Assad e le colpe sui migranti

Gli USA non avevano nessuna intenzione di fare la guerra al Califfato e dare così una mano ad Assad che volevano già bombardare nel 2013. [Alberto Negri]

Assad e le colpe sui migranti
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17 Settembre 2015 - 19.27


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[b]L”intervista di Assad a RT tradotta in italiano[/b]

[url”da Pandora TV”]http://www.pandoratv.it/?p=4040[/url]

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di
Alberto Negri
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In tutti i grandi drammi e alla vigilia di
tragedie forse anche maggiori, circola sempre una buona dose di propaganda. Il
presidente siriano Bashar Assad in un’intervista alla tv russa afferma che la
colpa delle ondate dei migranti è dei Paesi occidentali che hanno sostenuto il
terrorismo insieme ai loro partner arabi e musulmani. È sicuramente vero: la
Turchia ha fatto passare qualche cosa come 30mila jihadisti dai confini per
fare la guerra a Damasco. Quello che omette Assad è che alla marea dei profughi
ha dato un contributo decisivo con una repressione sanguinosa. Se oggi non c’è
un’opposizione moderata in Siria per bilanciare gli estremisti islamici lo si
deve soprattutto al clan che ha tenuto in pugno il Paese. Per questo, come
detta l’esperienza in Iraq, in Libia e altrove, la caduta di questi regimi
difficilmente apre la via a processi democratici. A parte la Tunisia, che
infatti è un’eccezione nel mirino del terrorismo jihadista.

Detto questo, che gli Stati Uniti alzino
adesso il sopracciglio sul coinvolgimento della Russia e dell’Iran nel sostegno
al regime appare quanto meno singolare. A Washington sanno benissimo che nel
2011 in Siria è cominciata una guerra per procura tra le potenze regionali cui
hanno contribuito attivamente anche gli americani. È stato il segretario di
Stato Hillary Clinton ad accreditare alle riunioni internazionali la presenza
sul terreno di un’opposizione moderata che non esisteva, ben sapendo che la Turchia
e le monarchie del Golfo sostenevano i gruppi jihadisti, combattenti ben
addestrati che provenivano dalla Cecenia e da tutti i fronti mediorientali e
del Maghreb. Ma come al solito, americani, francesi, turchi e monarchie del
Golfo hanno fatto male i conti. Tra l’altro è inutile adesso chiedere agli
Stati del Golfo di prendersi anche loro dei rifugiati: ci “pagano” in termini
di commesse, partecipazioni finanziare e investimenti perché ce li teniamo noi
europei.

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La verità è che gli Stati Uniti, non diversamente
da Assad o dalla Russia, tentano di coprire i propri fallimenti. Vertici dello
Us Central Command (Centcom), che coordina le operazioni militari americane
contro l’Isis in Iraq e in Siria, avrebbero manipolato i rapporti preparati
dagli uomini dei servizi, dando alla Casa Bianca, al Pentagono e al Congresso
informazioni distorte sulla guerra. L’obiettivo secondo quanto riportato dal
New York Times sarebbe stato quello di mostrare un quadro più roseo della lotta
ai militanti dello Stato islamico.

In realtà non c’è stata alcuna
manipolazione. Gli Stati Uniti non avevano nessuna intenzione di fare la guerra
al Califfato e dare così una mano ad Assad che volevano già bombardare nel
2013. Esperti come l’ex capo di stato maggiore Vincenzo Camporini avevano già
da tempo messo in evidenza che gran parte delle missioni aeree americane non
raggiungevano il bersaglio. Circa il 60-70% dei raid si concludevano con un
nulla di fatto. In due giorni a Kobane nell’ottobre dell’anno scorso chi scrive
non ha mai sentito sorvolare un aereo, eppure le agenzie battevano
freneticamente che erano in corso raid della “coalizione internazionale”. E la
situazione non era molto diversa qualche mese prima nel Kurdistan iracheno dove
il Califfato si è fermato a Makmour, a mezz’ora d’auto da Erbil, soltanto
perché non era interessato a impegnare le sue forze in quell’area ma a
rafforzare la sua presenza nelle regioni sunnite. A Makmour a difendere il
Kurdistan sono arrivati i peshmerga del Pkk, oggi nel mirino di Erdogan, non le
truppe occidentali o l’esercito iracheno, che si era sciolto di fronte
all’avanzata dei jihadisti. Non è necessario essere degli strateghi per capire
che se il Califfato tiene ancora città irachene importanti come Mosul significa
che la lotta all’Isis segna il passo. Assad non ha niente a che fare con
l’Iraq, qui dovrebbe essere il governo con il sostegno americano a reagire e se
non lo fa è perché non ne ha né i mezzi né le forze. Lo stesso premier Abadi ha
detto chiaramente che senza le milizie sciite e i Pasdaran iraniani le cose
andrebbero anche peggio.

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