Che succede in Egitto?

«Un’unica previsione è possibile con alto grado di probabilità: i primi ad essere stritolati saranno i democratici egiziani.» [Giulietto Chiesa]

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6 Luglio 2013 - 12.42


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di Giulietto Chiesa

Difficile andare alle radici degli sviluppi in corso in Egitto. E’ certo, invece, che si tratta di eventi di grande portata che influenzeranno tutta la situazione medio-orientale, in un senso o nell’altro, modificando anche i contorni delle altre crisi in atto: siriana, libanese, iraniana, turca.

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Non ho dubbi che gli sviluppi in Egitto rientrino all’interno di una vasta operazione internazionale. In primo luogo c’è stato dietro le quinte, un importante giocatore esterno: l’Arabia saudita. Riyad non ha visto di buon occhio l’arrivo al potere in Egitto dei Fratelli Musulmani. Morsi può avere fatto – e sicuramente ha fatto – molti errori, sopravvalutando la forza della Fratellanza e pensando che la sua legittimazione democratica, dopo i militari, fosse sufficiente per convincere gli Stati Uniti ad appoggiarlo.

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Ma i sauditi non avevano ingoiato il rospo. E la prima cosa che fecero, fin dal momento della vittoria elettorale di Morsi, fu di sospendere ogni aiuto economico all’Egitto. Le cifre non sono disponibili, ma non ci vuole molta perspicacia per immaginare che un gigante come l’Arabia Saudita abbia giocato sempre, in Egitto, una grande partita.

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Dunque quest’anno è stato un tempo di vasta e sotterranea, ben finanziata e ben sostenuta, sovversione arabo saudita, diretta contro i fratelli Musulmani. I petrolieri di Riyad – da sempre amici fraterni di Israele – hanno lavorato contro la linea morbida di Barack Obama, che era stato pronto ad accettare il verdetto delle urne. Certo, sposare l’arrivo al potere dei Fratelli Musulmani, moderati, ha finito per disgustare non poco tutte le (non indifferenti) aspirazioni democratiche “all’occidentale”, moderniste e laiche, che striarono le manifestazioni della Piazza Tahrir.

La caduta di Morsi appare dunque come il risultato di una singolarissima convergenza di opposti: i reazionari jihadisti finanziati e organizzati dal wahhabismo saudita; i militari che prosperarono con Mubarak e che appaiono influenzati dai militari turchi; i democratici ispirati dai social network e dalla rutilante bellezza ( per loro che non l’hanno mai avuta) della democrazia occidentale.

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Come andrà a finire non lo sa nessuno. Nemmeno Obama, che si trova ora sotto il fuoco dei repubblicani (amici più di lui dei sauditi e di Israele) i quali lo accusano, vestendo le sembianze dei difensori della democrazia occidentale, di avere ceduto ai fratelli Musulmani. Obama sta cercando di fare finta che non ci sia stato un golpe militare al Cairo, e ora invita i militari a cedere velocemente il potere, una seconda volta, riportando il paese sui binari di una transizione formalmente democratica. E invita – lo ha fatto in modo esplicito – tutte le forze in campo a sedersi a un tavolo, senza escluderne nessuna. Ovvio che questa idea dice che anche i Fratelli Musulmani dovrebbero accettare lo stato delle cose e rimettersi ordinatamente in fila per una seconda tornata elettorale. Altrettanto ovvio che la Fratellanza è l’unica forza organizzata in Egitto, oltre ai militari, e non ci potrà essere nessuna pacificazione senza e contro di essa, sebbene la sua popolarità nel paese si sia logorata a velocità portentosa in soli dodici mesi di governo.

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Ma sembrapoco probabile che le cose vadano così. Su entrambi i versanti. Riyad è riuscita nel suo intento e vuole riportare l’Egitto nell’orbita di Israele. La Fratellanza è stata espulsa dal potere con un colpo di stato in piena regola in cui centinaia delle sue sedi, ormai luoghi di vittoria elettorale, sono state date alle fiamme da rivoltosi di diverse ispirazioni. La richiesta equivale a una resa e non è detto che l’accettino. Solo stando sul campo si potrà misurare la loro forza e la loro eventuale volontà di rivincita.

Obama, a termini di legge, dovrebbe ora sospendere l’erogazione dei 1,600 milioni di dollari annui per l’assistenza economica e militare. Deve farlo, a meno di non cambiare la legge, che impone all’Amministrazione di privare di ogni aiuto un qualunque governo che “sia stato deposto da un colpo di stato militare o da un editto non democratico”. E’ questo il caso. Ma privare l’Egitto, e i militari, di queste somme sarebbe come lasciare che le cose vadano per il loro verso, rinunciando a influire e – peggio – lasciando ai petrodollari sauditi campo libero per comprare tutto e tutti.

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Qui bisogna vedere se Obama riesce a prevalere sui suoi nemici interni. L’altra leva per premere, o per comprare consensi, è rappresentata dal prestito di 4,6 miliardi di dollari che il Fondo Monetario Internazionale potrebbe concedere. Ma non sembra esserci tempo per usare praticamente questo denaro: la crisi cammina veloce, in questo caso, più del velocissimo denaro virtuale.

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Quello che è certo è il fatto che l’andamento della crisi egiziana determinerà onde molto forti, come s’è detto, sulle rive del Mediterraneo, sia quelle turche, che siriane, che libanesi, fino all’altopiano della Persia. Un’unica previsione è possibile con alto grado di probabilità: i primi ad essere stritolati saranno i democratici egiziani. Hanno giocato una partita che, probabilmente, pensano essere la loro. Ma il piatto non sarà il loro. In questo poker le intenzioni contano quasi niente.

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