In Afghanistan i droni uccidono sempre più civili

Nel 2012 le forze armate Usa e la Cia hanno accresciuto il numero di attacchi in Afghanistan mediante l’utilizzo di aerei senza pilota

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5 Marzo 2013 - 06.00


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di Antonio Mazzeo.

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Nel 2012 le forze armate Usa e la Cia hanno accresciuto notevolmente il numero di attacchi in Afghanistan mediante l’utilizzo di aerei senza pilota, uccidendo molti più civili dell’anno prima. Secondo quanto rilevato dalla Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), lo scorso anno sono stati lanciati con i droni 506 bombardamenti, il 72% in più di quanto verificatosi nel 2011 quando gli attacchi furono 294. L’escalation è stata confermata dal Comando centrale dell’U.S. Air Force che ha specificato come nel 2012 i droni sono stati utilizzati nel 12% degli attacchi aerei, mentre l’anno precedente ciò era avvenuto solo nel 5% dei casi.  Nell’ultimo rapporto annuale sui morti civili nel conflitto afgano, le Nazioni Unite hanno accertato perlomeno cinque incidenti in cui è stata coinvolta la popolazione civile con il tragico bilancio di 16 morti e 3 feriti.

In buona parte dei casi, la popolazione civile è stata colpita dai droni “per errore” durante gli attacchi lanciati contro le milizie insorgenti. Il rapporto delle Nazioni Unite segnala in particolare tre gravi “incidenti”.

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Il primo è accaduto a fine luglio scorso nella provincia orientale di Nuristan, quando un insegnante afgano a bordo di un SUV, fu colpito a morte da un drone subito dopo essere stato fermato ad posto di blocco dai Talebani.

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Nell’attacco rimasero uccisi anche tre miliziani mentre furono feriti gli altri due passeggeri del SUV, uno dei quali minorenne. Il 22 ottobre 2012, nella provincia di Logar, morirono invece quattro ragazzi per le esplosioni delle bombe di un Predator Usa teleguidato verso un’area a un paio di miglia di distanza dove era in corso uno scontro a fuoco tra i reparti governativi afgani e i Talebani. Infine, il 23 settembre, nella provincia di Kunar, l’attacco “selettivo” di un drone contro due comandanti talebani ha causato pure la morte del sedicenne Bacha Zarina. Provata dalle autorità locali l’assoluta estraneità del giovane all’organizzazione insorgente, il Comando militare Usa ha deciso di “indennizzare” il padre della vittima con 2.000 dollari.

Sino ad oggi l’incidente più grave causato in Afghanistan dal bombardamento di un velivolo senza pilota resta quello avvenuto nel 2010 nella provincia di Oruzgan, quando morirono 24 civili scambianti dalle telecamere spia per Talebani.

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Mentre i portavoce delle forze armate Usa a Kabul non hanno voluto spiegare le ragioni del sempre più intensivo utilizzo di droni nel conflitto afgano, per The Associated Press si tratta di un chiaro segnale che il Pentagono intende «esemplificare» la lotta contro i ribelli mentre si sta preparando a ritirare o ridurre drasticamente le truppe Usa nei prossimi due anni.

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«L’esorbitante aumento nel numero delle operazioni dei droni accresce la possibilità che le forze armate statunitensi diventino ancora più dipendenti da essi nella lotta ad al-Qaida, via via che si avvicina la fine del 2014», scrive l’agenzia stampa. L’inarrestabile e mortale escalation ha spinto Georgette Gagnon, responsabile dell’ufficio per i diritti umani di UNAMA, a lanciare un appello perché vengano riviste le scelte tattiche e gli obiettivi delle operazioni aeree «in modo da assicurare il rispetto delle leggi umanitarie internazionali».

Intervenendo recentemente al Congresso, il sen. Lindsey Graham (repubblicano eletto nella Carolina del Sud) ha denunciato che gli attacchi dei droni in Afghanistan, Pakistan e Yemen hanno causato dal loro avvio con l’amministrazione di George W. Bush ad oggi, più di 4.700 morti. Per le Nazioni Unite le vittime sarebbero 3.000 circa, di cui non meno di 500 «non combattenti» (donne, minori, anziani).

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«Con l’uso dei droni vengono messi a rischio cinquant’anni di diritto internazionale», ha dichiarato l’avvocato sudafricano Christof Heyns, relatore speciale ONU sui temi del controterrorismo e delle esecuzioni extragiudiziali. «Gli omicidi mirati, così come sono stati definiti dai comandi militari, eseguiti con gli aerei senza pilota, sono la più grande sfida al sistema del diritto internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ci sono stati attacchi secondari di droni sui soccorritori che portano aiuto ai feriti: questi sono crimini di guerra».

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«Il termine omicidio mirato è sbagliato, perché suggerisce l’implicazione di un ruolo marginale della violenza», aggiunge Philip Alston, altro relatore speciale delle Nazioni Unite. «Il danno collaterale può essere minore rispetto a un bombardamento aereo, ma poiché si elimina il rischio di perdite militari, il loro uso può diventare smodato». Per Alston, la gestione dei droni da parte di operatori che si trovano a migliaia di chilometri dalle aree dei conflitti rischia di creare una «mentalità da Playstation» dove si uccide come se si stesse giocando un videogame. «La Cia, in particolare, coordina le operazioni militari dei velivoli comandati a distanza in maniera poco trasparente, non ponendo l’enfasi appropriata sulle regole e sui limiti imposti dal diritto umanitario internazionale», ha aggiunto il funzionario ONU.

Nel 2012, durante le operazioni belliche in Afghanistan, sono stati assassinati complessivamente 2.754 civili, contro i 3.131 del 2011. È la prima volta negli ultimi sei anni che il numero di vittime «non combattenti» registra una riduzione. La missione delle Nazioni Unite in Afghanistan rileva tuttavia che la maggior parte delle uccisioni e dei ferimenti è avvenuta nel secondo semestre dell’anno, con un aumento in percentuale del 13% relativamente allo stesso periodo del 2011. I civili uccisi dalle forze armate Usa e NATO sono stati 316 (tra cui 51 bambini) con una riduzione del 46% rispetto al 2011, mentre i feriti sono stati 271. Sono i Talebani e gli altri gruppi insorgenti – secondo l’ONU – ad aver causato l’81% dei fatti di sangue che hanno colpito i civili afgani, con 2.179 morti e 3.952 feriti. Quasi 700 persone sono state assassinate durante “attacchi mirati” a impiegati e funzionari governativi, specie nelle regioni meridionali ed orientali dell’Afghanistan.

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