Usa: dove mettere tutti i soldati? Cominciamo da Kiev

Un esercito di occupazione deve stare il più a lungo possibile all’esterno, nei paesi conquistati, da sorvegliare: quando questi non bastano... [Giulietto Chiesa]

Usa: dove mettere tutti i soldati? Cominciamo da Kiev
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11 Marzo 2015 - 14.54


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di Giulietto Chiesa

Sembra che gli Stati Uniti, meno controllano la situazione, più vengono risucchiati in avventure da cui non sanno poi come uscire. E, quando decidono – o sono costretti – di uscire, eccoli alle prese con il problema di sistemare le cose all’interno, cioè di fronteggiare gli effetti che ne conseguono sul proprio territorio.

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È quello che sta accadendo in seguito all’evacuazione dall’Afghanistan, ma anche al ritiro parziale dell’enormità di mezzi invecchiati dislocati in Germania e in Europa centrale. Così migliaia di veicoli, carri armati, blindati, cannoni, camion per la logistica, automobili di varia dimensione e destinazione d’uso – una volta rimpatriati – girano sui treni da un deposito all’altro degli Stati Uniti. E di questi depositi ce ne sono decine, in quasi tutti gli Stati dell’Unione.

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I costi del rimpatrio sono di per sé vertiginosi. Ma, per esempio, non si può lasciare nulla in Afghanistan. Il rischio è che cada in mano ai talebani. Figuriamoci le munizioni! Né si può distruggere in loco tutte le armi che sono state, a suo tempo, introdotte e che hanno riempito il paese. I primi a offendersi di tanto ben di dio, fatto a pezzi di fronte ai loro occhi sarebbero i signori locali, per la sfacciata dimostrazione di mancanza di fiducia. Dunque bisogna evacuare tutto (salvo quello che viene venduto, sotto banco, ma questa è faccenda di cui non esistono statistiche).

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Ma il peggio è come cavarsela con il “personale”. Quello non lo si può lasciare nelle valli afghane, e neppure in qualche città europea, metti come Vicenza. Quello lo devi riportare in patria, non ci sono santi. Fatti i conti, approssimativamente, perché le cifre ufficiali non sono attendibili, risulta che gli Stati Uniti hanno un esercito pletorico. Tenerlo e mantenerlo tutto sul proprio territorio è non solo impossibile, ma anche non del tutto sicuro. In effetti è un esercito di occupazione, dunque deve stare il più a lungo possibile all’esterno, nei paesi conquistati, da sorvegliare. E, quando questi non bastano, allora se ne conquistano o destabilizzano altri.

Quando queste decine di migliaia di uomini stanno in America, c’è il problema di pagarli, nutrirli, assisterli: tutte cose molto costose. E quelli che hanno già combattuto sono soggetti a crisi di astinenza che è bene non si verifichino sul territorio della patria.

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Da qui l’ovvia decisione di impegnarli quanto più possibile all’estero. In tal caso, a pagare il soggiorno sarà la Nato, per esempio, oppure l’Unione Europea. Qualunque pagatore è buono, purché non sia l’America. E’ quanto è stato appena deciso per i 600 “paracadutisti” che, nel mese prossimo, arriveranno a Kiev. In maggioranza si tratta di veterani che hanno combattuto in Afghanistan, appunto, e in Irak e che erano acquartierati nella base di Fort Hood, in Texas. E’ il battaglione della prima divisione di cavalleria, sotto il comando del Generale Michael Billis.

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Si dice che dovrebbero “formare”, cioè istruire la Guardia Nazionale Ucraina, che è quella con la massima concentrazione di nazisti del “Settore Destro” e di “Svoboda”. A quanto pare, tuttavia, solo 300 di loro saranno impegnati in funzioni di istruzione e di organizzazione della logistica e delle comunicazioni. L’ufficiale di collegamento sarà il tenente-generale Krivenko. Altri 300 saranno invece distribuiti nei diversi distaccamenti territoriali della Guardia Nazionale, per formare i gruppi operativi. Svolgeranno la funzione ufficiale di “ispettori”. In realtà parteciperanno a eventuali operazioni militari, offrendo la loro esperienza di combattimento.

Ma la verità è anche un’altra. In tutto non arriveranno in Ucraina soltanto 600 “paracadutisti”. Il numero salirà a 800 se si terrà conto di 200 mercenari della multinazionale Greystone (azienda privata di copertura) con funzione anch’essi di “consiglieri militari”. Il significato di questa vera e propria azione di copertura è uno solo: aumentare la capacità di influenza americana sul teatro operativo di eventuali nuove operazioni belliche contro il Donbass, anche al di là e sopra le decisioni che potrebbero essere prese dal presidente Poroshenko, d’accordo con i governi europei, specie di Germania, Francia e Italia (dopo il viaggio a Mosca di Renzi).

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E sta per aprirsi il “fronte nord”. Le ultime sono l’arrivo di una trentina di ufficiali americani nel distretto lettone di Daugavpils (confinante con la Lituania, la Bielorussia e la Russia, a netta maggioranza di popolazione russa), ufficialmente per “imparare il russo”. E l’arrivo a Riga di una nave carica (più di cento) di carri armati Abrams, di blindati Bradley e di Humvees. Il tutto per “fronteggiare la minaccia russa”, dice il general-maggiore O’Connor. Tutti nuovi di zecca. Non vorrai mica dare agli alleati del Baltico roba arrugginita? (Intanto pagano loro).

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(11 marzo 2015)

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