'L''11/9 della NATO?'

'1) Francia, paese Nato. 2) La sostituzione dell''Isis. 3) Turchi e sauditi alle prese col ''Piano C''. 4) I suoi vantaggi. 5) L''Europa e noi. [Piotr]'

'L''11/9 della NATO?'
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15 Novembre 2015 - 22.54


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di Piotr.

1. Francia, paese Nato.

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La serie di
attentati in Francia che ha stroncato la vita a un numero impressionante di
innocenti solleva subito una questione cruciale che si pone a un livello
successivo alla disamina e alle disquisizioni su cosa è successo veramente e
sui punti oscuri che inevitabilmente salteranno fuori, come nel caso di tutti,
ripeto tutti, gli atti terroristici, non ultimo quello contro Charlie Hebdo.

Al di là
dello schema solito, che sembra ormai un marchio di fabbrica, dei passaporti
degli attentatori trovati subito dopo gli attacchi, come già alle Torri
Gemelle, come già al Pentagono, come già al Charlie
Hebdo
, la storia moderna è costellata di punti oscuri di questa natura.
Anche pensando a cose ben più nobili come il nostro Risorgimento, le stesse azioni
di sovversione armata dei nostri patrioti (si pensi alla spedizione dei Mille)
e i loro attentati (si pensi a Felice Orsini), non erano immuni dai giochi tra
potenze che si svolgevano allora in Europa. Quindi lasciamo queste cose per ora
in sospeso e passiamo oltre.

La domanda è,
dunque, “Come reagirà la Nato?”

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Già, perché
la Francia è un paese Nato sotto attacco.
Quindi a rigor di logica, la Nato dovrebbe intervenire per difenderlo. Questa
è
l’ipotesi a caldo.

Gli azzeccagarbugli
dell’Alleanza Atlantica dovranno scovare le giustificazioni statutarie, ma, se
c’è la volontà e possibilità politica, la fatica non sarà poi molta, visto che
la Nato è per lo meno dai tempi del Kosovo che ha deciso di fare quello che
vuole in barba alla sua stessa natura ufficiale e alle regole che la
rispecchiavano.

Detto in
termini più espliciti, l’orrenda serie di attentati parigini potrebbe fare
scattare un’operazione militare alleata in Siria e Iraq.

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È vero che i
ben più gravi attentati alle Torri Gemelle non fecero scattare clausole Nato,
ma i tempi dell’unilateralismo puro degli Stati Uniti sono passati e per un
semplice motivo: allora la terza guerra mondiale era appena iniziata, la
Russia e la Cina non ponevano ostacoli diplomatici e men che meno militari,
oggi invece è a uno stadio avanzato e la situazione internazionale, politica,
militare, economica e finanziaria, è pesantemente cambiata.

Una guerra
mondiale che si sta svolgendo secondo le (autoavveratesi) previsioni degli anni
Novanta degli strateghi della Rand Corporation: un misto di supertecnologie militari e di guerre premoderne.

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2. La sostituzione dell’Isis.

L’ipotesi
successiva è che sarà veramente una guerra contro l’Isis (o Daesh) e non,
almeno in forma diretta, contro Bashar al-Assad. Si tratta dell’esecuzione di
un incerto “piano C” da parte dell’impero americano, frutto probabilmente di
una mediazione tra i falchi e le “colombe” (in questo caso è
d’obbligo usare le virgolette) che a Washington si stanno facendo una guerra anche
a colpi di manette (vedi il caso del potentissimo generale Petraeus). Un
accordo momentaneo in una guerra che con tutta evidenza è destinata ad approfondirsi
in vista delle prossime presidenziali Usa.

Qualcosa che
per molti versi non è né carne né pesce e che aggiungerà caos a quello già
esistente. Essendo un frutto instabile di strategie differenti ai ponti di
comando dell’impero, non può che gettare nella confusione i suoi alleati in
loco che vedono, e giustamente, in Washington la causa prima di siffatta
incertezza. Insomma, l’ormai famosa strategia
caotica
della Casa Bianca.

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Inevitabile,
visto che la fine dell’Urss, la crescita della Cina, la contemporanea decadenza
dell’egemonia americana e la crisi sistemica che l’accompagna (che è il
punto di inizio e di riflusso di tutto) hanno liberato linee di forza di
ogni tipo
che puntano nelle più svariate direzioni e con scarse possibilità
di coordinarsi anche nei singoli paesi.

La
straordinaria e inaspettata resistenza dei Siriani in questi quattro anni di selvaggia
aggressione, compattati a stragrande maggioranza attorno al loro presidente
(stime occidentali) e il recente intervento russo, hanno sconvolto il “piano A”
(distruzione diretta anche di questo stato laico), il “piano B” (distruzione
tramite l’Isis, tranquillamente qualificato da Hillary Clinton come una
creatura dell’impero) e ha aperto un confronto a Washington tra chi propone una
guerra conclamata e generalizzata rasentante il confronto nucleare e chi non se
la sente di iniziarla (anche per ottimi motivi egoistici che poi vedremo). Una
lotta all’interno dei palazzi imperiali, aspra, durante la quale i falchi
capeggiati dal triumvirato bipartisan Clinton-Petraeus-McCain hanno sicuramente
chiesto ragione all’attuale amministrazione del perché abbia lasciato campo
libero ai Russi in Siria.

Sì, perché
al di là delle mitologie antimperialistiche, la Casa Bianca e il Pentagono
sapevano da parecchio tempo cosa stavano preparando i Russi col loro trasbordo
di materiale a Tartus e a Latakia che passava da mesi e mesi, senza proteste degli
Stati Uniti o richieste di chiusura dello spazio aereo, sulla zucca di Erdoğan.
Era un “mi volto dall’altra parte” frutto di un accordo tra Mosca e Washington
che si è esplicitato la prima volta durante la “crisi degli attacchi chimici”
del 2013.

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Forse
l’inaspettata efficienza e l’inaspettata incisività dell’intervento russo unite
alle possenti pressioni del partito della guerra (e dell’industria bellica),
forse questo più la paura di non uscire dalla crisi e dalla decadenza
egemonica, legate a doppio mulinello, forse l’effettiva difficoltà a questo
punto degli eventi di avere una strategia chiara e di lunga durata, tutto
questo può aver fatto optare per l’incerto “piano C”, cioè la sostituzione con
una nuova entità del bloccato, seppur non sconfitto, e totalmente impresentabile
Isis (oltre il 70% dei cittadini britannici si è dichiarato a favore
dell’intervento Russo
).

Un’entità
che la Nato, se la mia ipotesi è corretta, dovrebbe oggi direttamente sostenere
sul campo, per gran parte con la sua aviazione.

Qual è questa nuova entità? E’ la non meglio definita
coalizione di Curdi e Yazidi presentata da Washington come la forza che libererà
Raqqa dallo Stato Islamico. Una presentazione per certi versi stravagante. A
parte l’imprecisa definizione, perché gli Yazidi sono curdi anch’essi, benché
di religione, appunto, yazidi, i Curdi non sono un popolo omogeneo
politicamente e le loro differenze politiche si intrecciano con le differenze
geografiche. Una stranezza ben più importante è questa: perché i Curdi
dovrebbero morire per arrivare a Raqqa, città sunnita in mezzo a una regione
sunnita? Il programma è dunque
visibilmente impostato da fuori, com’era da aspettarsi
.

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Ma ci
staranno i Curdi? Alcuni loro dirigenti hanno già fatto sapere che per loro
Raqqa ha una priorità bassissima, seppur ce l’ha. Il loro primo obiettivo è un ipotetico
Kurdistan a ridosso di Turchia e Iran.

In secondo
luogo, che tipo di alleanza si può instaurare tra i Curdi iracheni e quelli
siriani? Questi ultimi non si sono dimostrati particolarmente ostili a Damasco,
che dal canto suo gli ha riconosciuto la piena autonomia, e hanno idee
politiche socialisteggianti che non sembrano andare molto d’accordo con quelle
dei dirigenti curdi iracheni.

Un obiettivo
troppo eterodiretto e una relativa disomogeneità tra gli alleati potrebbero
rappresentare un primo intoppo.

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3. La Turchia e l’Arabia Saudita alle prese col “piano
C”
.

Cercheremo
di capire tra un attimo i vantaggi che l’impero pensa di ottenere da questa
nuova avventura. Adesso vediamo però il secondo intoppo al progetto. Si tratta
della Turchia, che di un Kurdistan a ridosso dei suoi confini
non vuole nemmeno sentire parlare
. E infatti bombarda i Curdi della Rojava siriana su cui invece puntano
gli alleati americani. Erdoğan ha fatto sapere che è pronto a invadere il Nord
della Siria con 10.000 uomini, per «creare una zona cuscinetto tra Turchia e
Isis», come afferma con estremo sprezzo del ridicolo, proprio lui che assieme
all’Arabia Saudita è notoriamente il più grande sostenitore del “Califfato”.

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Ovviamente i
Curdi siriani, che hanno stretti collegamenti col PKK (Partito dei Lavoratori
del Kurdistan) in Turchia, non se la bevono e nemmeno gli Usa. È però un
avvertimento a tutti e due.

Oltre
all’odiata ipotesi di Kurdistan, la Turchia vede minacciata l’esigenza di
alcuni suoi forti gruppi di potere di espansione in Medio Oriente, esigenza per
la quale il Fratello musulmano Erdoğan era un buon vettore, benché ostico alla
laica magistratura e al laico esercito (che infatti sono stati
purgati). Rovinato il nuovo sogno di rifare a ritroso parte del percorso di quel
Lawrence d’Arabia che lì aveva sconfitto l’Impero Ottomano, la Turchia rischia
di essere ricacciata nel sogno
panturanico
di quindici anni fa, cioè l’allargamento della sua sfera
d’influenza nel “turkmenistan” centroasiatico, dove però dovrebbe vedersela
direttamente con la Russia proprio mentre ne ricerca la collaborazione
economica (perché anche la Turchia sa benissimo che in Occidente c’è poca
trippa per gatti).

Il secondo
contendente regionale insoddisfatto dal “piano C”, è l’Arabia Saudita col contorno dei suoi compagni di merende
peninsulari.

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Questa
proprietà privata della Casa Saud, perché in realtà non è uno Stato, versa in gravi difficoltà finanziarie, tra le
quali spiccano il 20% del rapporto debito-Pil e il nervosismo dell’FMI.
Difficoltà dovute al crollo del prezzo del petrolio. Come se non bastasse è impantanata in modo pesante nella guerra
nello Yemen
, nonostante le stragi di civili che compie grazie alle bombe che noi Italiani-brava-gente le consegniamo dalla Sardegna
(2.500 morti finora, di cui 500 bimbi, dati ONU, più una marea di rifugiati e
l”impossibilità per milioni di persone di accedere all”acqua pulita). Riad sarà
sempre più impantanata nonostante le armi che a questo regno, massimo
finanziatore dell’Isis e suo mentore ideologico, Finmeccanica vuole vendere con
la mediazione e gli auspici del boy-scout Matteo Renzi. E che i Cristiani in
Medio Oriente vadano tutti a morire ammazzati, come sta già succedendo: come
vedete stiamo parlando di un concentrato di infamia e ipocrisia che ha pochi
eguali nella storia contemporanea
(sicuramente Renzi andrà con gli altri
sepolcri imbiancati del suo calibro al funerale delle vittime di Parigi, c’è da
scommetterci).

Come se non
bastasse, una volta scacciate da Iraq e Siria, le divisioni dell’Isis si
potrebbero rivolgere in modo naturale verso La Mecca. Già lo hanno fatto
sapere. E saggiamente il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah lo aveva detto
qualche mese fa in occasione della minaccia dell’Isis di invadere Roma: “Cosa
ci andrebbe a fare a Roma l’Isis
[a
parte, aggiungo io, qualche possibile attentato]? La sua meta finale è La
Mecca
”.

Preoccupati
da questo intreccio di problemi, i
regnanti sauditi stanno compiendo viaggi seriali al Cremlino
, sia per dare
un avvertimento a Washington che, ovviamente, mette i propri interessi al di
sopra di quelli dei suoi alleati, sia per avere un sostegno politico. Sia,
infine, perché Riad e Mosca condividono
uno stesso problema economico: il crollo del prezzo del petrolio
.

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4. I vantaggi del “piano C”.

I vantaggi
di questo piano per gli Usa e il suo impero sono evidenti: bloccare la
riconquista siriana delle zone occupate dall’Isis, limitando però il rischio di
uno scontro militare coi Russi e creare un cuneo nel bel mezzo del Medio
Oriente, tra Damasco, Baghdad e Teheran, un cuneo non più islamista
fondamentalista, ma di altro tipo.

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A Mosca, che
di sicuro protesterà per l’illegalità dell’intervento, perché non sarà
richiesto dal legittimo governo della Siria e probabilmente nemmeno da quello
dell’Iraq, potrebbe implicitamente andar bene come situazione di compromesso e
forse con qualche aggiustamento territoriale anche a Damasco nell’attesa di una
riconciliazione nazionale.

Nonostante
l’efficacia dei loro raid aerei, i generali russi sanno bene che sconfiggere
l’Isis non sarà una cosa immediata e che è necessaria una riorganizzazione
dell’Esercito Arabo Siriano e nuove forze sul terreno.

Un ex
analista militare statunitense nato da una famiglia russa anticomunista
emigrata in America, su questo punto si è esercitato con un’analisi comparativa
e differenziale con l’ultimo intervento israeliano in Libano. Ebbene, Israele
compiva circa 400 raid aerei al giorno contro gli 80-100 dei Russi in Siria, usava
in modo martellante l’artiglieria, cosa che l’Esercito Arabo Siriano non fa, e
aveva sul terreno 30.000 soldati contro il migliaio scarso di combattenti di secondo
livello che Hezbollah schierava a sud del fiume Litani mentre manteneva lontani
dalla linea di contatto il grosso delle forze e i reparti d’élite. Un rapporto
di 30 a 1 che i Siriani nemmeno si sognano. Ebbene, nonostante questo enorme
vantaggio, Israele fu costretto a ritirarsi e a chiedere una forza di
interposizione.

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Lo stesso problema
si pone teoricamente anche alla nuova coalizione che verosimilmente verrà
sostenuta dalla Nato qualora l’ipotesi che stiamo esaminando si rivelerà giusta.
Teoricamente, perché non è escluso che i combattenti dell’Isis vengano traditi
dai loro capi, cioè quelli in contatto con chi “leads from behind” (fra
cui il senatore McCain, presidente della Commissione Difesa del Senato
americano, come lui stesso ha ammesso apertamente).

C’è un
ulteriore punto molto delicato che si formula così: chi comanda attualmente negli
Stati Uniti?
Il suo governo sembra oggetto di mini pronunciamenti
golpistici. Si pensi appunto a McCain, presidente della commissione Difesa del
Senato degli Stati Uniti, che dichiara di essere in contatto con gli ufficiali
dell’Isis (e che documentatamente si è incontrato due anni fa in Siria col
“califfo” al-Baghdadi). Si pensi al generale Petraeus che al Senato dichiara
senza pudore che al-Qa”ida è il miglior alleato degli Usa in Medio Oriente, si
pensi al generale John Allen, rimosso da Obama perché invece di
bombardare l’Isis gli paracadutava armi. Forse anche l’attacco a Parigi è
frutto di questi cripto-golpisti e delle loro ramificazioni nella Nato. Una
politica dei fatti compiuti che poi l’amministrazione Obama coi suoi vassalli deve
gestire, come probabilmente è stato il golpe nazistoide a Kiev o la guerra nel
Donbass.

Ogni persona di buon senso sa che un
confronto diretto con la Russia sarebbe letale
. Impossibile vincerlo con armi
convenzionali. Il maresciallo Montgomery dichiarò in una audizione alla Camera
dei Lord che la prima regola del manuale di guerra era “Non marciare mai su
Mosca” (aggiungendo che la seconda era “Non marciare mai su Pechino”).

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Impossibile
vincerlo con armi nucleari, perché non ci sarebbe sbarramento antimissili che
terrebbe. Ogni persona che si occupa di cose militari lo sa, ma anche ogni
persona di buon senso lo capisce. Forse qualche invasato crede alla propria
propaganda, all’idea folle che sarebbe protetto dalla ritorsione Russa a un “first
strike
” nucleare. Ma immagino e spero che in quel caso sarebbero i militari
statunitensi stessi a non permettergli di spingere il bottone.

Tuttavia non
è impossibile escludere che qualcuno non sia intenzionato a rischiare una
situazione tipo Il dottor Stranamore, cioè a mettere gli Stati Uniti e
il mondo occidentale di fronte a un fatto
compiuto
di gravità inaudita, magari contando su un altamente improbabile
cedimento in extremis dell’avversario. Ognuno di noi che abbia una coscienza, uomo
o donna, comune cittadino o impegnato nella politica, di qualsiasi
schieramento, ha l’obbligo di vigilare che questo non accada mai, ha l’obbligo
di compiere ogni sforzo perché a questo non si arrivi mai.

La crisi sta
mettendo fuori gioco tutto il vecchio armamentario che viene così ridotto a due
cose: stampare soldi senza valore e iniettarvi valore con le armi.
Questa è l’essenza attuale della crisi. Una formula che non sta in nessun
manuale di Economia, ma sta nella realtà dei fatti. E, come dice il proverbio,
quando tutto ciò che si ha in mano è un martello, tutto ciò che esiste sembra
un chiodo.

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Dio ci
protegga dai potenti!

5. L’Europa e noi.

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Purtroppo
sembra difficile ravvisare nei governi europei anche labili tracce di
coscienza. Sono ormai al servizio, entusiasta o riluttante, acquistato per un
prezzo o imposto con la paura, delle variabili strategie degli Stati Uniti. La
grande Unione Europea, Nobel per la Pace, ondeggia tra l’ignominia e la
vigliaccheria
. Le sue nuove élite, e in particolare quelle progressiste da
tempo estasiate dall’essere state finalmente accolte a pieno diritto nei
salotti buoni imperiali, sguazzano nell’ingiustizia e nelle atrocità in un modo
che avrebbe inorridito non solo la vecchia guardia di sinistra ma anche il
reazionario più spudorato del dopoguerra. Grondano sangue e
sporcizia
dalla testa ai piedi, da ogni poro.

Abbiamo
un solo compito e una sola possibilità: non starle più a sentire e lavorare per
un’Italia neutrale e un nuovo movimento di paesi non allineati
con nessuna grande potenza.

Dio
ci protegga dai potenti!

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