di Giorgio Cattaneo.
“The
impossible, made possibileâ€: come nella pubblicità , o nelle
fiabe. Tipo quella che racconta, il 31 agosto 2013, l’amabile
narratore Vittorio Zucconi, una delle voci più influenti del
mainstream italiano da quando sono scomparsi dalla scena i
grandi giornalisti come Bocca, Biagi, Montanelli, Zavoli. Dai
microfoni di “Radio Capitalâ€, l’emittente del Gruppo Espresso,
prima delle ultime elezioni – fino all’ultimo giorno – Zucconi
condusse una campagna senza quartiere contro Grillo, fidando nella
vittoria di Bersani. Poi, già l’indomani – numeri alla mano –
“scoprì†all’istante la legittimità democratica dei 5 Stelle,
premendo sui “cari amici†di fede grillina perché si decidessero
ad allearsi col magnifico Pd. È precisamente da quest’alta
cattedra di indipendenza giornalistica che proviene la lezione
destinata ai lettori di “Repubblica†alla vigilia
dell’«inevitabile»
conflitto tra America e resto del mondo, stavolta in territorio
siriano. Per il novelliere Zucconi – e qui sta la fiaba di giornata
– gli Usa sarebbero nientemeno che una specie di Croce Rossa,
periodicamente coinvolta suo malgrado in ordinari orrori, a
causa dell’evidente incorreggibilità dei comuni mortali che
abitano il pianeta, al di qua dell’Atlantico.
«La
condanna e il privilegio di chiamarsi America», nonché «la
felice maledizione della propria “eccezionalità â€Â»: ecco i
motivi che «stanno conducendo di nuovo gli Stati Uniti verso
un’azione militare che nessuno a Washington davvero vuole, ma che
tutti sanno essere ormai inevitabile».
Il paradosso storico, aggiunge
Andersen-Zucconi, è quello di una nazione «costruita per restare
alla larga dai grovigli politici del mondo» e «per evitare ogni
legame con altre nazioni oltre gli oceani», come voleva il padre
della patria, George Washington. Paradosso che «si ripresenta con
implacabile puntualità in Siria».
Uno spettacolo «spaventoso»
e insieme «affascinante», addirittura: «È
come assistere a un’eruzione vulcanica o alla discesa di una
valanga, vedere muoversi oggi con Barack Obama gli stessi
meccanismi che negli ultimi 150 anni, da quando gli Stati Uniti
sigillarono nel sangue fraterno la loro unità , hanno portato
presidenti dopo presidenti, repubblicani come democratici,
isolazionisti o interventisti a essere risucchiati nel gorgo delle
crisi internazionali».
Il
gorgo delle crisi internazionali: il lupo cattivo in cui incappa
Cappuccetto Rosso, che ovviamente non ha mai conosciuto gente come
Henry Kissinger, Allen Dulles, Edgar Hoover, la famiglia Bush. Mai
sentito parlare, Cappuccetto Rosso, degli squadroni della morte del
Centroamerica, del Vietnam, dell’11 Settembre, delle extraordinary
renditions, delle torture, delle menzogne di Stato, di posti come
Guantanamo, Abu Ghraib e Fallujah. Da Sacco e Vanzetti a Salvador
Allende, fino ad Aldo Moro. Cos’avevano in comune, costoro, con
persone come Muhammar Gheddafi, Saddam Hussein, Thomas Sankara,
Ernesto Che Guevara, Enrico Mattei, Patrick Lumumba?
Nessuno di loro, come sappiamo, è
morto per cause naturali.
«La spiegazione di comodo,
quella che la faciloneria dell’ideologismo antiamericano sta
risfoderando anche in questi giorni, è che l’interventismo Usa sia
soltanto il braccio armato degli interessi commerciali, industriali e
oggi finanziari degli americani, mentre una piccola, ma tenace setta
di allucinati arriva ad accusarli addirittura di creare gli incidenti
che giustificano l’azione armata, dalla distruzione delle Torri
Gemelle fino alla fornitura di gas ai ribelli siriani per
“autogasarsi†e così provocare la spedizione punitiva contro
Assad».
Questo
scrive Vittorio Zucconi su “Repubblica†il 31 agosto 2013. E’
vero, ammette, «non mancano episodi di false provocazioni, come
l’esplosione del Maine nel porto dell’Avana o l’incidente
immaginario nel Golfo del Tonchino», da cui prese avvio la tragedia
criminale dell’aggressione del Vietnam.
E dimentica, il giornalista
Zucconi, di citare l’episodio più grave e più appropriato: la
vergognosa pantomima di Colin Powell alle Nazioni Unite nella quale,
munito di fialetta da agitare sotto il naso delle telecamere,
pretende di convincere il pubblico dell’esistenza delle armi di
distruzione di massa di Baghdad, casus belli necessario – e
spudoratamente inventato – per poter attaccare e invadere l’Iraq,
deporre il regime, assassinare il dittatore (ex alleato) e
precipitare il paese nel sanguinoso caos dal quale gli iracheni non
sono ancora usciti.
Inutile, aggiunge l’incredibile
Zucconi, tentare di «spiegare con formule paleo marxiane o neo
complottiste» perché gli Usa «si lascino risucchiare in azioni
armate». Lascino risucchiare?
Azioni, poi, «dalle quali non
traggono né conquiste territoriali né bottini di guerra».
Già , è vero: in Iraq e nel
Golfo Persico, dopotutto, non c’è che vile petrolio. Che sbadati,
questi americani. Che fessi. Tanto più che «neppure l’antiamericano
più allucinato può sostenere che dai 15 anni di emorragia in
Vietnam, dai dodici in Afghanistan e dai dieci in Iraq, Washington
abbia tratto vantaggi imperiali».
Eppure,
di fronte a «tragedie inqualificabili» come quella siriana, «si
alza immediatamente la richiesta di intervento americano». Da parte
di chi? Dei “ribelli†– armati fino ai denti – che hanno
portato la guerra civile a Damasco? Aiutati da chi? Da anni, i media
indipendenti descrivono le reali dimensioni dell’impegno Usa contro
la Siria: basi attivissime in Giordania e in Turchia, senza contare
Israele e il ruolo di paesi come il Qatar, il Bahrein e l’Arabia
Saudita. Denaro, milizie, razzi, cannoni, forze speciali infiltrate
almeno dal 2011 in un paese sovrano, rappresenato all’Onu, che si è
visto costretto a difendersi, anche brutalmente, impiegando
addirittura l’esercito, sul proprio territorio. L’esercito
siriano: 300.000 effettivi di leva, che da due anni vengono colpiti
anche con artiglierie. Strano: i soldati siriani combattono e cadono,
eppure non disertano. Ma perché mai annoiare con simili dettagli i
fedeli lettori di “Repubblica�
Meglio
allinearsi al rassicurante immaginario di Hollywood: l’America,
chiosa Zucconi, «non può fare a meno di essere l’America», cioè
«il protettore e la vittima, il poliziotto e il killer nella viltÃ
del mondo». E lo stesso Obama, «il guerriero riluttante, il
titolare di un Nobel per la Pace che fece sorridere anche lui nella
evidente assurdità , sta camminando, come gli eroi di tragedie greche
trascinati dal destino, verso quegli errori che riconobbe e
rimproverò ai predecessori».
L’eroe omerico Obama: «Non
subisce certamente la seduzione del teorico di quel “Nuovo Secolo
Americano†che imbambolò Bush il Giovane, ma non ha scampo».
Povero Bush il Giovane,
“imbambolato†dai suoi stragisti di corte, profeti della
distruzione di massa per terremotare il pianeta sbarrando la strada
alla Cina. E povero Obama, che “non ha scampoâ€. Perché «non c’è
un’altra America», ma soltanto questa, «sempre più sola, sempre
meno amata, sempre più indispensabile». Sarà interessante leggere
quello che scriverà , il giornale di Zucconi, il giorno in cui ci
dovessimo sciaguratamente ritrovare in guerra – tutti – senza
neanche sapere come. Per il riassunto delle puntate precedenti, quel
giorno, non basterebbe tutta la carta delle rotative di “Repubblicaâ€.
http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/31/news/la_maledizione_dell_america-65591869/?ref=HREA-1