Giù nel Calderone?

Crisi in Ucraina: alimentata e condotta al punto di deflagrazione, nel quadro di una deliberata manovra USA, con l’appoggio UE [analisi Rivista Italiana Difesa]

Giù nel Calderone?
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24 Ottobre 2014 - 07.36


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 â€œLe nazioni scivolarono oltre l’orlo, giù nel calderone bollente della guerra,

senza la minima traccia di timore o di sgomento…”

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David Lloyd George, Primo Ministro del Regno Unito (1916-1922)

di Ezio Bonsignore.

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Tra
la fine del 2013 e l’inizio del 2014, con l’approssimarsi del centesimo
anniversario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, molti
commentatori e analisti tracciavano dei paralleli tra l’intrico di
rivalità imperialiste, opposti revanscismi e velenosi nazionalismi che
portò l’ Europa al suicidio nel 1914, e il crescente rischio di
conflitti tra i paesi rivieraschi del Mare della Cina Meridionale per il
controllo delle preziose risorse naturali della regione. 

Questi
paralleli partivano tutti dal presupposto che situazioni del genere
riguardassero, appunto, soltanto dei paesi remoti ed “estranei”, mentre
l’ Occidente poteva tranquillamente continuare a condurre il suo modello
brevettato di imprese militari neo-colonialiste (vedasi “interventi
umanitari”, “operazioni di appoggio alla pace”, “guerra al terrorismo”,
“responsabilità di proteggere”), senza correre alcun rischio diretto.

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Ma
poi è venuta la crisi dell’Ucraina (più esattamente, “in” Ucraina) a
ricordarci che pur se le cause profonde delle guerre “vere” risiedono
sempre nelle rivalità strategiche, economiche e geopolitiche tra le
Potenze, Lloyd George aveva ragione: la scintilla che dà fuoco alla
polveri viene spesso fornita da gravi errori di calcolo, terribili passi
falsi, totale incapacità di comprendere le motivazioni dell’avversario e
di prevederne le reazioni e, soprattutto, arrogante convinzione della
propria assoluta superiorità – hubris, per dirla con i Greci. Questo è
ciò che avvenne ai paesi europei nel 1914, e questo è dove siamo oggi:
sull’orlo del calderone bollente della guerra.

Con
tutta evidenza, e al di là di una tambureggiante propaganda che per
essere faziosa e volgare non è meno sciocca, gli eventi in Ucraina sono
stati determinati da 3 fattori: una diffusa opposizione popolare alle
politiche dell’allora Presidente Yanukovich, e più in generale alla sua
gestione del potere; la presenza di forti organizzazioni di estrema
destra e neo-naziste, che hanno fornito la “massa di manovra” per il
“putsch” di febbraio, che cacciò Yanukovich; e l’appoggio fornito
dall’Occidente (dapprima in modo nascosto, e poi apertamente dichiarato)
ai disordini. Ed è altrettanto evidente che tra questi 3 fattori,
quello di gran lunga più importante, e senza il quale la crisi non
sarebbe mai scoppiata, è stato appunto l’appoggio occidentale.

La
crisi in Ucraina è stata alimentata, e condotta al punto di
deflagrazione, nel quadro di una deliberata manovra degli Stati Uniti,
con l’appoggio dell’Unione Europea
(anche se non necessariamente
dell’Europa in quanto tale). 

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Questa manovra aveva, e ha, 3 obiettivi
principali:

– Effettuare un “cambio di regime” a Kiev per completare il processo di continua espansione a est della NATO che è in atto da 20 anni,
portando l’ Ucraina nell’Alleanza e ampliando così la zona sotto
controllo americano sino al cuore dell’Eurasia. Per ulteriori dettagli
in merito al senso e alle implicazioni di questa espansione, posso
risparmiarmi troppe parole invitando a leggere “La Grande Scacchiera” di
Zbigniew Bzrezinski.

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Sfruttare, allo stesso tempo, l’inevitabile reazione russa per dare
l’avvio ad una nuova Guerra Fredda, ricreando condizioni di tensione e
ostilità permanente tra l’Occidente e la Russia. Questo per ridare un
senso e uno scopo alla NATO, riportando così tutti i paesi europei sotto
il fermo controllo militare e politico dell’Alleanza (cioè di
Washington), e per porre fine al processo di rapida integrazione
economica e dipendenza reciproca, soprattutto nel settore energetico,
che è (era) in corso tra alcuni importanti paesi dell’Europa Occidentale
e la Russia.

Questo
vale soprattutto in relazione alla Germania, la cui politica di
penetrazione commerciale a est, seguita sin dalla riunificazione con
forti vantaggi, non era più tollerabile a Washington (e neppure, detto
per inciso, in un paio di altre capitali europee). E’ curioso a questo
proposito notare come molti, anche tra quanti comprendono con chiarezza
le origini e gli scopi della crisi, attribuiscano alla Germania il ruolo
di principale complice di Washington – mentre il realtà ne è la
vittima.


Riacquistare la propria completa libertà di manovra in Medio Oriente,
superando e di fatto azzerando l’abile politica russa che l’anno scorso
rappresentò il fattore decisivo nel far abortire all’ultimo momento il
previsto attacco alla Siria.

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Di
fronte a questa manovra americana apertamente aggressiva (nel senso
letterale del termine, in quanto indirizzata a provocare degli
importanti cambiamenti strategici a favore degli interessi americani),
la Russia di Putin ha degli obiettivi limitati e difensivi, che in
pratica consistono nel tamponare i danni e preservare il più possibile
lo status quo ante.

Il
primissimo obiettivo russo, che doveva essere perseguito a tutti i
costi, era quello di impedire che la base navale di Sebastopoli cadesse
in mani NATO o comunque filo-americane, tagliando così fuori la Russia
dal Mediterraneo. A questo proposito, Putin si è mosso con grande
rapidità e decisione. Al di là di questo, il Cremlino non ha alcun reale
interesse ad annettersi il Donbass, e men che meno a “invadere l’
Ucraina”. Mira, invece, ad impedire che l’Ucraina possa mai entrare
nella NATO, e se possibile a tenerla fuori anche dalla EU, mantenendola
invece nella posizione di “stato cuscinetto” sostanzialmente neutrale.
Idealmente, questo dovrebbe avvenire in base ad un accordo o magari ad
un contro-golpe filo-russo, ma si potrebbe anche provare a mantenere uno
stato di guerra civile “dormiente”, ma semi-permanente – un po’ come a
Cipro. Questo potrebbe essere l’obiettivo che il Cremlino sta
perseguendo con l’armistizio attualmente in vigore.

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Il
comportamento suicida dell’Europa non è spiegabile in termini razionali
– almeno, non sulla base dei fatti così come sono conosciuti. Pur con
la plateale constatazione che Washington sta deliberatamente cercando di
spingere i paesi europei in una rovinosa guerra economica con l’URSS, e
pur con l’acuta consapevolezza che questa guerra economica potrebbe
sfociare in qualcosa di molto più sinistro, le principali capitali
europee si sono subito allineate con le tesi e i voleri americani, in
modo quanto meno acritico. Si sono così messe in atto delle sanzioni,
che stanno ulteriormente aggravando una crisi economica già pesante, e
il cui unico obiettivo pratico consiste nell’impedire ai paesi europei
qualsiasi possibilità di evasione sia pur parziale dall’area del
dollaro, e in ultima analisi nel riportarli sotto controllo americano
anche per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici. Si può
capire Londra, si può capire Parigi, si può capire anche la UE in quanto
tale – ma gli altri? 

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Cosa li muove, quali obiettivi perseguono/credono
di perseguire – o, forse più realisticamente, quali pressioni, ricatti,
blandizie e corruzioni
sono stati messi in atto nei confronti dei loro
rappresentanti politici?

Si
può forse ancora sperare che Merkel, l’unico capo di governo europeo
degno di una qualche stima, finisca – pur nella sua costante linea
politica di evitare a tutti i costi che la Germania resti isolata in
Europa – per dare la preferenza alla tutela degli interessi nazionali (e
di riflesso europei), e agisca di conseguenza. Ma questa è, appunto,
solo una speranza.

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Al momento attuale, Washington ha di fatto già largamente ottenuto 2 dei suoi 3
obiettivi: il cuneo che è stato artificialmente piantato tra l’Europa e
la Russia continua ad allargarsi, e la “guerra al terrorismo” in Medio
Oriente è ripresa ed è anzi stata estesa alla Siria
. A quest’ultimo
proposito, non so quanti si siano soffermati a riflettere sul fatto che
gli Stati Uniti e i loro “volonterosi” alleati stanno agendo senza alcun
mandato dell’ONU, scavalcando e anzi ignorando completamente il
Consiglio di Sicurezza. Obama ha così perfezionato e codificato il
precedente stabilito da Bush Jr. per l’attacco all’Iraq
e, prima di lui, da Clinton in Kosovo nel 1999.
Ma l’obiettivo principale, e cioè portare l’Ucraina sotto controllo
NATO, continua a rimanere elusivo: i 5 miliardi di dollari che, come
Nuland ha comunicato, sono stati investiti per il “cambio di regime” in
Ucraina, non hanno ancora fornito tutti gli utili previsti.

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La
Russia, dal canto suo, è riuscita a mettere a segno un paio di buone
parate, ma è costretta sulla difensiva e non sembra essere in grado di
formulare – o comunque di svolgere – una strategia di ampio respiro per
opporsi alle azioni americane. L’Europa ovviamente non conta, così come
non contano gli Ucraini, dell’
est come dell’ovest, nazionalisti o filo-russi, se non come pedine del “Grande Gioco”.

Su
scala globale, giocando la carta ucraina mentre allo stesso tempo sta
perseguendo energicamente il suo “Asia Pivot” per accerchiare e
contenere la Cina, Washington ha però commesso un errore geopolitico
gravissimo: allarmare e sfidare contemporaneamente i suoi
2
principali avversari (politici, strategici ed economici), spingendoli
così ad uno storico riavvicinamento che, a tutti i fini pratici,
corrisponde alla formazione di una alleanza anti-americana, e che quasi
certamente non si sarebbe mai verificato in circostanze diverse.
L’accordo da 400 miliardi di dollari per la fornitura di gas naturale
russo alla Cina, firmato il 21 maggio scorso, ha delle implicazioni
strategiche a medio/lungo termine ancora più pesanti dei suoi enormi
aspetti economici, che meriterebbero un articolo a parte.

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Con
la crisi in una situazione di stallo, e con la ben concreta prospettiva
che il prevedibile prossimo collasso economico e finanziario
dell’Ucraina porti a nuove violenze di piazza, il rischio che il mondo
sta correndo è duplice. Da un lato, è purtroppo ben concepibile che
l’Amministrazione Obama faccia un qualche monumentale passo falso
(accogliere l’Ucraina nella NATO, o magari alzare il tiro e puntare ad
un “cambio di regime” in Russia), che costringerebbe Putin a reagire sul
serio. Dall’altro, non è certo escluso che le pressioni interne, e/o un
aggravamento della situazione militare nel Donbass, finiscano per
spingere il Cremlino a mosse sconsiderate – diciamo, invadere davvero
l’Ucraina e annetterne tutta la parte orientale. Come già nell’agosto
1914, esiste quindi il rischio che azioni avventate, reazioni e
contro-reazioni portino a conseguenze imprevedibili ma molto, molto
pesanti.

Il
raggio di speranza, in fondo al Vaso di Pandora della crisi ucraina, è
fornito dal fatto che un conflitto diretto tra la NATO e la Russia
rimane completamente inconcepibile in termini razionali, così come lo è
stato sin dalla metà degli anni ’50 – e non si sarà mai abbastanza grati
per l’esistenza delle armi nucleari. E’ infatti sin troppo chiaro che
un siffatto conflitto diretto finirebbe inevitabilmente per portare ad
uno scambio nucleare totale, che non lascerebbe alcun vincitore. Gli
Stati Uniti e la NATO non dispongono quindi di alcuna opzione militare
davvero credibile contro la Russia, e naturalmente il contrario è ancora
più vero.

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In
una crisi governata da attori razionali, questa dovrebbe essere la
considerazione principale – come lo fu all’epoca della crisi dei missili
cubani. C’è però da chiedersi se la situazione attuale corrisponda
ancora a questi parametri. L’esperienza storica lo dimostra: le nazioni
possono “scivolare oltre il bordo, giù nel calderone bollente della
guerra” per tracotanza, per hubris o per pura e semplice stupidità.

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