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di Giovanni Badoer – Megachip
Purtroppo, nell”uccisione in pieno centro a Kabul di Mawlawi Arsala Rahmani, membro dell”Alto consiglio della pace nonché ex ministro dell”Istruzione superiore nel governo talebano degli anni ”90, c”è poco Woody Allen e molto Zbigniew Brzezinski. Poco raffinato umorismo, e molta fredda crudeltà geopolitica.
La facilità con cui tale atto è stato commesso, e l”impunità , almeno per ora, dei responsabili, si inserisce nella scia di altri omicidi sospetti, da quello dell”ex presidente Rabbani, a quello di due cittadini statunitensi assassinati nel loro ufficio all”interno del ministero degli Interni di Kabul. C”è, in Afghanistan, la sensazione che l”accelerazione imposta per ragioni elettorali da Obama alla firma del trattato di partnership strategica, siglato a Kabul nella notte tra il 1 e il 2 maggio, possa essere l”anticamera di una guerra civile.
L”insistenza di Washington sulla creazione di basi militari statunitensi permanenti in territorio afghano, infatti, è un elemento dirompente e, apparentemente, incomprensibile. Perché accanirsi nella creazione di simili infrastrutture, che sono invise a tutti i paesi del centro Asia – e non solo – e che avranno costi di mantenimento esorbitanti? E che non hanno alcuna utilità nell”asserita lotta globale al terrorismo, ma che semmai il terrorismo lo fomenteranno? Esattamente per queste stesse ragioni…
Il grande costo, come già scritto in passato, è un valore aggiunto per il cosiddetto complesso militare-industriale, e non certo una perdita. Saranno i contribuenti statunitensi a pagare, e i grandi contractor privati a incassare. Dal punto di vista economico, dunque, nulla osta. L”irritazione e l”ostitilità delle altre potenze regionali, dal Pakistan all”Iran, passando per Cina e Russia, poi, è la vera posta strategica di tutto l”intervento in questo povero paese. Un intervento molto “brzezinskiano”, fatto all”insegna della destabilizzazione strategica dell”Asia e, più specificamente, del centro Asia, del subcontinente indiano e del Golfo. Ma non solo. Le basi militari statunitensi in Afghanistan, un autentico jackpot geopolitico, dovranno essere rifornite. Il Pakistan non vorrà certo cooperare in questo sforzo, essendo una delle principali vittime di tali infrastrutture.
Stesso discorso per l”Iran. E per la Russia. Resta solo il Turkmenistan, come possibile via di rifornimento. Turkmenistan, Azerbaigian, Georgia. In Georgia, è ormai completata una magnifica autostrada a doppia carreggiata in cemento, i cui lavori sono stati avviati subito dopo la guerra con la Russia del 2008. Se si prevede davvero di far passare i rifornimenti militari attraverso il Turkmenistan, allora si prevede anche di incorporare tale paese nell”Asse del Bene, ovviamente. E il Turkmenistan è uno dei principali produttori di gas metano, unica speranza per l”Europa di affrancarsi almeno in parte dal monopolio russo, specialmente se i rapporti con la sponda sud del Mediterraneo dovessero subire contraccolpi in seguito alla destabilizzazione delle varie “primavere”.
Si ha l”impressione, talvolta, che quando la Segrataria di stato Clinton parla di “nuova via della seta“, alluda proprio a questo corridoio Afghanistan-Turkmenistan-Azerbaigian-Georgia. Una via della seta che assomiglierebbe a un enorme sifone, capace di svuotare l”Asia di ricchezze minerarie – afghane e turkmene – e di sicurezza, e di mantenere in uno stato di destabilizzazione perenne il Pakistan, l”Afghanistan e, più in generale, le terre a ovest della Cina e a sud della Russia. Ancora una volta, il paragone tra il ruolo assegnato a questo Afghanistan, motore della destabilizzazione regionale, e quello assegnato a Israele per il Medio oriente si ripropone con forza.
L”Europa, per parte sua, non avrebbe certo da guadagnare da una simile destabilizzazione. Ottenere il gas turkmeno è già oggi possibile, senza bisogno di guerre e di tensioni. Se la Russia dovesse percepire questo disegno come un atto ostile, quale esso è, avrebbe un intero ventaglio di possibilità per mettere a repentaglio il passaggio del gas verso l”Europa. Non dimentichiamo che i carri russi stazionati in Ossezia meridionale si trovano, letteralmente, a pochi minuti di distanza dal grande tubo. Forse questo spiega la crescente irritazione dei circoli diplomatici del Vecchio continente verso certe scelte statunitensi che, a occhi profani, sembrerebbero, semplicemente, prive di senso. Ma che un senso ce l”hanno eccome…
E tuttavia, come si lega questo disegno all”omicidio di Mawlawi Arsala Rahmani? Affinché gli Usa abbiano le basi, la cosiddetta “riconciliazione” deve fallire. Perchè i talebani non accetteranno mai la presenza delle basi e, più in generale, non la accetteranno i pashtun. A favore restano solo i tagiki oltranzisti, quelli che sono usciti vincitori dallo scontro con i talebani nel 2001 grazie alle bombe Usa, e che da autentiche mosche cocchiere ritengono di possedere una forza che, in realtà , non hanno.
Per il futuro, se questa ipotesi è corretta, si vedranno meno attacchi talebani indiscriminati, e più atti di violenza tra tagiki e pashtun. Cosa questo significhi è chiaro. Il bagno di sangue finale, la guerra civile. E tuttavia, non è affatto scontato che questo destino sia segnato. Non è scontato che il passaggio elettorale 2014-15, quando si rinnoveranno, o si dovrebbero rinnovare, presidenza e parlamento, lasci immutata l”attuale costellazione di potere. È già accaduto in Iraq, dove il “brillante” piano di Bush il Giovane si è infranto contro la volontà del popolo iracheno, risultando nel più colossale fiasco registrato dalla diplomazia statunitense negli ultimi anni. Se il popolo afghano avrà una possibilità , anche imperfetta, di esprimere il proprio volere, possiamo essere ottimisti.
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