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di Adolfo Marino.
A Gaza 
continua il massacro dei palestinesi. Le vittime hanno abbondantemente superato il 
centinaio: intere famiglie con donne e bambini (quasi che gli uomini 
invece meritassero la morte) distrutte dai bombardamenti criminali 
dell’esercito israeliano.
 I razzi di Hamas, intercettati
 dallo scudo antimissile di Israele, procurano – è comprensibile – 
qualche grattacapo alla popolazione, con pochi trascurabili danni.
 Nonostante il fiume di sangue versato sembra tuttavia che israeliani e 
palestinesi siano al momento privi di una strategia precisa: più di un 
analista internazionale ha notato che l’impressione di fondo è quella di
 un test – condotto sulla pelle dei cittadini (palestinesi per lo più) –
 delle rispettive potenze di fuoco e delle possibili intenzioni di una 
parte e dell’altra.
 Per la prima volta, del resto, il confronto
 tra palestinesi e israeliani avviene in assenza di tentativi di 
mediazione e di paletti posti da parte di altri Paesi. E’ circondato 
anzi dal silenzio, se non dal disinteresse, dei principali attori 
internazionali.
 Un altro dato che emerge è la debolezza 
politica di Hamas, creatura dei Fratelli Musulmani adesso al loro minimo
 storico nell’Egitto di Al Sisi. Il nuovo presidente egiziano è arrivato
 a chiudere le frontiere ai palestinesi che fuggono dalla guerra, anche 
alle numerose coppie miste con passaporto egiziano. Ha lasciato passare 
solo i feriti più gravi, per garantire loro le cure in ospedale. E 
inviato a Gaza mezza tonnellata di aiuti umanitari.
 Un 
ulteriore indebolimento di Hamas avrebbe senz’altro conseguenze 
catastrofiche sugli equilibri nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, 
lasciando campo libero agli estremismi. In primis alle derive jihadiste 
dell’ISIS, che si è impadronito di una parte dell’Iraq e della Siria, 
rilanciando l”antico miraggio del califfato.
 Difficile in una 
situazione del genere immaginare un eventuale mediatore. Di certo non 
Tony Blair, benché sia dal 2007 inviato speciale delle Nazioni Unite per
 il Medio Oriente, ormai privo dell’autorevolezza e della lucidità 
necessarie come confermato, se ce ne fosse bisogno, dalle sue ultime 
esternazioni.
 Candidato papabile per la mediazione potrebbe 
essere Vladimir Putin, che ha senz”altro udienza con Netanyahu così come
 con il principale concorrente interno di Netanyahu, il ministro degli 
esteri israeliano Avigdor Lieberman. Prorio il “sovietico” Lieberman, nato a 
Chisinau nel 1958, quando la Moldova faceva ancora parte dell’URSS.
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