Il caos, nuova presenza permanente

'Il caos è una strategia funzionale al nuovo ''Medio Oriente Allargato'' che gli USA intendono modellare. Un libro ha descritto in anticipo lo scenario. Intervista all''autore.'

Il caos, nuova presenza permanente
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23 Settembre 2014 - 19.19


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Intervista di Giacomo Guarini a Paolo Sensini.

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“Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente”
(Mimesis Edizioni, 2013, pp. 322 + 26 tavole, € 24,00) è un recente saggio di Paolo Sensini. Lo abbiamo già precedentemente illustrato. Stavolta ne parliamo direttamente con l”autore.

Sensini aveva in precedenza affrontato
con serietà e coraggio l’analisi della situazione libica con Libia 2011,
saggio che ha riscontrato interesse ed apprezzamento anche presso la
grande stampa nazionale. La ricostruzione effettuata da Sensini sulla
guerra condotta contro la Libia di Gheddafi nel 2011 mostrava una
realtà dei fatti radicalmente diversa da quella che, per mesi, aveva
accompagnato la rappresentazione del conflitto negli stessi grandi
media
nazionali
ed internazionali.


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Divide
et impera

parrebbe un’ideale prosecuzione dell’analisi effettuata con Libia
2011
,
pur se caratterizzata da un notevole allargamento di obiettivo e di
campo d’indagine. L’autore infatti prende adesso in
considerazione l’intera area del ribattezzato Grande
Medio Oriente

– dai paesi nordafricani attraversati dalle “Primavere arabe”
sino all’Afghanistan – cercando di mostrare al lettore le linee
fondamentali che guidano l’agire politico e militare della
superpotenza occidentale USA nella vasta area nonché quelle
dell’alleato israeliano. Le ricostruzioni effettuate nel saggio non
si limitano a rilievi sull’immediata operatività dei due attori
nell’area, fornendo invece importanti elementi per ricostruire la
base delle alleanze e dei rapporti di forza esistenti, le strategie
di lungo periodo, le rappresentazioni mediatiche funzionali agli
stessi interessi strategici.

L’analisi
si concentra in particolare sull’evolvere degli scenari a partire
dalla vigilia del nuovo millennio, con le strategie elaborate in
ambienti statunitensi e poi perseguite nell’area del Grande
Medio Oriente

dopo i fatti dell’11 settembre, senza mancare di dedicare ampio
spazio anche ai punti oscuri della stessa tragica vicenda
dell’attentato. Si arriva infine alle strategie sottese ai grandi
sommovimenti destabilizzatori che hanno preso il nome di “Primavere
arabe”, ed alle tragiche conseguenze cui queste hanno portato in
termini di propagazione di conflitti e crisi umanitarie, in
particolare nello scenario siriano ed in quello maliano, che – al
momento della stesura del libro – rappresentava la «nuova
frontiera della “Guerra Santa”
»
come indicato nel capitolo conclusivo del libro. L’evoluzione degli
scenari è stata, come prevedibile, rapida e profonda, e tuttavia
appare ben lontana dal delineare nuovi equilibri e concrete
prospettive di stabilità. Abbiamo intervistato l’autore di Divide
et impera
per
discutere con lui degli ulteriori sconvolgimenti che hanno
attraversato l’area ad un anno dalla pubblicazione del testo.


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Il
suo saggio termina con l’analisi della situazione in Mali. La
crisi maliana ha tuttavia lasciato mediaticamente il posto ad altri
fenomeni di tragica violenza. Per restare nell’area, si è molto
parlato di recente dell’acuirsi delle violenze in Nigeria, in
particolare dell’operare del gruppo ‘jihadista’ di Boko Haram.
Ritiene che le attuali tensioni in Nigeria segnino uno spostamento
ulteriore verso Sud della “frontiera della Guerra Santa” da lei
richiamata? C’è, in altre parole, un collegamento fra le
destabilizzazioni conseguenti alle “Primavere” e quest’ultimo
scenario? O possono in ogni caso, in questo scenario di crisi,
configurarsi interessi legati ad un più vasto “Grande Gioco”
africano?


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PS: I due “scenari”
di cui parla non sono affatto divisi o contrapposti, ma si
intersecano piuttosto in quella che sembra essere l’attuale
frontiera della “strategia del caos” nel continente africano. Da
questo punto di vista gruppi come Boko Haram seguono, ovviamente ben
supportati dai loro confratelli e dalla rete di poteri che si è
mobilitata a partire dalle cosiddette “Primavere arabe”, quella
che è un’offensiva ad ampio raggio delle milizie islamiste. Tutto
ciò con il solito tributo di sangue e atrocità che
contraddistinguono le loro offensive, come per esempio l’ultima
operazione in cui
Abubakar
Shekau,
leader
dell’organizzazione islamista locale, ha dichiarato di aver creato
un “califfato islamico” a Gwoza, città del Nord-Est della
Nigeria, che ha provocato la fuga di circa 11.000 persone.



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Riavvicinandoci
agli epicentri delle “Primavere”, assistiamo ad una Libia
tutt’altro che pacificata, ed anzi proprio negli ultimi mesi
ancora più soggetta a caos e conflitti; già nel suo saggio
dedicato all’intervento NATO in Libia lei lasciava poco o nullo
spazio a concreti segnali positivi per il futuro del paese. Cosa ha
da dirci sulla Libia di oggi?


PS: Purtroppo non era difficile prevedere ciò che sarebbe accaduto scoperchiando il
“vaso di Pandora” libico, ossia sbarazzarsi militarmente di
Gheddafi e lasciare quindi il Paese senza una vera
leadership
capace di affrontare la situazione. Del resto l’obiettivo era
esattamente questo: consegnare il Paese in preda a bellicose tribù
rivali e contrapposte, tese unicamente a rafforzare ed espandere
quanto più possibile il loro potere territoriale. Anche l’analista
geopolitico più sprovveduto poteva agevolmente prevedere ciò che
avrebbe significato un intervento occidentale di quel genere,
peraltro del tutto pretestuoso e infondato anche sul piano del
“diritto internazionale” (Risoluzione ONU 1973 che decretava la
No-Fly
Zone

sullo spazio aereo libico), con il quale Francia, Gran Bretagna, USA,
petromonarchi del Golfo, Turchia e Italia hanno iniziato i
bombardamenti sistematici sulla Libia. Ora è del tutto irreale
pensare che un tale groviglio inter-tribale possa essere sbrogliato
nel breve-medio periodo. Quindi gli allarmi lanciati adesso dalla
classe politica-burocratica e dal
mainstream
giornalistico suonano fasulli e grotteschi per due ordini di ragioni:
primo, perché se non conoscevano la situazione interna libica e
hanno avallato la guerra, avendo oltretutto l’Italia stipulato
nell’agosto 2008 un Trattato di Amicizia e Cooperazione che
vincolava i due Paesi, sono degli incompetenti del tutto inidonei a
occuparsi degli affari pubblici; secondo, se sapevano e si sono
nonostante ciò prestati a questa sporca operazione sono degli
irresponsabili in malafade.
Tertium
non datur
.

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Spostandoci
su scenari di ancor più stringente rilievo mediatico, assistiamo
con preoccupazione all’evoluzione della questione dell’ISIS e
dell’autoproclamato califfato islamico fra Iraq e Siria. La
situazione è suscettibile di rapidi rivolgimenti, in ogni caso il
blocco occidentale ha optato da alcune settimane per una linea più
interventista. Come deve inquadrarsi l’
affaire
ISIS
nell’ambito delle strategie ‘mediorientali’ dei grandi
decisori politici occidentali?

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PS: L’ISIS non è
quella “strana creatura” saltata fuori dal nulla come vorrebbe
far credere il circo mediatico internazionale, ma è il frutto di una
lunga e laboriosa cooperazione tra diverse entità durata svariati
anni. Com’è peraltro avvenuto anche con il suo “gemello”
attualmente in disarmo: Al-Qa”ida, con la quale era in simbiosi fino a
poco tempo fa. Non è infatti credibile che, in uno degli spazi più
monitorati e tenuti sott’occhio dagli apparati di sicurezza di
mezzo mondo, tale gruppo abbia potuto dilagare a sorpresa e
conquistare in pochi giorni una così ampia fetta di territorio tra
Siria e Iraq per stabilirvi il cosiddetto “Califfato islamico”.
Un’operazione, questa, che invece ha tutta l’aria di essere una
risposta alle esigenze geopolitiche scaturite dalla sconfitta subita
dalle milizie fondamentaliste in Siria, la quale poneva l’esigenza
di spezzare quanto prima l’asse che, di fatto, lega vicendevolmente
il regime siriano all’Iran. Tra i due Paesi, infatti, a dispetto
dei piani statunitensi e israeliani sull’intera area a partire dal
marzo 2003, è prevalsa in Iraq una realtà politico-sociale organica
agli interessi iraniani, che non può che rappresentare un intralcio
ai progetti di risistemazione del “Grande Medio Oriente”. Da qui
la repentina insorgenza di un gruppo su cui l’opinione pubblica
occidentale non sapeva nulla, ma che è nata e prosperata sotto gli
auspici di Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti Turchia e Israele. Tra
l’altro l’autoproclamato Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, il cui
nome pare essere
Ibrahim
al-Badri
,
è stato

detenuto – tra il febbraio 2004 ed il 2009 – a Camp Bucca, in
Iraq, fino a
quando
venne rimesso in libertà grazie all’indicazione di una commissione
(
Combined
Review and Release Board
)
che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”
.
La sua
liberazione suscitò lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli
ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di
al-Baghdadi
.
Ciò spiegherebbe la riluttanza degli Stati Uniti a utilizzare i
droni e la
US
Air Force

per contrastare l’immediata avanzata del ISIS in Iraq, com’era
insistentemente richiesto dal primo ministro iracheno al-Maliki.
Mentre ora invece, grazie alla Risoluzione n. 2170 votata prontamente
dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli Stati Uniti e un’ampia
coalizione internazionale di “volenterosi” intendono bombardare
nuovamente la Siria per sconfiggere i terroristi dell’ISIS…


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L’ultima
grande offensiva israeliana contro Gaza si è svolta in un contesto
politico regionale che ha subito rilevanti cambiamenti, soprattutto
in ragione delle più volte richiamate “Primavere”. Cosa ritiene
che sia cambiato, se qualcosa è cambiato, nell’azione e nelle
strategie politiche e militari israeliane in ragione dei rapidi
rivolgimenti occorsi negli ultimi anni?


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PS: Da un punto di
vista strategico per Israele non cambia nulla, nel senso che le
priorità dello Stato Ebraico rimangono le stesse tracciate fin dalla
sua fondazione, come ho dimostrato nella prima parte del mio libro
Divide
et Impera
.
L’unica battuta d’arresto è dovuta all’inaspettata resistenza
della Siria di Bashar al-Assad, che nelle previsioni iniziali doveva
essere rovesciato e il Paese spezzettato su linee
etnico-confessionali. Ma tutto ciò non è avvenuto anche grazie al
veto in sede del Consiglio di Sicurezza ONU da parte di Russia e
Cina, che hanno scongiurato la guerra contro la Siria. Per quanto
riguarda invece i Territori occupati, i sionisti non fanno altro che
seguire il medesimo copione di pulizia etnica cui si sono sempre
attenuti, come abbiamo visto nel corso dell’ultima operazione
denominata “Protective Hedge”, che rende bene l’idea
dell’ennesimo attacco genocidiario contro la popolazione civile
palestinese. E ovviamente,
as
usual
,
sicuri della più completa impunità di fronte alla comunità
internazionale.



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Muovendoci
al di fuori del “Grande Medio Oriente” troviamo un ulteriore
grave scenario di crisi in Ucraina. Riscontra delle analogie fra la
situazione in Ucraina e quella nei conflitti nel Vicino e Medio
Oriente da lei analizzati, sul piano delle modalità d’intervento
e delle strategie perseguite da USA ed altre potenze occidentali?


PS: In effetti le
similitudini e i punti di contatto che si possono ravvisare tra ciò
che sta accadendo in Ucraina e le “Primavere arabe” sono
molteplici. Non a caso i rivolgimenti avvenuti nel corso degli anni
in diversi paesi dell’Est sono stati definiti “Rivoluzioni
colorate” per marcarne, appunto, l’eterodirezione e il supporto
ricevuto dall’esterno. Basti solo pensare alla gestione mediatica
delle varie crisi e al ribaltamento della realtà operati in questo
come nei contesti mediorientali di cui si è parlato. In tale caso il
sostegno al governo di Kiev burattino degli americani e le
sanzioni
alla
Russia assediata dalla NATO mirano a indebolire sempre più la sua
sfera d’influenza. E credo proprio che ciò non avvenga per caso,
in quanto negli ultimi anni essa ha ritrovato una crescente capacità
d’intervento e prestigio nel contesto geopolitico internazionale,
come ha ben dimostrato la vicenda siriana dove se non vi fosse stato
il veto russo all’interno del Consiglio di sicurezza ONU ci saremmo
trovati dentro uno scenario bellico dagli esiti imprevedibili.
Un’ulteriore analogia è rappresentata dalle forze in campo che,
come nel caso delle “Primavere arabe”, hanno supportato i
“ribelli” presentati invariabilmente come dei sinceri
rivoluzionari desiderosi d’instaurare dovunque la “democrazia”.
È un copione già visto, così come già viste sono le “Primavere”
trasformatesi pressoché subito in rigidi Inverni, con buona pace
degli Stranamore che vaticinavano scenari del tutto immaginifici.
Sembra che il passato anche recente abbia sedimentato ben poco in
termini di esperienza e di “esportazione della democrazia”. Ma ce
ne accorgeremo molto presto sulla nostra pelle cosa significa il
dispiegamento della “strategia del caos”, perché anche la realtà
che ci circonda non è affatto immune da tale
modus
operandi
,
come constatiamo ogni giorno di più dalle cronache quotidiane. Tempo
al tempo.

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