Predatori USA in Lettonia

La Nato dispiega i droni Predator in Lettonia, a ridosso del territorio russo. La presenza militare USA mira a un vantaggio strategico sulla Russia [Manlio Dinucci]

Predatori USA in Lettonia
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Redazione Modifica articolo

7 Ottobre 2015 - 17.51


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di
Manlio Dinucci
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Alla vigilia dell’esercitazione
«Trident Juncture 2015», il 2 ottobre, la Nato ha annunciato «il primo spiegamento
Usa in Europa di droni ad alta tecnologia», Non solo nel periodo dell’esercitazione,
ma in modo permanente.

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Il video ufficiale
mostra un Predator (Predatore) nella base aerea di Lielvarde, in Lettonia a
ridosso del territorio russo, appena «rinnovata» per accogliere i droni e altri
velivoli militari Usa/Nato.
(link Nato Trident Juncture 2015).

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Il Predator che viene
mostrato è quello da «ricognizione», ossia da spionaggio e individuazione degli
obiettivi da colpire. Può operare dalla base in Lettonia, però, anche il Predator
Reaper (Mietitore, ovviamente di vite umane), armato di 14 missili Hellfire
(Fuoco dell’Inferno) e di due bombe a guida laser o satellitare. I telepiloti,
seduti alla consolle a migliaia di km di distanza in una base negli Usa, una
volta individuato il «bersaglio», comandano con il joystick il lancio dei missili
e delle bombe.

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I «danni collaterali»
sono inevitabili: per colpire un presunto terrorista, i droni killer distruggono
spesso una intera casa, uccidendo donne e bambini con il «Fuoco dell’Inferno» a
testata termobarica o a frammentazione. Ciò è avvenuto ripetutamente in Afghanistan,
Pakistan, Iraq, Yemen, Somalia e altri paesi.

Alla cerimonia svoltasi
alla base di Lielvarde per festeggiare l’arrivo dei Predatori Usa, ha
partecipato il presidente della Lettonia Vejonis, che lo ha definito «un
esempio importante di smart defence (difesa intelligente)». Gli ufficiali Usa
hanno dichiarato che personale lettone sarà addestrato  all’uso del Predator, il cui controllo
resterà però in mani statunitensi.

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Insieme al Predator è
stato esibito, in volo sulla base di Lielvarde, un A-10 Thunderbolt per l’attacco
ravvicinato al suolo, probabilmente uno dei 12 appena trasferiti dagli Usa
nella base di Amari in Estonia, anch’essa a ridosso del territorio russo.

Sempre il 2 ottobre, la
Nato ha dato un altro importante annuncio: l’arrivo nella base navale di Rota,
in Spagna, del cacciatorpediniere lanciamissili USS Carney, per «rafforzare la difesa missilistica Nato in
Europa». Oltre che da 24 missili SM3 del sistema Aegis installati in Polonia e
altrettanti in Romania, lo «scudo» missilistico comprende lo schieramento nel
Mediterraneo di navi da guerra dotate di radar Aegis e missili SM3. La USS Carney
è la quarta unità di questo tipo, dallo scorso febbraio, ad essere trasferita
dagli Usa nel Mediterraneo, più precisamente nel Mar Nero in Romania come ha precisato
l’ammiraglio USA Ferguson, comandante del Jfc Naples (con quartier generale a
Lago Patria).

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È probabile che il
numero di queste navi nel Mediterraneo aumenterà, dato che la US Navy ne ha già
una trentina.

È ormai chiaro che lo
«scudo» Usa in Europa non è diretto contro la «minaccia dei missili nucleari
iraniani» (inesistenti), ma mira ad acquisire un decisivo vantaggio strategico
sulla Russia: gli Usa potrebbero tenerla sotto la minaccia di un «first strike»
nucleare, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare gli effetti
della rappresaglia. E poiché sono gli Usa a controllare i missili dello
«scudo», schierati in Europa e nel Mediterraneo, nessuno può sapere se sono
intercettori o missili nucleari.

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La marina spagnola
dispone già di quattro fregate dotate del sistema Aegis, che le rende interoperative
con le navi Usa.

Lo stesso si sta facendo
con le fregate Fremm della marina militare italiana. Tutte le unità navali
Aegis nel Mediterraneo, informa la Nato, sono «sotto comando e controllo Usa».
Ciò significa che la decisione di lanciare i missili intercettori, o presunti
tali, è di esclusiva pertinenza del Pentagono.

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Fonti:

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