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di Marco Santopadre.
Tutti – o quasi,
perché in Italia la notizia non ha avuto la vasta eco che ha avuto
all’estero – scoprono che le milizie jihadiste interne ed esterne al
cosiddetto Esercito Siriano Libero non sono portatrici né di liberazione
né di democrazia. Anzi. Human Rights Watch ieri ha diffuso un lungo
rapporto, composto da ben 105 pagine
fitte di testimonianze e documentazione di vario tipo, denunciando che
all’inizio di agosto le milizie fondamentaliste legate e non ad al-Qa”ida
ma composte di sunniti siriani o esteri hanno assaltato una decina di
villaggi alauiti nella regione di Latakia. Massacrando 190 civili e
rapendone più di 200.
Ricorda giustamente Sibialiria, sito di informazione sul Medio
Oriente, che dalla Siria si era già denunciato il massacro di Latakia; –
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1835
– da diversi mesi, e che quanto accaduto nella regione costiera della
Siria potrebbe essere assai più grave di quanto racconta
l’organizzazione statunitense. Perché alcuni dei bambini rapiti dai
miliziani sunniti nei villaggi intorno a Latakia sarebbero stati uccisi e
poi fotografati in modo che sembrassero vittime della strage del 21
agosto a Ghouta, quella con il gas Sarin che secondo testimonianze e
confessioni degli stessi fondamentalisti islamici sarebbe stata
provocata proprio dagli autori dell’altra strage, ‘rivelata al mondo’
ieri dal Wall Street Journal.
Perché un’organizzazione non governativa non certo nemica
dell’amministrazione Obama decide di puntare il dito contro la
cosiddetta opposizione siriana? Qualche giorno fa la Casa Bianca ha
fatto trapelare notizie riguardanti la decisione di diminuire o
rallentare i finanziamenti internazionali alle milizie jihadiste per
orientarli invece verso le milizie definite moderate, che nello stesso
Esercito Siriano Libero ormai sarebbero una minoranza sempre più in
rotta con quelle legate ad al-Qa”ida.
A conferma di una tale
strategia una notizia battuta ieri dalle agenzie internazionali secondo
cui il presidente Barack Obama avrebbe avuto un duro scontro con il
premier turco Recep Tayyip Erdoğan sulla strategia da adottare in Siria.
Secondo il solito Wall Street Journal, nel corso di un “difficile
incontro” che si sarebbe tenuta a maggio a porte chiuse a Washington,
Obama avrebbe espresso forti critiche a Erdoğan per il sostegno,
definito dagli USA ‘incondizionato’, che il regime di Ankara starebbe
accordando ai gruppi islamisti radicali e addirittura a quelli vicini ad
al-Qa”ida.
L”articolo riferisce che il capo dell”intelligence turca
Hakan Fidan avrebbe messo in atto un piano per fornire soldi, supporto
logistico e armi provenienti da Qatar e Arabia Saudita ai ribelli che
combattono nel nord della Siria, dove sono più attivi anche gli
islamisti radicali. Ankara ha più volte negato di fornire sostegno
diretto ai ribelli, ma reporter con esperienza diretta nell”area di
confine hanno più volte documentato il passaggio di combattenti, sia
dell”Esercito siriano libero (Esl) che di gruppi jihadisti.
Questi, dopo
essere stati curati negli ospedali turchi, tornavano a combattere in
territorio siriano. Nel sud della Turchia, nei mesi scorsi, esponenti
dell’opposizione turca e rappresentanti dei rifugiati siriani scappati
oltrefrontiera dai combattimenti hanno più volte denunciato che i
combattenti delle milizie dell’opposizione siriana vengono ospitati,
addestrati e armati in appositi campi montati a pochi chilometri con il
confine con la Siria.
Fino a qualche tempo fa l’amministrazione
statunitense ha tollerato il sostegno turco ai ribelli islamisti, e
secondo molte denunce vi ha anche partecipato. Salvo poi cambiare idea
negli ultimi mesi, man mano che i piani di Washington nell’area sono
saltati grazie all’intervento di Russia, Cina e Teheran.
La
sensazione è che gli Stati Uniti siano entrati completamente nel pallone
e non sappiano più bene come districarsi in un’area in cui sono
obbligati a difendere la propria egemonia. Un’egemonia che però soffre
la quantità di attori presenti sul campo, a partire da grandi potenze
rivali, in particolare la Russia e la Cina, ma anche
l’alleato/competitore francese , fino a tante potenze regionali –
Turchia, Qatar, Israele e Arabia Saudita – che di obbedire a Washington
proprio non ne vogliono sapere.
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