Il drone Italia verso la Libia

L’Italia entra così nell’elenco ufficiale delle basi dei droni USA da attacco, sotto esclusivo controllo del Pentagono. [Manlio Dinucci]

Il drone Italia verso la Libia
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2 Marzo 2016 - 20.44


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di Manlio Dinucci.


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Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi ha «autorizzato caso per caso» la partenza di droni armati USA da Sigonella verso la Libia e oltre. 

Quando è noto che già nel 2011 fu un drone USA Predator Reaper, decollato da Sigonella e teleguidato da Las Vegas, ad attaccare in Libia il convoglio su cui si trovava Gheddafi, spingendolo nelle mani dei miliziani di Misurata.


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L’Italia entra così nell’elenco ufficiale delle basi dei droni USA da attacco, sotto esclusivo controllo del Pentagono, insieme a paesi quali Afghanistan, Etiopia, Niger, Arabia Saudita, Turchia.


Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, precisando che «l’utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al Parlamento», assicura che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia.

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Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – stanno segretamente operando in Libia. Dall’hub aeroportuale di Pisa, limitrofo alla base USA di Camp Darby, decollano in continuazione aerei da trasporto C-130 (probabilmente anche statunitensi), trasportando materiali militari nelle basi meridionali e forse anche in qualche base in Nordafrica.


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Nella base di Istres, in Francia, sono arrivati aerei USA KC-135 per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri francesi. L’operazione è diretta non solo alla Libia. Istres è la base della «operazione Barkhane», che la Francia conduce con 3mila militari in Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Burkina-Faso.


Nella stessa area e in Nigeria operano gli USA con forze speciali e una base di droni in Camerun. Sempre con la motivazione ufficiale di combattere l’ISIS e i suoi alleati.

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Contemporaneamente la NATO ha dispiegato nell’Egeo il Secondo gruppo navale permanente, sotto comando tedesco, e aerei radar AWACS (centri di comando volanti per la gestione del campo di battaglia), con la motivazione ufficiale di «sostenere la risposta alla crisi dei rifugiati» (provocata dalle guerre USA/NATO contro la Libia e la Siria). 


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A tale operazione si è aggiunta la «Dynamic Manta 2016», esercitazione NATO nel Mar Ionio e nel Canale di Sicilia con forze aeronavali di USA, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Grecia, Turchia e Italia, che ha fornito le basi di Catania, Augusta e Sigonella. 

Si prepara così «l’operazione di peacekeeping a guida italiana» che, con la motivazione di liberarle dall’ISIS, mira a occupare le zone costiere della Libia economicamente e strategicamente più importanti. Manca solo «l’invito», che potrà essere fatto da un fantomatico governo libico.


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Per l’intervento in Libia sta premendo a Washington Hillary Clinton, candidata alla presidenza, che – scrive il New York Times in un ampio servizio – ha «l’approccio più aggressivo verso le crisi internazionali». Fu lei nel 2011 a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia».


Le armi, compresi missili anticarro Tow e radar controbatteria, furono inviate dagli USA e altri paesi occidentali a Bengasi e in alcuni aeroporti. Contemporaneamente la NATO sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale, con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando dall’esterno e dall’interno lo Stato libico.

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Quando nell’ottobre 2011 Gheddafi fu ucciso, la Clinton gioì con un «Wow!», esclamando «Venimmo, vedemmo, morì». 


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Non sappiamo quale condottiero citerà per la seconda guerra in Libia. Sappiamo, però, chi ci telecomanda.



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