale sistemazione è stata una guerra fra Iraq e Iran, che viene trattata nel Piano Yinon.

The Atlantic (nel 2008) e lo statunitense Armed Forces Journal (nel 2006), hanno entrambi pubblicato mappe di ampia diffusione che seguivano da vicino la bozza del Piano Yinon. Accanto a un Iraq diviso, richiesto anche dal Piano Biden, il Piano Yinon richiede anche un Libano, un Egitto ed una Siria divisi. La partizione di Iran, Turchia, Somalia e Pakistan sono anch”esse perfettamente in linea con queste idee. Il Piano Yinon richiede anche delle separazioni in Nord Africa e le prospetta a cominciare dall”Egitto per estendersi al Sudan, alla Libia ed al resto della regione.

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Questa mappa è stata elaborata dal tenente colonnello Ralph Peters ed è comparsa su Armed Forces Journal, nel giugno del 2006. Map © Ralph Peters 2006.  http://dissidentvoice.org/wp-content/uploads/2011/10/The-Project-for-the-New-Middle-East.jpg

 

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Lo sradicamento delle comunità cristiane del Medio Oriente

Non è affatto una coincidenza che i cristiani egiziani siano stati aggrediti contemporaneamente al referendum nel Sud Sudan e prima della crisi in Libia. Né è una coincidenza che i cristiani iracheni, una delle comunità cristiane più antiche al mondo, siano stati costretti all”esilio, abbandonando le loro avite terre di origine in Iraq. In coincidenza con l”esodo dei cristiani iracheni, avvenuto sotto lo sguardo vigile delle forze armate statunitensi e britanniche, le periferie di Baghdad diventavano settarie dal momento che sciiti e sunniti erano costretti dalla violenza e dagli squadroni della morte a formare delle enclave settarie. Tutto ciò è legato al Piano Yinon ed alla riconfigurazione della regione come parte di un obiettivo di più ampia portata.

In Iran gli israeliani hanno a lungo e vanamente tentato di far espatriare la comunità ebraica iraniana. La popolazione ebraica dell”Iran è attualmente la seconda più numerosa del Medio Oriente e senza dubbio la più antica e indisturbata comunità ebraica del mondo. Gli ebrei iraniani si ritengono iraniani e strettamente legati all”Iran quale loro patria, non diversamente dagli iraniani musulmani e cristiani. Per loro l”idea che debbano essere trasferiti in Israele perché sono ebrei è ridicola.

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In Libano Israele sta facendo in modo da esacerbare le tensioni settarie fra le varie fazioni cristiane e musulmane, senza escludere i drusi. Il Libano è un trampolino verso la Siria e la divisione del Libano in diversi stati sembra sia un mezzo per balcanizzare anche la Siria riducendola a molteplici staterelli arabi settari. Gli obiettivi del Piano Yinon sono quelli di dividere il Libano e al Siria in più stati per quante sono le identità religiose e settarie: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Si potrebbe anche mirare a un esodo dei cristiani verso al Siria. 

Il nuovo capo della Chiesa maronita cattolica siriana di Antiochia, la più numerosa fra le comunità cattoliche orientali autonome, ha espresso i suoi timori di una purga di arabi cristiani nel Levante e nel Medio Oriente. Il Patriarca Mar Beshara Boutros al-Rahi e molti altri capi religiosi libanesi e siriani temono una presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani in Siria. In Siria come in Iraq le comunità cristiane subiscono gli attacchi di gruppi misteriosi. I capi della Chiesa ortodossa d”Oriente, incluso il Patriarca ortodosso di Gerusalemme, hanno tutti pubblicamente espresso profonda preoccupazione. Oltre ai cristiani di lingua araba, questi timori sono condivisi anche dalle comunità assira ed armena, che sono in prevalenza cristiane.

Lo shaykh al-Rahi è stato di recente a Parigi, dove ha incontrato il presidente Nicolas Sarkozy. Viene riferito che il Patriarca maronita e Sarkozy avrebbero avuto delle divergenze riguardanti la Siria, tali da indurre Sarkozy a dire che il regime siriano cadrà. L”opinione del Patriarca al-Rahi è che si dovrebbe lasciare la Siria compiere da sola le proprie riforme. Il Patriarca maronita ha anche detto a Sarkozy che Israele andrebbe considerato come una minaccia nel caso la Francia pretenda con equità il disarmo di Hezbollah.

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Al-Rahi, in ragione della linea diplomatica assunta in Francia, ha immediatamente ricevuto i ringraziamenti dei capi religiosi cristiani e musulmani della Repubblica Araba di Siria che gli hanno fatto visita in Libano. Anche gli esponenti di Hezbollah, insieme ai loro alleati politici libanesi che includono soprattutto i parlamentari cristiani, hanno lodato il Patriarca maronita che ha in seguito compiuto un viaggio nel Sud del Libano.

Shaykh al-Rahi sta ora subendo le invettive della coalizione guidata da Hariri, l”Alleanza 14 Marzo, a causa del suo atteggiamento verso Hezbollah e per il rifiuto di supportare il rovesciamento del regime siriano. Attualmente Hariri sta progettando una conferenza di personalità cristiane per opporsi al Patriarca al-Rahi e alle posizioni della Chiesa maronita. Da quando al-Rahi ha palesato le proprie opinioni anche il Partito Tahrir, che è presente sia in Libano che in Siria, ha incominciato a farlo bersaglio di aspre critiche. Viene anche riferito di funzionari statunitensi di alto rango che sarebbero arrivati a cancellare i loro incontri con il Patriarca maronita come segno di disappunto per le sue posizioni riguardo Hezbollah e Siria.

L”Alleanza 14 Marzo del Libano guidata da Hariri, che da sempre è stata minoritaria fra il popolo (sebbene in maggioranza nel parlamento), sta andando a braccetto con Usa, Israele, Arabia Saudita, Giordania e i gruppi che usano la violenza e il terrorismo in Siria. I Fratelli Musulmani e altri gruppi cosiddetti salafiti di Siria si sono finora coordinati mantenendo contatti segreti con Hariri e i partiti cristiani dell”Alleanza 14 Marzo. Ed è per questo che Hariri e i suoi alleati si sono rivolti contro il Cardinale al-Rahi. Sono stati sempre Hariri e gli alleati di coalizione che hanno fatto entrare gli estremisti di Fatah al-Islam in Libano e che hanno di recente aiutato alcuni di loro a fuggire per andare a combattere in Siria.

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Un esodo cristiano è nei progetti per il Medio Oriente di Washington, Tel Aviv e Bruxelles. È stato pubblicato di recente che il presidente Nicolas Sarkozy a Parigi avrebbe riferito ad al-Rahi che le comunità cristiane del Levante e del Medio Oriente potrebbero stabilirsi nell”Unione Europea. Non è una proposta molto cortese. È piuttosto uno schiaffo dato dalle stesse potenze che hanno volutamente creato le condizioni per sradicare le comunità cristiane del Medio Oriente. Lo scopo sembrerebbe quello di ricollocare le comunità cristiane fuori dalla regione così da sceverare i popoli arabi in modo da determinarli entro i confini di paesi esclusivamente musulmani. Ciò sarebbe in piena conformità con il Piano Yinon.


La ri-spartizione dell”Africa:  il Piano Yinon è vivo e vegeto e in piena attività.

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Nello stesso contesto delle divisioni settarie del Medio Oriente, gli israeliani hanno abbozzato dei piani per riconfigurare anche l”Africa. Il Piano Yinon cerca di delineare l”Africa sotto tre diverse sfaccettature:

  1.  etno-linguistica;
  2.  colore della pelle;
  3.  religione.

Cerca così di tracciare delle linee di separazione che dividano il continente in una cosiddetta “Africa Nera” e presumibilmente un Nord-Africa “non nero”. Questo fa parte di un progetto volto a produrre una separazione in Africa fra i presunti “arabi” e i cosiddetti “neri”.

È in corso un tentativo di separazione nel punto di convergenza fra identità araba e identità africana.

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Questo obiettivo spiega perché siano state favorite e promosse le ridicole identità di un “Sud Sudan africano” ed un “Nord Sudan arabo”. E spiega anche perché i libici di pelle nera siano stati oggetto di una campagna di “pulizia del colore” in Libia. L”identità araba in Nord-Africa sta venendo sconnessa da quella africana. Simultaneamente è in atto un tentativo di sradicamento di intere popolazioni di “arabi dalla pelle nera” così che ci sia una netta demarcazione tra una “Africa Nera” e una inedita Africa settentrionale “non nera”, che è destinata a divenire il campo di battaglia fra i restanti “non neri” berberi ed arabi.

Nello stesso contesto, vengono fomentate tensioni fra musulmani e cristiani in Africa, in posti come il Sudan e la Nigeria, così da creare ulteriori fronti e punti di rottura. Istigando queste divisioni basate sul colore della pelle, sulla religione, sull”etnia e sulla lingua parlata si intende provocare dissociazione e disunità in Africa. Tutto ciò rientra in una più ampia strategia volta a staccare il Nord-Africa dal resto del continente africano.


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Israele ed il continente africano

Gli israeliani, zitti zitti, sono da anni indaffarati sul continente Africano. Nel Sahara Occidentale, che è occupato dal Marocco, gli israeliani hanno dato una mano a costruire un muro divisorio di sicurezza simile a quello nei territori occupati della Cisgiordania. In Sudan, Tel Aviv ha armato i movimenti separatisti e gli insorgenti. In Sudafrica, gli israeliani hanno sostenuto il regime dell”apartheid e la sua occupazione della Namibia. Nel 2009 il Ministero degli Esteri israeliano ha ammesso a grandi linee che l”Africa sarebbe stata di nuovo al centro dell”attenzione di Tel Aviv.

I due principali obiettivi di Tel Aviv in Africa sono quelli di imporre il Piano Yinon, facendo combutta con i propri interessi, nonché di aiutare Washington a divenire la potenza egemone sull”Africa. A tal proposito, gli israeliani hanno anche sollecitato la creazione di Africom con questo fine. L”Istituto per gli Studi Politici e Strategici (Iasps) ne è solo un esempio.

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Washington ha esternalizzato il lavoro di intelligence in Africa affidandolo a Tel Aviv. Tel Aviv si può in effetti considerare come una delle parti coinvolte in una più vasta guerra che si svolge non solo “dentro” l”Africa, ma “oltre” l”Africa. In questa guerra, Tel Aviv sta manovrando al fianco di Washington e dell”Unione Europea contro la Cina ed i suoi alleati, che includono l”Iran. 

Tehran sta manovrando al fianco di Pechino in maniera simile a come Tel Aviv lo fa insieme a Washington. L”Iran aiuta i cinesi in Africa attraverso connessioni e legami. Questi legami includono anche i legami di Tehran con gli interessi che hanno in Africa dei privati libanesi e siriani. Pertanto, entro la più ampia rivalità fra Washington e Pechino in Africa, si è inserita anche una rivalità israelo-iraniana in quel continente. Il Sudan è diventato il terzo più grande produttore di armi dell”Africa, avvalendosi della collaborazione iraniana nel settore. Intanto, mentre l”Iran fornisce assistenza militare a Khartoum, che include vari accordi di cooperazione militare, Israele intraprende diverse azioni dirette contro i sudanesi[1].

 

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Israele e la Libia

La Libia è stata da sempre considerata come una sorta di “anticipatore” capace di sventare gli interessi delle potenze ex coloniali in Africa. A tal proposito, la Libia si è assunta l”onere di considerevoli piani di sviluppo pan-africani intesi all”industrializzazione ed alla trasformazione dell”Africa in una integrata ed affermata entità politica. Tali iniziative erano in conflitto con gli interessi delle potenze estere in competizione fra loro in Africa, ma erano in particolar modo inaccettabili per Washington e per i maggiori paesi europei. A tal proposito, la Libia andava azzoppata e neutralizzata in quanto entità sostenitrice del progresso africano e dell”unità pan-africana.

Il ruolo di Israele e della lobby israeliana è stato fondamentale nell”aprire la porta all”intervento militare in Libia. Secondo le fonti israeliane, è stato l”U.N. Watch [l”Osservatorio sionista sull”Onu con sede a Ginevra, NdT] ad aver di fatto orchestrato gli eventi a Ginevra, dalla rimozione della Libia dal Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, fino alla richiesta di intervento militare fatta al Consiglio di Sicurezza dell”Onu[2].

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L”U.N. Watch è ufficialmente affiliato all”American Jewish Committee (AJC), che influisce sulla formazione della linea di politica estera seguita dagli Stati Uniti ed è parte integrante della Israeli lobby presente in quel paese. La Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), che ha contribuito a diffondere la notizia priva di fondamento secondo cui sarebbero ammontate a 6.000 le vittime uccise da Gheddafi, è a sua volta connessa alla lobby israeliana in Francia.

Tel Aviv avrebbe mantenuto i contatti simultaneamente sia con il Consiglio di Transizione di Bengasi sia con il governo libico di Tripoli. Agenti del Mossad sarebbero stati presenti a Tripoli, uno dei quali sarebbe un ex station manager. Quasi nello stesso momento, i membri francesi della lobby israeliana stavano visitando Bengasi. Per un caso davvero ironico, il Consiglio di Transizione accusava il Colonnello Gheddafi di star collaborando con Israele, mentre a sua volta faceva solenne promessa di riconoscere Israele a Bernard-Henry Lévy, l”inviato speciale di Sarkozy a Bengasi, che avrebbe poi riferito il messaggio ai leader israeliani[3].

Una trama simile a quella che ha correlato Israele al Consiglio di Transizione si è presentata in uno stadio iniziale anche nel Sud-Sudan, che è stato armato da Israele.

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Nonostante la linea diplomatica nei confronti di Israele tenuta dal Consiglio di Transizione, i suoi sostenitori tentavano ancora di demonizzare Gheddafi dicendo che lui fosse segretamente ebreo. Non solo ciò era falso, ma per di più bigotto. Queste accuse sono state inventate come forma di diffamazione che equipara l”essere ebrei a qualcosa di negativo.

In realtà, Israele e la Nato sono nella stessa squadra. Israele è infatti un membro di fatto della Nato. Gheddafi avrebbe avuto connivenze con Israele mentre il Consiglio di Transizione avrebbe collaborato con la Nato. Ciò significherebbe che entrambe le parti sono state prese in giro l”una contro l”altra.


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Preparando la scacchiera per lo “scontro di civiltà“

A questo punto tutti i pezzi vanno messi al loro posto e i punti connessi fra loro.

Si sta ordinando la scacchiera per uno “scontro di civiltà” e tutti gli scacchi vanno mesi al loro posto.

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Il mondo arabo viene pian piano recintato e vengono create delle nette linee di demarcazione. Queste linee stanno ricucendo le linee di transizione disconnesse fra diversi raggruppamenti etno-linguistici, caratterizzati dal colore della pelle e dai tratti religiosi.

Secondo questo piano non potrà più esserci un rattoppo fra le società civili e gli stati. Ecco perché i cristiani del Medio Oriente e del Nord Africa, come i copti, vengono attaccati. Ecco anche perché gli arabi di pelle nera e i berberi di pelle nera, alla pari di altre popolazioni nere del Nord Africa, vanno incontro al genocidio. 

Ciò che si sta allestendo è una zona esclusivamente “mediorientale musulmana” (escluso Israele) che andrà in fermento per la lotta fra sciiti e sunniti. Uno scenario simile lo si sta preparando per un “Nord Africa non-nero” che sarà caratterizzato da un conflitto fra arabi e berberi. Allo stesso tempo, secondo il modello dello “scontro di civiltà“, il Medio Oriente ed il Nord Africa vengono acconciati in modo tale da trovarsi contemporaneamente in conflitto con il cosiddetto “Occidente” e con la cosiddetta “Africa Nera”. 

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Questo è il motivo per cui sia Nicolas Sarkozy in Francia che David Cameron in Gran Bretagna rilasciavano, spalleggiandosi a vicenda durante l”inizio del conflitto in Libia, dichiarazioni secondo le quali il multiculturalismo sarebbe morto nelle loro rispettive società[4]. 

Un autentico multiculturalismo minaccia la legittimità dell”agenda di guerra della Nato. Costituisce inoltre un ostacolo all”attuazione dello “scontro di civiltà” che rappresenta la pietra angolare della politica estera statunitense. A tal riguardo, Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, spiega perché il multiculturalismo è una minaccia per Washington ed i suoi alleati: «Siccome l”America diventa una società sempre più multiculturale, si può incontrare sempre più difficoltà a forgiare un consenso per le questioni di politica estera [ad esempio: la guerra al mondo arabo, alla Cina, all”Iran o alla Russia ed all”ex Unione Sovietica], fuorché in caso di una diretta minaccia esterna davvero enorme e generalmente percepita come tale. Un tale consenso è comunemente esistito durante tutta la Seconda Guerra Mondiale ed anche durante la Guerra Fredda [ed esiste adesso grazie alla ”Guerra Globale al Terrore”]»[5].

L”affermazione successiva di Brzezinski è risolutiva del perché i popoli sarebbero contrari o a favore delle guerre: «[Il consenso] aveva le sue radici, comunque, non solo in valori democratici profondamente condivisi, che il pubblico sentiva minacciati, ma anche in una affinità culturale ed etnica per le vittime prevalentemente europee dei totalitarismi ostili»[6]. 

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Etnocentrismo ed ideologia: giustificando le odierne “guerre giuste”

Nel passato, le potenze coloniali dell”Europa occidentale vollero indottrinare i loro popoli. Il loro obiettivo era di guadagnare il sostegno popolare alle conquiste coloniali. Queste presero la forma della diffusione del cristianesimo e della promozione dei valori cristiani con l”aiuto di mercanti armati ed eserciti coloniali.

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Al contempo, spuntarono le ideologie razziste. La gente le cui terre venivano colonizzate erano descritte come “sub-umane”, inferiori o prive di anima. Alla fine, il “fardello dell”uomo bianco” che si è fatto carico di una missione civilizzatrice delle cosiddette “genti incivili del mondo” divenne usuale. Questo coeso quadro ideologico descriveva il colonialismo come una “giusta causa”. Quest”ultima a sua volta legittimava la proclamazione di “guerre giuste” come mezzo per conquistare e “civilizzare” terre straniere.

Oggi, il disegno imperialista di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania non è affatto cambiato. Quel che è cambiato è il pretesto e la giustificazione per dichiarare le loro guerre di conquista neo-coloniali. Durante il periodo coloniale, le narrazioni e le giustificazioni per proclamare una guerra erano accettate dall”opinione pubblica nei paesi colonizzatori, come Gran Bretagna e Francia. Le odierne “guerre giuste” e “giuste cause” vengono ora addotte sotto le bandiere dei diritti della donna, dei diritti umani, dell”umanitarismo e della democrazia.

 

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Fonte: http://dissidentvoice.org/2011/10/israel-in-libya-preparing-africa-for-the-clash-of-civilizations/, 13 ottobre 2011.

Traduzione dall”inglese per Megachip a cura di Lirio Bolaffio.

 

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NOTE:

[1] The Economist, “Israel and Iran in Africa: A search for allies in a hostile world,” February 4, 2011.

[2] Tova Lazaroff, “70 rights groups call on UN to condemn Tripoli“, Jerusalem Post, 22 febbraio 2011; link: http://www.jpost.com/International/Article.aspx?id=209294

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[5] Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives (New York: Basic Books October 1997), p. 211.

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[6] Ibidem.


 

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