La strategia del cane pazzo

La prospettiva di escalation in Ucraina non spaventa la Russia ma terrorizza l’Europa. Il motivo è elementare. Ma perché i Frankenstein sono liberati? [Piotr]

La strategia del cane pazzo
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Redazione Modifica articolo

11 Febbraio 2015 - 20.56


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di
Piotr
.


1. Solo chi è accecato non si
accorge di una cosa evidentissima: la prospettiva di escalation in Ucraina
non spaventa la Russia ma terrorizza l’Europa
. Il motivo è elementare: loro
hanno tutto da perdere se si spaventano, noi abbiamo tutto da perdere se non lo
facciamo. Infatti, nonostante le rassicurazioni dello stesso Putin il
sentimento oggi corrente tra la popolazione, i media e soprattutto i social
network russi è “Non la vogliamo, ma
siamo pronti a una guerra”
. Da noi invece si fa di tutto per esorcizzare l’idea
che una guerra ci coinvolgerebbe.

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2. E i più terrorizzati sono,
giustamente, i Tedeschi. Così la signora Merkel si è lanciata di persona in un
giro frenetico di incontri diplomatici, col timore che sia però troppo tardi.
Infatti sa benissimo che la pace doveva essere negoziata un anno fa, prima
della guerra. Ma allora noi eravamo sicuri che la junta avrebbe
facilmente vinto e potevamo tenere bordone agli Usa e far finta di non vedere
le svastiche. Abbiamo dei dirigenti metà venduti e metà ottusi.


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3. La Merkel si è portata in giro lo
chaperon Hollande. Qualcuno ha detto per non dare l’impressione di un
nuovo patto Ribbentrop-Molotov (come ha subito insinuato il califfo McCain). Ma
ci sono altri motivi. Deve fare vedere agli Americani che il negoziato a oltranza è quanto vuole il nucleo della UE. In teoria ci saremmo
anche noi italiani, ma in quanto a iniziativa diplomatica è dalla fine della
Prima Repubblica che non contiamo niente.

E la nostra Alta Rappresentante, wonderwoman
Mogherini? Non pervenuta. Se si fosse fatta un selfie davanti al
Manneken-Pis di Bruxelles invece che andare a Monaco sarebbe stata la stessa
cosa. La UE infatti non esiste e quindi, anche se Renzie se la tira, il ruolo
della sua Alta Rappresentante è quello del due di briscola. A Mosca la Merkel e
Hollande non l’hanno voluta e l’hanno lasciata a Monaco a fare la piaciona con
la Nato. Ma anche gli Stati baltici sono stati tagliati fuori. Et pour cause.
Questi Stati sono pronti ad accogliere con isterica gioia le Forze Nato di
Rapida Provocazione, ma dato che sono isterici, giustamente la Merkel si è
guardata bene da averli tra i piedi. Non solo, la Gran Bretagna è data per
persa, essendo ben presente a tutti la sua sudditanza agli Usa come junior
partner. E quindi nemmeno gli UK erano a Mosca. E questo è clamoroso, perché come
è stato notato è la prima volta dai tempi della guerra Franco-Prussiana del
1870 che la Gran Bretagna non partecipa a una negoziazione europea importante.
Al colloquio con Putin non c’erano nemmeno gli interpreti. I franco-prussiani
non si sono fidati di nessuno. Anzi, evidentemente si sono fidati solo dei
Russi visto che hanno preferito essere spiati al Cremlino che farsi spiare
dagli alleati.


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4. Che i franco-prussiani confidino
oggi solo in Putin è una cosa elementarmente razionale. Ma appena
ritorneranno coi piedi sulla Terra (occidentale) si accorgeranno di nuovo
brutalmente dell’intrico irrazionale che la crisi sistemica sta montando.
Lì, come tocchi, tocchi male.

Tutti sanno che armare la junta
ucraina è un’idea catastrofica.

Lo ha scritto l’altro giorno John J.
Mearsheimer sul New York
Times
: “Don”t
Arm Ukraine
”, diceva seccamente il titolo del suo articolo.

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Lo
ha detto a Monaco la signora Merkel al presidente ucraino Poroshenko, guardandolo
dritto negli occhi: “I cannot imagine any situation in which improved
equipment for the Ukrainian army leads to President Putin being so impressed
that he believes he will lose militarily
”.

Lo sanno i tecnici della Nato.
Secondo uno di loro, che scrive sotto lo pseudonimo “Shellback” (lupo di
mare), in tutte le simulazioni a cui ha partecipato durante la Guerra Fredda,
il Patto di Varsavia aveva sempre vinto. Inoltre all’epoca, prosegue, la Nato
era solo difensiva, mentre qui dovrebbe andare all’attacco e sarebbero dolori
anche maggiori. Anche perché gli Usa non hanno mai combattuto senza un’assoluta
superiorità aerea totale, se non all’inizio della II Guerra Mondiale, mentre i
Russi «non hanno mai goduto di questo lusso» e possono lo stesso
vantare una lunga serie di vittorie, tranne in Afghanistan «dove noi non
abbiamo fatto meglio
». La Nato, invece si è prodotta solo in «quick air
campaigns against third-rate enemies yes.
This sort of
thing, not so much
».


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5. Quindi tutti sanno, Usa compresi,
che una guerra contro la Russia è una mossa con alte probabilità di sconfitta
militare. Non solo, l’ipotesi di armare l’Ucraina sta dividendo gli Usa dalla
UE al punto tale che un personaggio come Sarkozy non ha timore di affermare «noi
e la Russia facciamo parte di una comune civilizzazione.
[…] Gli
interessi degli Americani con la Russia non sono gli stessi interessi
dell’Europa e la Russia
». Un messaggio pesante: se volete parlare di
scontri di civiltà, beh cari Americani, stati attenti che lo scontro non è tra
Europa e Russia, semmai … .

Se poi si dovesse mai arrivare a una
guerra contro la Russia, con molta probabilità la Nato si spaccherebbe.
Ricordiamoci che gli scenari nucleari vedono penalizzata l’Europa Centrale. Lo
sanno bene i Tedeschi e lo sanno bene anche i Polacchi, anche se i loro
irresponsabili governanti fanno finta di non saperlo per poter farsi corrompere
allegramente dagli Usa. E siamo sicuri che la Grecia ortodossa rimarrebbe nel
Patto? O la Spagna? E siamo sicuri che la Repubblica Ceca e l’Ungheria non
aspettino altro che entrare in guerra contro il loro gigantesco ex alleato? Anche
sulla Turchia molti hanno dei dubbi. E se la Germania dice nein, è molto
probabile che la Francia dica pas même. Noi non si sa. Per quanto si
capisce potremmo anche essere i più scemi della compagnia. Magari per la
bisogna potremmo reinsediare il comandante supremo Giorgio Napolitano.

Insomma, un conto è stringersi in un
patto d’acciaio difensivo quando questo porta soldi e si è sicuri che nessuna
delle due parti lancerà mai un first strike e che nessuna delle due
parti metterà mai i piedi nel piatto dell’altra. Perché nessun presidente
americano, fosse stato democratico o repubblicano, da Eisenhower
a Reagan, ha mai pensato lontanamente di spingere il confronto geopolitico fino
dentro quelle regioni che, come è stato ricordato, Mosca ha governato fin dai
tempi di Caterina la Grande. Tutt’altro conto, invece, è avere a che fare con
un alleato in crisi, virtualmente senza soldi veri (nel senso che ha veramente solo
soldi virtuali), rabbioso, che ufficialmente dichiara che se gli torna comodo
lancerà un first strike nucleare anche contro una potenza non nucleare (New
Nuclear Posture
), che ingabbia gli alleati in un Patto senza strategia,
mangiasoldi, non solo inutile ma controproducente e che infine ha organizzato
in quelle regioni tabù una trappola geopolitica catastrofica.

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6. E inoltre, chi sarebbero i
“nemici” in questa guerra? Se lo smembramento caratterizzerà il nostro campo,
dalla parte avversaria si nota fin da ora l’opposto. La Cina sa benissimo che
dopo la Russia verrebbe il suo turno. E quindi la sosterrebbe. E l’India? Dubito
che davanti a un asse Russia-Cina sarebbe così incosciente da recidere i suoi
storici legami con la Russia e trovarsi contro il Regno di Mezzo che
geograficamente la sovrasta. E così via. Chi, insomma sosterrebbe gli Usa?


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7. Quindi la domanda da farsi è
duplice: a) Perché gli Usa fanno mosse che la separano dalla UE mentre avrebbe
una necessità immensa di tenerla fedelmente al suo fianco? b) Perché gli Usa
fanno mosse che potrebbero portare a una disintegrazione della Nato lasciando
la Superpotenza da sola contro il mondo?

Per risolvere questo rebus intanto
dobbiamo appurare se lo abbiamo impostato nel modo giusto. Solo dopo potremo
cercare i perché.

Ora, l’invio di armi (offensive o
difensive non fa differenza) da parte dell’America all’Ucraina, indurrebbe,
prima ancora di essere effettuato, un simmetrico invio dalla Russia alla
Novorussia. Essendo i miliziani della NAF più motivati perché stanno
combattendo per la propria terra, il bilancio a loro favore non cambierebbe.
Questo lo sanno benissimo anche gli Americani. L’economia ucraina, che già
sopporta un’emorragia di circa 10 milioni di dollari al giorno per la guerra,
collasserebbe ancora più in fretta. Gli Usa potrebbero solo sperare che una
guerra prolungata si rivelasse catastrofica anche per l’economia russa e quindi
per il governo di Putin. Ma ormai dovrebbero capire che contro hanno un asse
tra la maggior potenza energetica del mondo e la maggior potenza economica del
mondo, che insieme fanno la maggior potenza militare del mondo. Per raggiungere
una decisione riguardo a una guerra, diceva il Maresciallo Montogomery già nel
1962 in una audizione alla Camera dei Lord, «occorre che certe regole di
guerra siano chiare. La Regola 1 a pagina 1 del manuale di guerra è: “Non
marciare su Mosca”. In diversi hanno tentato, Napoleone, Hitler, e non è una
buona idea. Questa è la prima regola. Non so se le Signorie Vostre conoscono la
Regola 2 della guerra. È questa: “Non combattete con le vostre truppe in Cina”
».
Dato che è da supporsi che negli Usa queste cose si sappiano, l’escalation di
proclami bellici contro la Russia e la stessa trappola ucraina montata a bella
posta sembrano realmente il parto di una disperazione che sta facendo uscire
fuori di senno.

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A meno che non si pensi veramente
che i governanti americani siano idealisti e generosi. Scordatevelo, i veri
idealisti anticomunisti, quelli che credevano veramente che fosse un compito morale
distruggere il Regno del Male, cioè l’URSS, i vecchi cold war warriors,
guerrieri della Guerra Fredda, tranne pochissimi si sono tutti allontanati da
Washington che dall’insediamento alla Casa Bianca del pacifista anni ’60 Bill
Clinton in poi è terreno di scorribande dei neo-cons, disprezzati dai vecchi
conservatori. Uno di essi, Paul Craig Roberts, ha recentemente affermato che «l’attacco
di Washington alla Russia ha superato il confine dell’assurdo per entrare nel
regno dell’insanità mentale
» [1].


8. Ma se assumiamo per ipotesi che a
Washington in realtà non siano pazzi e psicopatici. Che motivo riusciamo a vedere
dietro questa che a tutti gli effetti sembra un’immensa zappata sui piedi?
Ripeto, l’assunzione è che non siano così pazzi da voler perdere una guerra
convenzionale con la Russia (esito obbligato) o di far perdere a tutto il mondo
un conflitto nucleare. In termini leggermente differenti, il problema è in
quale modo spiegare quello che sta succedendo senza ricorrere a essenze o
poteri malvagi che transitano da una potenza all’altra e come i famosi
ultracorpi portano i decisori infettati a decisioni suicide per la razza umana.

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Se non vogliamo percorrere quella
strada, l’unica spiegazione razionale che a me viene in mente è che a
Washington stiano perseguendo la strategia del cane pazzo.

Sembra una contraddizione in
termini, ma la strategia del cane pazzo ha una logica ben precisa. Usa la
follia ma con del metodo. È stata messa a punto dagli Israeliani, a più mani. In
parte risente dell’impostazione dell’ex ministro della difesa israeliano Pinhas
Lavon che, come scriveva il suo primo ministro Moshe Sharett, secondo premier
israeliano, «predicava costantemente “atti di follia” o “la furia cieca” nel
caso in cui Israele fosse stato offeso
». Ma ci avviciniamo di più al nostro
concetto quando riflettiamo sul perché Martin van Creveld, professore di Storia
Militare all’Università Ebraica di Gerusalemme, dichiarò alla rivista olandese Elsevier, numero 17 del 2002: «Possediamo
diverse centinaia di testate atomiche e di missili e possiamo lanciarli contro
obbiettivi in tutte le direzioni, forse anche a Roma. La maggior parte delle
capitali europee sono obbiettivi della nostra aviazione militare. Fatemi citare
il Generale Moshe Dayan: “Israele deve essere come un cane pazzo, troppo
pericoloso da infastidire”. […] Dovremo cercare di impedire che le cose
arrivino a tanto. Ma le nostre forze armate non occupano la tredicesima
posizione al mondo, ma piuttosto la seconda o la terza. Abbiamo la
capacità
di trascinare il mondo con noi. E posso assicurarvi che sarà ciò che accadrà
prima che Israele affondi
» [2].

E qui il concetto si collega a
quanto sostenuto da Noam Chomsky in “The Fateful Triangle”, corroborato dalle
dichiarazioni del francese Francis Perrin che aiutò gli Israeliani a costruire
l’atomica, ovvero che la bomba israeliana in realtà è indirizzata agli Stati
Uniti, non per lanciargliela contro ma per dire “Se voi non ci aiutate in una
situazione critica, vi obbligheremo a farlo, altrimenti useremo la bomba
atomica”.

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Insomma, un’operazione di
fidelizzazione, diremmo oggi, come una tessera a punti sui generis. Fa come ti
dico io, oppure faccio i capricci atomici.

Questa potrebbe essere oggi la
strategia statunitense. Vediamo le implicazioni di questa ipotesi, che tutto
sommato è meno sgangherata di quella di un complotto di psicopatici fissati sul
potere e sui soldi.

Innanzitutto, abbiamo sì escluso dei
pericolosi psicopatici ma ci siamo trovati a che fare con dei bambini col
delirio di onnipotenza che fanno i capricci atomici. Uno scenario solo un
pochino meno inquietante.

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In secondo luogo qual è il fine di
Washington di dire agli Europei “Fate quello che voglio o vi trascino in un
disastro militare apocalittico contro la Russia”? Ovvero, cosa vogliono?

Secondo me il fine è di obbligare
gli Europei entro la camicia di forza della Nato militare e della Nato
economica, cioè gli accordi Ttip, e subordinare la politica finanziaria e
monetaria europea direttamente agli Stati Uniti. In un certo senso è un po’ un
ritorno all’inizio del dopoguerra, quando il mondo veniva diviso in due a
tavolino da Truman con la Guerra Fredda e l’impianto di Bretton Woods delineava
una produzione politica di moneta secondo una gerarchia di banche centrali
facente capo alla Fed.

Come ho brevemente spiegato in
un altro articolo
, il significato geo-economico di questa camicia di forza
«è quello di tentare di rilanciare la globalizzazione nei nuovi termini che
detterà (o vorrebbe dettare) il blocco atlantico […]. E’ … evidente che
l’accettazione di questi termini da parte dei BRICS li condannerebbe a uno
sviluppo che non contempla, anzi ostacola, la loro crescita e assestamento in
quanto stati-nazione moderni, quindi con dinamiche sociali più armoniose, più
equilibrate e più socialmente protette. Per molti versi si tratta di un
ambizioso (ma difficile) progetto neo-comprador, cioè di dominio sulle economie
delle nazioni estere attraverso élite subordinate a un potere imperiale
».

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La difficoltà del progetto risiede
nel fatto che nemmeno un intervento divino riporterà la situazione
internazionale allo stato in cui era nel 1945. Moltissimi dei fattori chiave di
allora sono esattamente capovolti: gli Usa non detengono più il 70% delle
riserve auree mondiali, bensì sono privi di riserve auree; non sono più il
maggior Paese creditore del mondo, bensì molto probabilmente (dipende dai
calcoli) il Paese più indebitato del pianeta, non hanno la valuta più stabile
economicamente, finanziariamente e politicamente, bensì una valuta che a tutti
gli effetti sta in piedi per miracolo, perché gli Stati Uniti sono comunque
“molto grossi”. Non solo, gli Usa non hanno più la maggiore produttività del
mondo e di fatto non sono più la maggior potenza militare del mondo.

Il parallelo con la situazione
postbellica lo dobbiamo cercare nella volontà di configurare un’area
d’influenza rigidamente regolata, un impero formale, per agire sulla scena
internazionale nuovamente come potenza egemone. Che è quanto fecero alla fine
della II Guerra Mondiale, ma in condizioni sistemiche molto diverse e
immensamente più favorevoli. Quindi dovranno manovrare su altre leve. Ad
esempio il progetto non sta in piedi se la finanza cinese, statale e privata,
non verrà pompata massicciamente nel circuito della finanza internazionale. Ma,
prima di tutto, il progetto non funzionerà se gli Stati Uniti non saranno in
grado di suscitare nei grossi competitor delle élite che possano trarre
vantaggio dal progetto neo-imperiale formale e al contempo opporsi
efficacemente alle forze che difendono la sovranità di quei Paesi. I primi
tentativi sono falliti. In Cina Occupy Central è sparito nel nulla. In
Russia il loro fallimento è stato addirittura accelerato dalle sanzioni, ma già
la fine politica del cleptocrate Eltsin gli aveva assestato un bel colpo, con
l’esito clownesco che gli oligarchi che avevano aderito al progetto sconfitto,
in Occidente venivano chiamati regolarmente “dissidenti”, mentre tutti quelli
che preferivano trarre profitto dallo sviluppo indipendente del proprio Paese rimanevano
marchiati come “oligarchi” [3].

In definitiva, la strategia
neo-imperiale formale dovrà usare in termini principalmente politici l’enorme
blocco economico a guida Usa che si formerebbe e trovare il modo di sfruttare
le proprie debolezze associate alle proprie dimensioni (ovverosia, il modo di
ricattare).

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Come farà, in parte si può
immaginare, perché saranno ripetizioni in condizioni nuove di cose già viste.
Ma in gran parte si tratterà di capirlo in corso d’opera. Non credo che nemmeno
gli strateghi statunitensi abbiano una “grand strategy” così raffinata e
dettagliata. Forse non hanno nemmeno una “grand strategy”, e navigano in
gran parte a vista.


9. I negoziati di Minsk ci daranno
qualche prima indicazione. Ad esempio se va verso la fine la necessità di minacciare
militarmente la Russia e quindi di minacciare politicamente l’Europa. Da qui
inizierebbe la seconda parte della strategia del cane pazzo e quindi si sarebbe
in grado di iniziare a verificare se la nostra ipotesi è sgangherata o se
tiene. Ma non sarà comunque una cosa facile, perché il dopo-accordi, se accordi
ci saranno, non sarà limpido. Limitiamoci per ora a immaginarci cosa succederà
nel Paese direttamente interessato.

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Un accordo si potrà avere solo se
Poroshenko accetterà la federalizzazione dell’Ucraina. Se lo farà il conflitto
in Novorussia finirà, ma si aprirà uno scenario inquietante per altri motivi.

Innanzitutto Poroshenko dovrà aspettarsi
una rivolta dei partiti e dei gruppi armati nazisti e ultra nazionalisti che si
sentiranno traditi. Ciò mi fa pensare che nell’immediato verranno rivelati solo
gli accordi relativi a un cessate il fuoco e la rinuncia degli Usa di armare
Kiev. Ripeto, se accordi a Minsk ci saranno [4].

Ma i termini più generali verranno,
se possibile, nascosti fino almeno allo scioglimento dei battaglioni di
volontari ed eventualmente a una sostituzione del ministro della Difesa.
L’accordo generale deve sicuramente garantire un’autonomia al Donbass e al
resto della Novorussia tale da disinnescare le rivendicazioni dei nazionalisti
ultrà filorussi, che quasi di sicuro chiederanno l’annessione alla Madre
Russia, che Putin non intende accettare, perché sarebbe quasi sicuramente
l’inizio di una nuova guerra, anche se quelle richieste avranno dalla loro parte
migliaia di civili morti nei criminali bombardamenti ucraini e le nefandezze
dei battaglioni punitivi nazisti. Quindi assisteremo anche a conflitti politici
interni al campo russo (potrebbe essere il momento buono per gli Usa per
indebolire Putin, ma questo indebolimento ribalterebbe tutto lo scenario,
perché solo un ottenebrato non si rende conto che Putin è l’unico oggi a poter
tener testa al nazionalismo russo. Altro che Hitler-Putin!).

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Ma una volta firmati gli accordi, oltre
a scatenare il malcontento e la rabbia di nazisti e nazionalisti ucraini, non
c’è motivo che a quel punto in Galizia non scenda in campo un partito
autonomista che inveendo contro “il nuovo patto Ribbentrop-Molotov” pretenda a sua
volta un trattamento simile, rivendicando una repubblica semi-autonoma. Cosa
gli si risponderà? Infine non c’è motivo per escludere in Ucraina una stagione
di violenze di tipo terroristico e squadristico, a macchia di leopardo. E non
c’è motivo di escludere una ripercussione di estrema destra in tutta Europa,
con nuove alleanze e, anche, nuovi obiettivi.

I mostri di Frankenstein lasciati
liberi si comportano da mostri di Frankenstein lasciati liberi. E’ ovvio. Non
vi pare?

La partita è iniziata, ma nessuno ha
chiaro come finirla.

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NOTE:

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[1] Tra gli altri sintomi c’era il
giudizio dei vertici dell’US Broadcasting Board of Governors, un’agenzia governativa
preposta a vigilare sulle informazioni prodotte negli altri Paesi, che affermava
 che il notiziario Russia Today,
RT, è un’organizzazione terroristica equivalente a Boko Haram e all’ISIS. Per
fortuna che questa agenzia ha il compito di essere una «fonte veridica di
notizie e un esempio di stampa libera e professionale per quei paesi che
difettano di media indipendenti
». Alleluia! Per rimanere in tema, riporto che
l’American Association for Slavic, East European, and Eurasian Studies
(ASEEES), ha rifiutato di accettare una donazione di 413.000 dollari se dal
titolo del programma di studi finanziato non fosse stato tolto il nome di Stephen
F. Cohen, oltre che maggior donatore anche stimatissimo accademico di Princeton
e delle università di New York, reo di aver criticato sulla stampa e alla
televisione la politica statunitense ed europea in Ucraina. Je suis Charlie?
Non so perché, mi ricorda le insistenze dei nazisti per togliere dal cartellone
di un opera di Richard Strauss il nome del librettista, lo scrittore ebreo
Stefan Zweig. Boh, forse saranno i nomi, Stephen-Stefan (o i cognomi). O forse
perché i battaglioni dei volontari ucraini portano le svastiche. Chi lo sa.

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[3] Ci sono dei tic nervosi nei
media occidentali. In Occidente ci sono i miliardari, i milionari, i magnati.
Tutti in doppio petto, magari non simpaticissimi ma sostanzialmente perbene. In
Oriente ci sono invece solo “oligarchi” e tutti regolarmente implicati in
qualche giro mafioso e di potere politico. I nostri che riciclano i loro soldi
assieme a quelli mafiosi nei paradisi off-shore sono comunque “ricchi”,
“miliardari”, “imprenditori”. I loro, comunque abbiano fatto i soldi, detengono
sempre una ricchezza di origine sospetta (tra l’altro, come se lo sfruttamento
non lo fosse). Un’origine spesso imputata a intrallazzi con l’ex potere
sovietico, ovvero con lo Stato. In Italia gli Agnelli invece sono “imprenditori
miliardari”, anche se la Fiat è stata definitivamente lanciata dalla I Guerra Mondiale
(4000 addetti nel 1914, 40510 nel 1918; 25 milioni e mezzo di capitale sociale
nel 1914, 128 milioni del 1918). Forse perché 600.000 morti non sono affari di
Stato, ma affari privati. Cioè “fatti loro”.

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[4] Un punto difficile da inserire nel
nostro schema è l’atteggiamento che terrà l’hard-power statunitense, cioè, per
comodità, il partito della Clinton, di McCain e di Petraeus. Un’escalation
militare verrebbe incontro alle richieste della lobby degli armamenti a cui
questo partito è legato. Negli ultimi tempi l’hard-power ha guadagnato terreno
nella Casa Bianca anche per un fatto molto specifico: molto personale obamiano
cerca di riciclarsi in vista del prossimo avvento della bellicosa Hillary, che
in molti danno per scontato. Tutto ciò sarà sufficiente a far prevalere alcuni
interessi specifici su una strategia più generale? Comunque bisogna ricordarsi
che la Clinton è anche molto legata alla lobby finanziaria e non è chiaro fino
a che punto un’escalation effettiva rifletta gli interessi a medio termine del
settore finanziario. O, per lo meno, a me non è chiaro.

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