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di K.P. Nayar – www.telegraphindia.com
Trascorrere quasi una settimana in Siria può essere un esperienza sorprendente. Per la prima volta da quando sono diventato un giornalista, 40 anni fa, ero imbarazzato nell”identificarmi come appartenente ai media davanti a coloro che sono al di fuori del Quarto Potere.
Un giorno, durante il mio soggiorno a Damasco, due settimane fa, ho visto Al Jazeera annunciare le “ultime notizie” delle manifestazioni contro il governo siriano a Duma, alla periferia della capitale. Sono saltato su di un taxi e ho persuaso il riluttante conducente, che aveva anche lui sentito su Al Jazeera delle difficoltà a Duma, a portarmi lì.
Con mia iniziale perplessità e successiva repulsione, ho scoperto che Duma era tranquilla e vivace come Calcutta Park Street in una giornata normale, i suoi abitanti si occupavano dei loro affari come al solito. Per sincerarmi, ho chiesto in giro, ma nessuno sapeva niente di eventuali proteste in mezzo a loro, quel giorno, anche se molti ne avevano sentito parlare su Al Jazeera. C”erano state manifestazioni contro il governo a Duma, ma l”ultima volta che i suoi abitanti hanno protestato era quasi due mesi fa, nella terza settimana di gennaio, secondo i residenti di lì.
I giornalisti sono umani. Fanno errori. Così ho concesso il beneficio del dubbio al canale televisivo con sede a Doha (Al Jazeera, N.d.T) che è stato salutato come un piacevole nuovo inizio nell”ambito dei media globali quando fu lanciato per la prima volta. Tra le decine di giornalisti provenienti da Turchia, Egitto, Giordania, India e altre agenzie di stampa non-occidentali che si trovavano in Siria, nello stesso periodo di tempo in cui la visitavo, vi erano molti che avevano salutato Al Jazeera al suo apparire, come una valida alternativa ai media americani ed europei che ora dominano la copertura delle notizie internazionali.
Durante il resto del mio soggiorno in Siria, mi sono reso conto che questo non era un caso di involontaria cronaca errata degli eventi. E Al Jazeera non è il solo a truccare le notizie anziché raccontarle. Un nuovo gruppo di agenzie di stampa arabe, che rivendicano di essere libere, sono diventate soggetti attivi nella primavera araba, così come i movimenti ribelli e i governi in Asia occidentale, i secondi con le loro specifiche agende che in realtà sono in collisione con lo spirito di una nuova e improvvisa crescita democratico nella regione.
Combinato con una rivoluzione dell”informazione prodotta da YouTube, Facebook e il resto dei social media, uno stile completamente nuovo di gestione delle notizie sta riscrivendo le regole e le tecniche di comunicazione di crisi ormai accettate da tempo dalla diplomazia in paesi come la Siria.
Ho simpatizzato con un diplomatico europeo, a Damasco, che ha confessato di aver pasticciato seriamente a causa di questi cambiamenti e ha imparato una lezione che non dimenticherà facilmente per il resto della sua carriera. Questo diplomatico recentemente ha inviato un cablogramma al suo quartier generale, confidando che “l”Esercito Siriano Libero” di opposizione avesse distrutto un edificio a due piani che ospitava un importante gruppo dirigente della difesa, un significativo passo avanti per il gruppo finora così eterogeneo di ribelli.
La questione sarebbe rimasta lì. Ma pochi giorni dopo che il telegramma è stato inviato, un altro diplomatico della stessa ambasciata è passato dalle parti dell”edificio che doveva essere stato distrutto e ha riferito al suo collega quello che aveva visto. L”edificio era ancora in piedi e intatto. C”è stata confusione e costernazione presso l”ambasciata siriana fino a quando un dipendente siriano ha risolto il mistero per i suoi capi europei.
È normale per i diplomatici affidarsi profondamente al loro dipendenti locali, soprattutto quando vi è un ambiente pericoloso nel paese ospitante. Senza dubbio, il dollaro, in questi casi, si ferma con l”ambasciatore o il suo vice capo della missione, che ha autorizzato tale comunicazione per la trasmissione in patria. Molte ambasciate in tutto il mondo hanno dipendenti locali così affidabili che a volte per un paese sono più preziosi del capo della missione. In questo caso, la dipendente locale ha confessato che aveva solo sentito parlare della distruzione del palazzo della difesa su Al Jazeera: lei non era andata al sito per controllare il racconto circa la sua veridicità .
Anche nel migliore dei casi, informazioni affidabili e verificabili sono state difficili da trovare in paesi come la Siria di Hafez al-Assad, la Libia di Muammar Gheddafi o l”Iraq di Saddam Hussein. Dopo un anno trascorso nella rivolta contro Bashar al-Assad, i diplomatici di Damasco ora hanno preso l”abitudine di registrare i telegiornali e vederli più e più volte per stabilire la loro autenticità come dei detective che esaminano attentamente la prova potenziale con una lente d”ingrandimento o un microscopio.
Un altro diplomatico europeo da un paese che è saldamente tenuto dal presidente Assad ha avuto un”esperienza bizzarra. Stava guardando le immagini violente e inquietanti dalla Siria su un canale di notizie arabo. Un ritaglio mostrava un edificio in fiamme a Homs, che era già diventato l”epicentro della lotta tra il governo siriano e i ribelli. Ad accompagnare queste immagini era la voce di una giovane ragazza che si lamentava perché la sua casa era stata data alle fiamme dagli scagnozzi di Assad.
A questo diplomatico gli è capitato di conoscere il paese molto meglio della maggior parte dei suoi contemporanei europei e, come è la norma oggi a Damasco, stava registrando questo servizio video. Lo ha guardato più e più volte in seguito solo per rendersi conto che la proprietà in questione, che bruciava a Homs, era in realtà il quartier generale del partito al potere Ba”ath, un palazzo che conosceva bene.
Non era la casa di nessuno, come il telegiornale asseriva. Inoltre, era al di là di ogni comprensione il motivo per cui il governo siriano avrebbe colpito con una bomba incendiaria la sede provinciale del partito al governo. È ragionevole supporre che l”edificio sia stato dato alle fiamme dall”opposizione e poi videoripreso per essere utilizzato come propaganda adatta.
Non è la mia tesi che tutto ciò che si vede in televisione sulla Siria è inventato. Una stima ragionevole è che circa un terzo del paese sia scivolato fuori dal controllo del governo. Un sondaggio condotto dalla Qatar Foundation, che non è in sintonia con Assad, ha concluso nel mese di dicembre che il 55 per cento dei siriani sosteneva il presidente.
La Siria è diventata un laboratorio per sperimentare il potere dei nuovi media nel cambiare l”ordine mondiale. L”esperimento è iniziato con le “rivoluzioni colorate” altrove nell”ultimo decennio, ma i risultati sono stati misti. I tentativi di cambio del regime permanente hanno fallito dopo il successo iniziale della “rivoluzione arancione” in Ucraina e la “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan, con grande delusione di chi ha promosso queste rivoluzioni dall”estero.
Tipico di questo esperimento è quel che mi ha mostrato un diplomatico a Damasco. Le immagini televisive che ha registrato mostrano il fuoco negli edifici, ma stranamente, questi edifici resistono alle enormi fiamme e al fumo, a differenza del World Trade Center di New York che è crollato dopo essere diventato una palla di fuoco, l”11 settembre 2001.
In Siria, così come le immagini registrate dai canali di notizie arabi mi hanno convinto, un trucco utile a prendere il sopravvento in una guerra di informazione utilizzando i nuovi media è stato quello di mettere grandi pneumatici per grossi autocarri in cima agli edifici, bagnarli generosamente con la benzina e quindi sistemare le gomme sul fuoco. Con un colpo di mano nel filmare il fuoco, è possibile far sembrare che tutta la struttura sia in fiamme.
In realtà , però, gli edifici sono intatti e vengono utilizzati come un tradizionale set di film. Eppure, quando queste clip sono pubblicate sui siti web dei social media, acquisiscono una sorta di credibilità che una volta era associata con le immagini di notizie autentiche da una guerra o un disastro, naturale o altro.
Ho chiesto al ministro della Siria per conoscenza, Adnan Mahmoud, che è inevitabile che un vuoto nell”informazione sarà riempito con qualsiasi pretesa di essere una novità e che questi trucchi che utilizzano i nuovi media hanno guadagnato credibilità solo perché Damasco non ha consentito segnalazioni senza restrizioni o indipendenti da parte dei media occidentali. Non sono solo i media arabi. L”opposizione ha abilmente usato i social media e ha alimentato le agenzie di stampa con la disinformazione che ha lasciato il governo di Assad molto indietro in questo nuovo tipo di astuta guerra mediatica.
Sono stato lasciato con l”impressione che il ministro non era indifferente a questo, ma il problema con i governi come quello di Damasco è che anche i ministri possono essere impotenti. Il vero potere risiede altrove e sostiene di saperla lunga.
Ho passato un”ora con Ahmad Badr al-Din Hassoun, Gran Mufti [1] di Siria. Da sette anni è il massimo leader religioso dei sunniti, che costituiscono la maggioranza nel paese. È stato inquietante, per usare un eufemismo, sentirlo accennare al Kashmir almeno sei volte durante la nostra conversazione.
L”India dovrebbe informare sulla minaccia che il successo dell”attuale esperimento mediatico, in Siria, potrebbe rappresentare per la propria società multi-religiosa, multi-etnica, e pluralistica. Quando i problemi in Palestina e nel resto della comunità musulmana saranno infine risolti, il nuovo raccolto di pretendenti alla libertà di informazione nei media arabi potrebbe un giorno scegliere l”India per promuovere l”agenda di alcuni stati arabi riscrivendo le regole del giornalismo e della diplomazia così come le abbiamo comprese per lungo tempo.
Fin da ora, l”India è mal equipaggiata per affrontare una tale minaccia per la sua stessa esistenza. Quanto prima il paese si sveglia e si rende conto di questo pericolo, tanto meglio sarà per tutti gli indiani.
Traduzione per Megachip di Pierfrancesco Proietti.
*Editorialista internazionale e corrispondente per le Americhe, The Telegraph of Calcutta, India.
Fonte: http://telegraphindia.com/1120314/jsp/opinion/story_15244649.jsp.
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1. Il titolo di Grand Mufti si riferisce al più alto ufficiale della legge religiosa islamica sunnita o ibaita di un paese musulmano. Questi da pareri legali ed editti, fatwa, interpretazioni della legge islamica per i privati o per aiutare i giudici a decidere. Le sue opinioni, raccolte, servono come fonte di preziose informazioni sull”applicazione pratica della legge islamica in opposizione alla sua formulazione astratta. Le “fatawa” (plurale di “fatwa”) del Gran Mufti non costituiscono precedenti vincolanti in settori come le leggi civili, la regolamentazione del matrimonio, divorzio ed eredità . In sede penale, le sue raccomandazioni non sono vincolanti in generale.
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