L'«antiterrorismo» della NATO

Ridisegnano il Medioriente cancellando, come fu in Europa con la Jugoslavia e in Nordafrica con la Libia, gli Stati che ostacolano gli interessi dell’Occidente [M. Dinucci]

L'«antiterrorismo» della NATO
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4 Agosto 2015 - 09.49


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di
Manlio Dinucci
.

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«Il terrorismo costituisce una minaccia
diretta alla sicurezza dei paesi NATO», ha dichiarato il Consiglio Nord
Atlantico, condannando «gli attacchi terroristici contro la Turchia» e
impegnandosi a «seguire gli sviluppi alla frontiera sud-orientale della NATO
molto da vicino». Nessuno ne dubita. In
Turchia la NATO ha oltre venti basi militari
, rafforzate da batterie
missilistiche statunitensi, tedesche e spagnole, in grado di abbattere velivoli
nello spazio aereo siriano. Sempre in Turchia, a Izmir, la NATO ha trasferito
il LandCom, il
comando delle forze terrestri dei 28 paesi membri, oggi in piena attività.

Come documentano anche inchieste del New York Times e del Guardian, soprattutto nelle province
turche di Adana e Hatai e in Giordania la CIA
ha aperto da tempo centri di
addestramento di militanti islamici
provenienti da Afghanistan, Bosnia,
Cecenia, Libia e altri paesi, preparandoli e armandoli per azioni terroristiche
in Siria. Compresi quelli che in Siria hanno formato l’ISIS per rovesciare il
governo di Damasco e hanno quindi attaccato l’Iraq nel momento in cui il
governo dello sciita al-Maliki prendeva le distanze da Washington,
avvicinandosi a Pechino e Mosca. Le armi, provenienti soprattutto via Arabia
Saudita e Qatar, entrano in Siria attraverso il confine turco da cui transitano
ogni giorno centinaia di TIR senza alcun controllo.

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Ora, dietro il paravento della «lotta all’ISIS»
(organizzazione di fatto funzionale alla strategia USA/NATO), la Turchia
attacca i curdi del PKK, che combattono contro l’ISIS. Sostenuta dalla Casa
Bianca che, per bocca del portavoce Alistair Baskey, definisce il PKK «un
gruppo terroristico» affermando che «la Turchia ha il diritto di difendersi
contro gli attacchi terroristici dei ribelli curdi».

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Contemporaneamente Stati uniti e Turchia
hanno concordato un piano per la creazione di una «zona sicura», formalmente
«libera dall’ISIS», lungo una fascia di un centinaio di chilometri in
territorio siriano al confine turco. Il piano prevede l’impiego di
cacciabombardieri statunitensi dislocati in Turchia e di forze terrestri
turche, affiancate in operazioni coperte da forze speciali USA/NATO.

Tale fascia, su cui viene imposta una
«no-fly zone», dovrebbe essere controllata da quelli che il
New York Times definisce
«insorti
siriani relativamente moderati», armati e addestrati dal Pentagono, molti dei
quali confluiti poi nell’ISIS e nel fronte qaedista al-Nusra.

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Autorizzando ora raid aerei per sostenere i
«ribelli» addestrati dal Pentagono, «anche se ad attaccarli saranno le forze
del presidente Assad», Obama autorizza la guerra aerea USA/NATO contro le forze
governative siriane.

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Gruppi «ribelli» vengono sostenuti anche da
Israele, come ha dichiarato lo stesso ministro della difesa Ya’alon (v. The
Times of Israel, 29 giugno 2015
).

La creazione della «zona sicura»,
formalmente per accogliere i profughi siriani, ufficializza lo smantellamento
della Siria, Stato sovrano membro dell’ONU, Stato che ha rinunciato alle armi
chimiche, al contrario di Israele che ha anche quelle nucleari.

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La NATO va anche «in soccorso» dell’Iraq,
minacciato dall’ISIS: ha annunciato il 31 luglio che addestrerà in Turchia e
Giordania combattenti iracheni (selezionati da Washington ai fini della
balcanizzazione dell’Iraq).

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Attua così la strategia che mira a ridisegnare
la carta del Medioriente cancellando, come è stato fatto in Europa con la
Jugoslavia e in Nordafrica con la Libia, gli Stati ritenuti di ostacolo agli
interessi dell’Occidente. Provocando milioni di morti e di profughi, mentre la
Casa Bianca pubblica la petizione popolare contro l’uccisione del leone Cecil per dimostrare la propria
umanità.

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