Brzezinski capovolto: il dilemma finale eurasiatico

Gli USA passano da ‘gendarme del mondo’ a mandante criminale. Questo cambio fa sì che si passi dalle grandi operazioni militari offensive alle forze stay-behind difensive.

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27 Giugno 2014 - 17.10


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di Andrew Korybko.


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Introduzione

Un cambiamento globale nella strategia degli Stati Uniti è attualmente
in corso, con gli USA che passano da ‘gendarme del mondo’ a mandante
criminale. Questo cambiamento fondamentale comporta essenzialmente che
gli Stati Uniti passino dalle grandi operazioni militari offensive alle
forze stay-behind difensive. Parte di tale trasformazione è la riduzione
militare convenzionale e sua sostituzione con forze speciali e agenti
d’intelligence. Anche le compagnie militari private (PMC) occupano un
ruolo maggiore nella grande strategia degli Stati Uniti. 

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Naturalmente,
ciò non vuol dire che gli Stati Uniti non hanno più la capacità o la
volontà di aggredire, per nulla, ma che la strategia in evoluzione degli
Stati Uniti preferisce un approccio più indiretto e nefasto alla
proiezione di potenza, superando invasioni e bombardamenti di massa.
Così seguendo il consiglio di Sun Tzu che  scrisse che, “la suprema eccellenza consiste nel spezzare la resistenza del nemico senza combattere“. 

 Il risultato è una miscela di rivoluzioni colorate, guerre non
convenzionali ed interventi di mercenari evitando l’uso diretto delle
truppe degli Stati Uniti e basandosi sull’ampio coinvolgimento dei
fantocci regionali. Ciò si traduce nella promozione della politica
statunitense attraverso metodi obliqui e il mantenimento della relativa
negazione plausibile. È importante sottolineare che l’assenza di forze
convenzionali sia pensata per ridurre il rischio di un confronto diretto
tra Stati Uniti e Russia, Cina e Iran, gli obiettivi primi di tali
guerre per procura. Il piano di destabilizzazione strategico e di
fratturazione eurasiatico deve la sua genesi a Zbigniew Brzezinski e al
suo concetto dei Balcani eurasiatici. Gli Stati Uniti sono flessibili
nel praticare questo concetto, che non si ferma finché la
destabilizzazione incontra un ostacolo e non può avanzare. In questo
caso, come in Ucraina, Siria e Iraq e forse presto nel Mar Cinese
Meridionale, lo stratagemma evolve massimizzando il caos negli Stati
trampolino posizionati sulla soglia delle potenze eurasiatiche. L’idea è
creare “buchi neri” del disordine assoluto in cui Mosca, Pechino e
Teheran siano “dannati se intervengono, dannati se non intervengono”.
Idealmente, gli Stati Uniti preferiscono che i loro obiettivi siano
risucchiati in un pantano che li esaurisca e li destabilizzi, come nella
guerra sovietico-afgana che Brzezinski tramò oltre 30 anni fa. Lontano
dall’espansione dei Balcani eurasiatici e ritornando alle radici
dell”anarchia afgana’, si ha la natura del Brzezinski capovolto, che
pone nella trappola del dilemma finale le potenze eurasiatiche.


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Il prototipo afgano

L’esperienza degli Stati Uniti nell’addestrare e armare i mujahidin per
scatenare e gestire la guerra sovietico-afgana, può essere considerata
la prima incursione della strategia del mandante. Gli Stati Uniti
cooperarono con Pakistan e altri Stati islamici diffondendo il caos in
Afghanistan (anche creando l’organizzazione mercenaria internazionale al-Qaida),
destabilizzando strategicamente, in modo così allettante, l’Unione
Sovietica da non potere resistere alla sollecitazione ad intervenire.
Obiettivo ultimo dal successo clamoroso e anche culmine delle guerre per
procura della Guerra Fredda, che modificò nettamente l’equilibrio del
potere internazionale del momento. Fu un tale successo che venne
accreditato come uno dei fattori che contribuirono alla dissoluzione
dell’Unione Sovietica nel 1991. Ciò alterò l’equilibrio del potere
globale e portò al momento unipolare degli Stati Uniti. In tale periodo,
il prototipo della guerra per procura afgana non fu più ritenuto
necessario poiché gli Stati Uniti avevano potere, volontà e possibilità
di proiettare potenza direttamente e con forza in tutto il mondo.


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Il momento unipolare dello Shock and Awe

Ubriachi di potere dopo esser usciti vittoriosi dalla guerra fredda, gli
Stati Uniti iniziarono un’ondata di interventi militari con la prima
guerra del Golfo. Anche se spacciata come operazione multilaterale, gli
Stati Uniti furono il maggiore azionista della coalizione bellica. Nel
giro di pochi anni gli Stati Uniti bombardarono le posizioni serbe in
Bosnia prima di iniziare la guerra unilaterale della NATO nel Kosovo,
provincia della Serbia. Fu il bombardamento della Serbia a svegliare i
decisori russi sulla necessità di difendere il loro Paese da minacce
future, iniziando così l’impegno a modernizzazione la propria industria
della Difesa, al fine di scoraggiare un attacco diretto USA/NATO contro
gli interessi russi. Tuttavia, ciò non determinò un cambio immediato, e
nel frattempo il potere degli Stati Uniti era al culmine. Dopo gli
attacchi terroristici del 9/11, gli Stati Uniti intrapresero
l’operazione militare e successiva occupazione dell’Afghanistan, un
Paese situato dall’altra parte del mondo e vicino all’Heartland
dell’Eurasia. 

Tale massiccia espansione della potenza militare
statunitense nel continente fu inedita, ma anche segnò il culmine
dell’era post-guerra fredda. L’epitome del momento unipolare fu in
realtà la campagna Shock and Awe del 2003 in Iraq. In quel periodo gli
Stati Uniti bombardarono massicciamente l’Iraq con una dimostrazione di
forza volta sicuramente a ricordarne al resto del mondo lo status di
superpotenza. Inoltre distribuirono una quantità incredibile di truppe e
armamenti in Medio Oriente. Ironia della sorte, i successivi costi
finanziari della guerra e dell’occupazione svolsero un ruolo decisivo
nel ridurre la potenza statunitense permettendo ad altri Paesi, come
Russia e Cina, di affrontare la sfida e difendere dagli Stati Uniti le
proprie sfere d’interesse.

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I Balcani eurasiatici

Fu al centro del momento unipolare, nel 1997, che Brzezinski, autore di
“La Grande Scacchiera”,  definì le priorità geostrategiche degli Stati
Uniti in Eurasia e come raggiungerli al meglio. Postulò
l’indispensabilità per gli Stati Uniti di un’influenza dominante
sull’Eurasia, e che la via migliore perciò fosse impedire la collusione
tra Russia e Cina. 

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La ‘balcanizzazione’ strategica delle società del
continente eurasiatico è un mezzo cardine per destabilizzare l’intero
continente. Nella sua conclusione logica, prevede di creare un’ondata di
anarchia etnica, religiosa e politica che può schiantare e smembrare le
civiltà di Russia, Cina e Iran. Per certi aspetti, le guerre
statunitensi in Afghanistan e Iraq e le loro conseguenze caotiche,
possono essere viste come dettate dalla filosofia di tale principio. Gli
Stati Uniti hanno anche storicamente intrapreso operazioni di cambio di
regime come metodo per diffondere la destabilizzazione continentale
facendo penetrare la potenza occidentale in Eurasia.


Cambio di regime
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Il cambio di regime è sempre stato una caratteristica della politica
estera statunitense, dal rovesciamento segreto del governo siriano nel
1949. Da allora, la CIA avrebbe rovesciato o tentato di rovesciare più
di 50 governi, anche se l’ammise solo in 7 casi. Il cambio di regime può
essere diretto o indiretto. Del primo caso vi sono gli esempi di Panama
nel 1989 o Iraq nel 2003, mentre del secondo vi sono il colpo di Stato
iraniano del 1953 o le rivoluzioni colorate. Come evidenziato dal
recente colpo di Stato ucraino, il cambio di regime oggi può essere
svolto al modico costo di soli 5 miliardi di dollari, una frazione della
spesa richiesta per rovesciare direttamente Janukovich e invadere il
Paese. 

Inoltre, a seguito delle circostanze internazionali e della
rinascita della potenza militare russa, era impossibile agli Stati Uniti
farlo senza rischiare una grande guerra. Pertanto, le operazioni
segrete di cambio di regime sono preferibili quando gli interessi di
altre grandi potenze sono in gioco. E’ assai importante che la nuova
dirigenza sia percepita legittima dalla comunità internazionale dopo il
colpo di Stato. Dato che la democrazia occidentale è vista come elemento
standard di un governo legittimo, le rivoluzioni colorate
pro-occidentali sono il metodo ottimale di cambio di regime negli Stati
presi di mira che oggi non praticano tale forma di governo.


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Rivoluzioni colorate

Le rivoluzioni colorate sono colpi di Stato filo-occidentali
eterodiretti. In particolare utilizzano  social media e ONG per
infiltrare la società, ingrossare i ranghi ed espanderne l’efficienza
dopo l’avvio dell’operazione di cambio di regime. In genere manipolando
grandi masse si crea l’illusione di un vasto movimento popolare di
scontenti che si sollevano contro una dittatura tirannica. Tale
percezione fuorviante consente al tentativo di colpo di Stato di avere
ampio sostegno e l’accettazione dalla comunità occidentale, denigrando
le legittime autorità che cercano di opporsi al rovesciamento illegale.
Le masse manipolate sono trascinate per le piazze soprattutto tramite le
tattiche di Gene Sharp, che con destrezza cercano di amplificare i
movimenti di protesta sociale al massimo possibile. 

Tale nuovo metodo di
guerra è estremamente efficace perché presenta un dilemma sorprendente
per la leadership dello Stato interessato, usare la forza contro i
manifestanti civili (de facto scudi umani inconsapevoli manipolati
politicamente), per colpire il nucleo estremista tipo Pravyj Sektor

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 E sotto gli occhi dei media occidentali che seguono gli sviluppi, il
governo può permettersi d’essere isolato dalla comunità delle nazioni,
se si difende legalmente? 

Così, le rivoluzioni colorate presentano la
strategia da Comma-22 al governo preso di mira; non è quindi difficile
capire perché si siano diffuse nello spazio post-sovietico e oltre,
sostituendo i ‘tradizionali’ colpi di Stato della CIA, divenendo il
modus operandi occulto del cambio di regime.

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Verso la strategia del mandante e la sua accettazione ufficiale

Le convenzionali (forti) strategie di cambio di regime (Panama,
Afghanistan, Iraq) erano possibili in un mondo unipolare, ma con il
momento unipolare che svanisce, gli Stati Uniti sono costretti a
riavviare il modello del mandante con cui già flirtarono durante la
guerra sovietico-afgana. La prima indicazione ufficiale che gli Stati
Uniti passavano a tale strategia fu il loro comportamento nella guerra
di Libia del 2011, dove usarono per la prima volta la tattica del
mandante. Ciò fu seguito dall’allora segretario alla Difesa Robert
Gates, nel discorso finale in cui implorò gli alleati della NATO a fare
di più per aiutare gli Stati Uniti nell’affrontare le sfide globali. 

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Fu
quindi evidente che gli Stati Uniti non erano più entusiasti del “far da
sé”, come prima, né sembravano disposti a porre l’ultimatum “siete con
noi o contro di noi”. L’indicazione che la potenza statunitense
declinava  relativamente davanti le altre grandi potenze, fu formalmente
indicata dal National Intelligence Council del 2012. Nella sua pubblicazione “Global Trends 2030“,
scrisse come gli Stati Uniti saranno “primus inter pares” perché “il
‘momento unipolare’ è finito e la ‘Pax Americana’, l’era della
supremazia statunitense nella politica internazionale iniziato nel 1945,
si esaurisce rapidamente”. 

Chiaramente, in un ambiente così
competitivo, l’unilateralismo aggressivo sarà sempre più difficile da
attuare senza rischiare conseguenze. Quest’ulteriore dato diede impulso
alla strategia del modello del mandante nell’attuazione dei piani
militari statunitensi. 

Infine, il presidente Obama istituzionalizzò il
modello del mandante parlando a West Point a fine maggio. Nel suo
discorso sottolineò che “l’America deve dirigere la scena mondiale…
ma che l’azione militare degli Stati Uniti non può essere l’unica, o
addirittura prima, componente della nostra leadership in ogni caso. Solo
perché abbiamo il miglior martello non significa che ogni chiodo sia un
problema
“. Ciò fu interpretato come se gli Stati Uniti
abbandonassero formalmente l’unilateralismo del ‘fare da sé’ salvo in
circostanze eccezionali. A questo punto, è evidente che gli Stati Uniti
hanno mostrato definitivamente l’intenzione di scambiare il posto di
poliziotto mondiale con quello di mandante occulto. Illustra
ulteriormente tale punto la trasformazione sociale e politica regionale
che gli Stati Uniti hanno immaginato con la Primavera araba, che non
sarebbe riuscita come azione unilaterale. Pertanto, il 2011 rappresenta
la fine ufficiale del momento unipolare e l’inizio dell’era del
mandante, e l’adattamento dei militari statunitensi al mondo
multipolare.

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Le improvvisazioni siriana e ucraina

Siria e Ucraina rappresentano improvvisazioni tattiche delle strategie
del mandante e dei Balcani  eurasiatici. L’ibrido risultante presenta la
prima indicazione di ciò a cui somiglia il nuovo approccio alla guerra
degli Stati Uniti. Cominciando con la Siria, la guerra segreta degli
Stati Uniti rientra nei  piani per la trasformazione della regione con
la Primavera araba. A differenza di Tunisia, Egitto o Yemen, le autorità
siriane hanno resistito con fermezza al tentativo di rivoluzione
colorata grazie al notevole sostegno popolare e alla legittimità tra la
popolazione. Ciò era un ostacolo all’attuazione del modello del mandante
appena lanciato in Libia (pseudo-rivoluzionari aiutati dai raid aerei
occidentali). 

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Considerando che in Libia ampi segmenti della società
erano precariamente tenuti insieme dalla personalità e dal governo di un
singolo individuo, in Siria la situazione era completamente diversa. La
Siria ha una identità civile, mentre la Libia ha solo un’identità
nazionale (anche se Gheddafi cercava di far evolvere tale identità a
livello continentale africano, prima di essere rovesciato e ucciso).
Tuttavia, poiché un forte sostegno popolare ha reso estremamente
difficile ‘balcanizzare’ la Siria allo stesso modo della Libia, gli
Stati Uniti dovettero improvvisare la propria strategia ed adattarsi a
questo ostacolo. Gli Stati Uniti così optarono per la strategia del 
mandante indiretto, contribuendo a reclutare, addestrare, armare e
dispiegare mercenari islamici in Siria, utilizzando la Turchia come
ascaro regionale grazie ai mutui interessi. Ankara ha l’ambizione di
ripristinare l’impero ottomano anche se rimodellato e quindi era
l’alleato più attivo degli Stati Uniti nel destabilizzare la Siria.
Quando l’ibrido rivoluzione colorata/eterodiretta non era evidentemente
sufficiente a rovesciare il governo siriano, gli Stati Uniti passarono
alla strategia della guerra non convenzionale. Pertanto, il contributo
dell’esperienza siriana alla nuova strategia di guerra degli Stati Uniti
fu dare ai gruppi mercenari addestrati dagli occidentali un ruolo
maggiore nel promuoverne sul campo gli obiettivi. 

Tale principio viene
applicato con alterne fortune in Ucraina dopo il colpo di Stato contro
Janukovich. Prima gli Stati Uniti avevano ancora una volta lanciato la
loro ibrida rivoluzione colorata/eterodiretta, salvo che in questo caso
la Polonia ha sostituito la Turchia come potenza egemone regionale nella
destabilizzazione del vicino. Indipendentemente da ciò, vi sono molte
somiglianze strutturali, ma a differenza di Assad che ha coraggiosamente
resistito alla guerra combattuta contro di lui, Janukovich capitolò e
fu rovesciato  rapidamente. 

A questo punto, il popolo di Crimea e del
Donbass si oppone ai golpisti cominciando a far valere i propri diritti
umani. Mentre la Crimea ha avuto successo nel rapido ricongiungimento
con la Federazione russa (grazie a circostanze storiche uniche e alla
demografia), il Donbas ha dovuto condurre una lunga lotta di
autodeterminazione. In questa lotta gli Stati Uniti importano la loro
strategia siriana in Ucraina. Mercenari occidentali, agenti della CIA e
dell’FBI, consiglieri militari e oltre 50 milioni di dollari sono stati
inviati alla giunta per aiutarla a reprimere la ribellione orientale. Il
fatto che le improvvisazioni apprese durante la destabilizzazione
siriana siano ripetute in un altro teatro, conferma che gli Stati Uniti
hanno sviluppato un nuovo approccio alla guerra.

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Brzezinski capovolto e le insidie eurasiatiche

Le guerre segrete condotte dagli Stati Uniti in Siria e Ucraina sono
parte integrante della più ampia strategia dei Balcani eurasiatici.
Idealmente, la logica del mandante è diffondere la destabilizzazioni
come un incendio in una foresta arida, fagocitando Iran (con la Siria e
il flusso di mercenari in Iraq) e Russia (Ucraina). Questo pio desiderio
è subito fallito quando la Siria e il popolo di Crimea e del Donbas
hanno resistito. 

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Per estensione, Iran e Russia coprono i loro interessi
nelle rispettive sfere, comprendendo che il successo della politica
estera degli Stati Uniti potrebbe costituire una minaccia esistenziale.
Così, con la destabilizzazione relativamente contenuta, la strategia
inversa di Brzezinski viene respinta. Gli Stati Uniti hanno cercato di
capitalizzare il caos in Siria e Ucraina,  per creare “buchi neri” in
cui risucchiare Iran e Russia. Scientificamente parlando, un buco nero è
formato da una stella collassata, per far sì che tale metafora sia
rapidamente trapiantata nella geopolitica, si guardi al caos
balcanizzato formato da uno Stato fallito (o parti di essi). La Siria
non è crollata, ma parti del Paese rimangono al di fuori del controllo
del governo legittimo. L’Iraq si  avvicina allo status di Stato quasi
fallito, i cui problemi possono rappresentare una pericolosa minaccia
per l’Iran. Allo stesso modo, l’Ucraina è uno pseudo-Stato fallito, e
gli eventi che genera  sono un pericolo significativo per la Russia. In
entrambi i casi, accade che i buchi neri si formano in alcune parti
della Siria, della maggior parte dell’Iraq e in Ucraina, la cui
attrazione gravitazionale è la destabilizzazione e il caos che possono
facilmente aspirare Iran e Russia. Dopo tutto, Iran e Russia hanno i
legittimi interessi di sicurezza nazionale messi in pericolo dalle
azioni degli USA  nelle vicinanze, e la tentazione potrebbe essere
troppo grande per astenersi da un coinvolgimento. Ciò rende le
situazioni in Siria/Iraq e Ucraina delle insidie eurasiatiche per
intrappolare Iran e Russia. Russia e Iran sono obiettivi del Brzezinski
capovolto, perché gli Stati Uniti hanno già importanti infrastrutture e
influenza nelle loro vicinanze (NATO e basi nel Golfo). 

Ciò facilita la
direzioni di tali grandi operazioni segrete. Una struttura simile non è
ancora pronta nel Sudest asiatico, ma potrebbe presto apparire dopo il
Pivot in Asia degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno infrastrutture e
influenza in Asia nordorientale, ma il sud-est asiatico rappresenta il
ventre molle di Pechino. In futuro gli Stati Uniti potranno utilizzare
le lezioni di Siria/Iraq e Ucraina per costruire una trappola ancora più
allettante contro la Cina, o forse riuscire a mettere Russia e Iran
‘fuori gioco’, e una sistemazione sarebbe possibile con la Cina,
consolidandola in una posizione asservita. Allo stesso modo, se gli
Stati Uniti avessero successo nella destabilizzazione su larga scala
dell’Asia centrale, dopo il ritiro afgano, un mega-buco nero regionale
potrebbe svilupparsi aspirando contemporaneamente Russia, Cina e Iran.
Sarebbe il colpo di grazia della pianificazione eurasiatica statunitense
e rappresenterebbe il raggiungimento dell’obiettivo strategico della
Grande Scacchiera.


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Riflessioni conclusive

Compiendo una svolta completa Brzezinski è tornato ai suoi principi
fondamentali, attirare gli avversari degli USA in impegni strategici da
cui non poter ritirarsi. La sua istigazione della guerra
sovietico-afgana con i mujahidin addestrati e armati dalla CIA, prima
dell’intervento sovietico, non deve mai essere dimenticata. Il concetto
dei Balcani eurasiatici ha ampiamente oscurato tale capitolo del passato
di Brzezinski, ma ciò non significa che non sia meno importante per la
dottrina strategica statunitense contemporanea. Mentre il momento
unipolare degli Stati Uniti si avvicina al crepuscolo, l’alba dell’era
multipolare è dietro l’angolo. Ciò richiede un cambio fondamentale del
precedente modello offensivo degli Stati Uniti in Eurasia, e quindi il
rilancio della strategia del mandante. Per accentuare il fatto che tale
strategia sia attualmente utilizzata dai vertici statunitensi, si deve
andare oltre i casi di Siria e Ucraina. 

Questi due campi di battaglia
sono i fronti dichiarati di tale strategia, essendo i test in tempo
reale per perfezionare tale idea. Le recenti dichiarazioni dimostrano
che l’obiettivo principale degli Stati Uniti è attirare Russia e Iran
nei pantani eurasiatici di Ucraina e Siria/Iraq. Brzezinski stesso ha
detto che gli USA devono armare direttamente Kiev, al fine di bloccare
tutte le forze russe d”invasione’ che è convinto essere sul punto di
attraversare il confine. Egualmente, gli Stati Uniti ora parlano di
‘collaborare’ con l’Iran per sconfiggere il SIIL filo-occidentale in
Iraq. Il pensiero va ai raid aerei statunitensi che coprirebbero le
offensive della Guardia Rivoluzionaria iraniana (in coordinamento con
l’esercito iracheno), ma in realtà ciò permetterebbe agli Stati Uniti di
scegliere quando e dove entrare in battaglia (da esterni), mentre le
truppe iraniane ed irachene sarebbero usate come carne da cannone.
L’offerta di cooperare non è altro che una finta per ingannare gli
iraniani impigliandoli nella trappola irachena. 

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Il “reset iraniano” è
altrettanto falso del reset USA-Russia, un inganno per guadagnare tempo
prezioso per montare il tradimento strategico. Mentre le insidie in
Medio Oriente ed Europa orientale sono già dispiegate, la versione
asiatica è ancora in sviluppo. Gli Stati Uniti devono prima completare
il Pivot in Asia per completare la trappola alla Cina, tuttavia ciò non
vuol dire che non siano già state testate diverse strategie. 

Ad esempio,
la controversia vietnamita-cinese sul Mar Cinese Meridionale continua a
tendersi, con accuse di aggressività da entrambi le parti. Gli Stati
Uniti testano il terreno per usare i leader regionali quali partner
eterodiretti, e finora sembra che il Vietnam sia in prima linea nelle
riuscite manovre anticinesi. Tuttavia, poiché il Pivot in Asia è ancora
in essere, può cambiare, ed è difficile prevedere esattamente quale sarà
la trappola asiatica quando sarà infine dispiegata.

In conseguenza delle mutate circostanze internazionali, gli Stati Uniti
hanno definitivamente abbandonato i grandi interventi militari a favore
delle guerre segrete per procura con i paramilitari. La nomina di Frank
Archibald a capo del National Clandestine Service (NCS) della CIA, nel
2013, è la prova dell’importanza delle operazioni paramilitari, del
cambio di regime e delle rivoluzioni colorate nella strategia
statunitense. Archibald partecipò alla guerra civile bosniaca e seguì la
prima rivoluzione colorata in Serbia nel 2000. Quando un esperto in
campagne paramilitari e rivoluzioni colorate, per inciso le prime
riuscite nella storia, viene messo al vertice della NCS, allora
qualsiasi movimento rivoluzionario colorato dovrebbe giustamente essere
sospettato essere un’operazione della CIA, così come qualsiasi campagna
paramilitare dannosa agli interessi russi, cinesi e iraniani. Mentre gli
Stati Uniti riducono la dipendenza dal conflitto convenzionale,
seguendo il consiglio di Sun Tzu di sconfiggere il nemico senza
combattere direttamente, il nuovo approccio statunitense alla guerra è
ancor più nefasto. 

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Il padrino della guerra sovietico-afgana è tornato
alle sue grandi radici strategiche, e la sua influente eredità ha
portato alla creazione di due trappole eurasiatiche invitanti per Russia
e Iran. Entrambi gli obiettivi prefissati furono attirati in conflitti
sanguinosi quando l’Unione Sovietica finì in Afghanistan nel 1979, e
siano “dannati se intervengono, dannati se non intervengono“.
Quando si parla delle atrocità umanitarie e dei crimini di guerra in
Ucraina, ciò è volutamente intrapreso al fine d’irritare la leadership
russa e provocare una reazione militare emotiva. Mosca è ancora una
volta nel mirino dello scaltro Brzezinski che l’aveva ingannata in
passato, e l’Iran deve riflettere profondamente sulle conseguenze se
ritornasse nel conflitto iracheno dopo lo stallo della guerra Iran-Iraq.
Per concludere con il commento di Hillary Clinton in chiusura del suo
libro di memorie, quando si tratta di Mosca e Teheran “il tempo per un’altra scelta difficile arriverà abbastanza presto“.



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Andrew Korybko è corrispondente politico della Voce della Russia, attualmente vive e studia a Mosca, per Oriental Review.


Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Tratto da: http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/26/brzezinski-capovolto-il-dilemma-finale-eurasiatico.

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