'Il livello ''esoterico'' del discorso di Putin'

Non cerca di ammansire nessuno, tanto meno gli States. Cerca alleati per accrescere le potenzialità di una coalizione di Stati che contenderà agli Usa il primato.

'Il livello ''esoterico'' del discorso di Putin'
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29 Ottobre 2014 - 18.10


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di Gianni Petrosillo.

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Tutti noi abbiamo ascoltato o letto il discorso di Valdai di Putin e,
in un certo senso, lo abbiamo definito storico, non tanto per quanto
detto esplicitamente dal Presidente russo ma per quanto emerso
sottotraccia dalle sue parole, considerata l’epoca di trapasso che
stiamo attraversando.

E’ lo spirito dei tempi, il momento in cui vengono esplicitate certe
affermazioni, più che il significato stretto delle proposizioni, a dare
un senso supplementare alla sua orazione.

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L’elemento essoterico del ragionamento putiniano è di sicuro meno
interessante di quello esoterico. Il primo è imbastito di un linguaggio
“istituzionalizzato” che traduce il messaggio che si vuole fare passare
in un codice comprensibile ed accettabile dal ricevente (o, meglio, da
alcuni riceventi).

Putin richiama così ad una ridefinizione ragionevole delle regole del
gioco tutti i partner mondiali, in presenza di una nuova fase politica
che allarga la platea dei partecipanti all’evoluzione del quadro
intercontinentale, dopo un quindicennio di unipolarismo americano, con
dominio quasi esclusivo dell’orbe terracqueo da parte di Washington.

Egli si rivolge agli Stati Uniti, chiamandoli direttamente in causa
in più occasioni, ma non è a questi che comunica le sue intenzioni. Il
suo obiettivo precipuo sono alcuni membri (i gruppi dirigenti o
aspiranti tali all’interno di taluni contesti nazionali) di quel campo
dominato dagli Usa che iniziano a patire pesantemente il prezzo di
un’alleanza viepiù sbilanciata e impositiva, divenuta tale a causa
dell’indebolimento relativo della superiorità globale statunitense,
apertamente contesa da altri soggetti, o comunque, sempre meno
corrispondente agli interessi strategici fondamentali dei vari attori.

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Putin non si aspetta che le sue parole smuovano la coscienza
americana, tanto più che i propugnatori di quella neolingua imperiale –
infarcita di sani principi irrealistici come “la pace incondizionata”,
“la democrazia globale”, “il rispetto inviolabile della sfera
umanitaria”, “i diritti inestinguibili della persona” e “la cooperazione
solidale in ambito economico e politico” (di cui Putin si serve per
attirare l’attenzione dei suoi interlocutori) – conoscono il trucchetto
alla perfezione, essendo gli inventori di siffatta architettura
ideologica forgiata ad immagine, somiglianza e strapotenza del loro way
of life.

I più scaltri sanno bene che l’insicurezza internazionale non piove
improvvisamente dal cielo ma è frutto di processi sociali il cui innesco
modifica o stravolge i rapporti di forza tra chi pretende di conservare
la propria primazia, rinveniente da scontri e vittorie passate sugli
antagonisti, e chi rivendica una più ampia decisionalità, corrispondente
al suo rinascente o insorgente slancio politico-economico-militare
sulla ribalta planetaria.

Le crisi, economiche, finanziarie e istituzionali toccano il climax
proprio quando saltano gli apparati che hanno garantito, per lunghi
segmenti temporali e all’interno di contesti fissati, il “disequilibrio
normalizzato delle spinte contrastanti”, grazie alla presenza di un
centro regolatore (gli Usa per la cosiddetta società occidentale) capace
di agire sui subordinati come un fattore di composizione delle energie
collettive e sui nemici in maniera difensiva ed offensiva, riconvertendo
a proprio vantaggio, e a garanzia della propria dominazione gli
attriti, interni ed esterni.

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Durante la Guerra Fredda i poli di “composizione” del planisfero
erano due (Usa ed Urss appunto) ciascuno sovrastante nel suo perimetro
di riferimento, sancito anche attraverso accordi diplomatici. Quando
l’Urss è implosa gli Stati Uniti hanno esteso il loro imperio a tutto il
mappamondo modificando le relazioni con i vecchi partner, con i nuovi
sottoposti e con tutti i recalcitranti, ai quali hanno riservato
trattamenti micidiali e terribili, senza dimostrare remore o pietà.
Erano diventati “l’eccezione mondiale” e non c’era nessuno che potesse
fermarli e sanzionarli.

Oggi le cose stanno metamorfosando perché ci sono Paesi in recupero e
ripristino di potenza che si oppongono a simile unilateralità. Stiamo
entrando in un’era in cui la tensione squilibrante diventerà
insostenibile, in virtù di queste propulsioni sopraggiungenti da più
versanti. La Russia, e forse gli altri componenti dei BRICS, ne sono
all’origine in contrapposizione agli Usa.

Putin sta comunicando questo ai suoi uditori. Non sta cercando di
ammansire nessuno, tanto meno gli States, per quanto possa apparire
così. All’opposto, egli va in cerca di alleati per accrescere le
potenzialità e la potenza di una coalizione di Stati che, all’occasione,
contenderà agli Usa il primato internazionale.

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Dunque, contrariamente a quando sostengono gli osservatori più
superficiali, ciò che ci aspetta da qui in poi è qualcosa di più ferale
di una Guerra Fredda 2.0.

L’età bipolare del fronteggiamento USA-URSS fu il punto di sbocco di
due guerre mondiali, combattute per primeggiare ed occupare lo spazio
lasciato vacante dalla potenza dell’epoca, l’Inghilterra. Ciò che ne
seguì, piuttosto, fu un periodo di relativa “tranquillità”, nonostante
la minaccia di uno scontro nucleare totale che, invece, decretò
precipuamente l’impossibilità dei contendenti di prendere il sopravvento
uno sull’altro.

L’equivalenza dei contendenti armati fino ai denti ci consegnò cinquant’anni di “ordine” e di minori ingiustizie.

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Dobbiamo, prepararci, pertanto, ad una stagione durissima che
specificherà un’ennesima precipitazione trasformativa, la quale si
caratterizzerà per le esacerbazioni dei conflitti, dello scontro di
tutti contro tutti, ciascuno alla ricerca della propria ricollocazione e
di un posto meglio riparato dalle incertezze del domani. Le carte si
rimescoleranno e la scenografia si trasfigurerà sotto i nostri occhi,
con alleati che, come scrive La Grassa, “diventeranno amici e gli
avversari nemici acerrimi, da distruggere. E se qualche amico
traballante passa di campo, diventa traditore, spazzatura di cui
ripulire l’ambiente”.

Abbiamo dinanzi a noi un orizzonte di fuoco, di lutti e di
smembramenti, altro che collaborazione di ognuno per un futuro di
armonioso sviluppo dell’umanità nella sua interezza. Qualcuno se la
passerà malissimo mentre qualcun raccoglierà i frutti delle sue
strategie e del suo coraggio.

La Russia, per bocca del suo Presidente, ha raccolto la sfida. Per
intanto lo ha fatto, in base alle sue energie attuali, senza stravolgere
le precedenti codificazioni sulle quali ci siamo a lungo basati per
muoverci nella cornice collettiva. Ci ha parlato nel nostro idioma. Ma
ci ha anche suggerito che con il Cremlino messo coattivamente ai margini
del contesto mondiale ed attaccato provocatoriamente nelle sue
prerogative regionali, le frizioni cresceranno vorticosamente, più di
quanto non sia necessario hic et nunc. Il consiglio di operare
differentemente non è rivolto ad Obama, da costui e dai suoi successori
Putin e i suoi successori non si aspettano nulla. Il Presidente russo ci
descrive soltanto l’inevitabile dei prossimi decenni e ci invita a
scegliere con chi stare per incrementare sicurezza e tenore di vita
oppure perdere entrambi. Ogni comunità e Stato valuterà secondo utilità
ed opportunità ma chi non saprà dire addio alle consunte certezze andate
rischierà brutte bastonate da ogni dove e altre forme di sudditanza,
forse anche più umilianti e distruttive di quelle odierne.

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Fonte:  http://www.conflittiestrategie.it/il-discorso-di-putin.

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