Evidenziamo le vittime occidentali, ma ignoriamo chi è nostra vittima

'E'' propagandistico concedere informazione solo alle vittime occidentali della violenza e quasi mai alle vittime non occidentali della violenza dell''Occidente. [G. Greenwald]'

Evidenziamo le vittime occidentali, ma ignoriamo chi è nostra vittima
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Redazione Modifica articolo

30 Marzo 2016 - 05.35


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di Glenn Greenwald.

Da giorni i notiziari televisivi americani trasmettono
speciali non-stop sui terribili attentati a Bruxelles. Gli spettatori sono stati
ripetutamente informati sui testimoni e sui feriti. Il video del terrore e del panico
quando le bombe sono esplose è stato mostrato a ciclo continuo. Le emittenti
hanno
inviato le loro star televisive a Bruxelles, dove sono
tuttora. Il network radiofonico NPR ha
compilato il profilo di diverse vittime dell’aeroporto. La CNN
ha mostrato una toccante intervista con un ferito, un diciannovenne mormone
americano che parla avvolto dalle bende dal suo letto d”ospedale in Belgio.

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Tutto ciò è come dovrebbe essere: è questa
la notizia. Ed è importante capire a un livello profondo quale sia il costo
umano di questo tipo di violenza. Ma questo è anche lo stesso motivo per cui è così ingiustificabile, e così propagandistico, che questo tipo di informazione
sia concesso solo alle vittime occidentali della violenza e quasi mai alle
vittime non occidentali della violenza dell”Occidente
.

Poco più di una settimana fa, come ha scritto Mohammed Ali Kalfood su The Intercept, «alcuni cacciabombardieri di una coalizione a guida
saudita [supportata da Stati Uniti e Regno Unito] hanno
bombardato un mercato a Mastaba, nella provincia settentrionale dello Yemen di
Hajjah. L”ultimo conteggio indica che negli attacchi sono state
uccise circa 120 persone, tra cui più di 20 bambini, e 80 sono rimaste ferite.»

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Kalfood ha intervistato il ventunenne
yemenita Khaled Hassan Mohammadi, che ha detto: «Abbiamo visto attacchi aerei su
un mercato lo scorso Ramadan, non lontano da qui, ma questo attacco è stato il
più micidiale». Nel corso degli ultimi anni gli Stati Uniti hanno compiuto raccapriccianti
attacchi da macelleria civile in Yemen, Pakistan, Afghanistan, Siria, Somalia,
Libia e Iraq. Lo scorso luglio The
Intercept
ha pubblicato un saggio fotografico di Alex Potter sulle
vittime yemenite di uno dei più micidiali attacchi sauditi del 2015, equipaggiati
da Stati Uniti e Regno Unito.

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Hisham
Al-Omeisy

@omeisy

Traduz.: Il filmato degli
attacchi aerei che hanno colpito il mercato di Hajjah è troppo esplicito, così nell’immagine
ho offuscato i civili e bambini uccisi. #Yemen

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Non avrete quasi certamente mai sentito i
nomi di nessuna di quelle vittime su CNN, NPR o nella maggior parte degli altri
grandi organi di stampa statunitensi. Nessun famoso corrispondente televisivo
americano sarà inviato nei luoghi dove queste persone hanno perso la vita a
causa delle bombe degli Stati Uniti e dei loro alleati. Al massimo, sentirete brevi
e distaccate notizie di cronaca che descrivono fugacemente e con freddezza quel
che è successo − di solito accompagnate da una dichiarazione giustificativa da parte
di funzionari degli Stati Uniti, comunicata acriticamente, sul perché il
bombardamento fosse nobile – ma, anche nei rari casi in cui simili attacchi siano
seguiti in modo completo, sarà evitato tutto ciò che possa causare qualsiasi coinvolgimento
intenso o emotivo con le vittime. Di loro non saprete mai nulla − neanche i
loro nomi, né tanto meno avrete informazioni sulle aspirazioni della loro vita interrotta
né conoscerete i loro superstiti inconsolabili − e perciò non c’è la
possibilità di provare qualcosa per loro. In definitiva, la loro esistenza sarà
a malapena registrata.

Questo è voluto. Ed è dovuto al fatto che i
media statunitensi amano drammatizzare ed enfatizzano in modo incessante le
vittime occidentali della violenza, mentre rendono quasi del tutto invisibili
le vittime della violenza della loro parte.

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Forse pensate che ci siano ragioni buone o
almeno comprensibili per spiegare questa discrepanza nell’informazione. Forse credete
che gli esseri umani dedichino naturalmente più attenzione e provino maggiore
empatia verso la sofferenza di chi considerano più simile a loro. Oppure si
potrebbe sostenere che le vittime in città normalmente visitate dalle élites americane (Parigi, Bruxelles,
Londra, Madrid) facciano in qualche modo più notizia di quelle in luoghi poco
frequentati (Mastaba, nella provincia settentrionale dello Yemen di Hajjah). O
forse condividete l’argomentazione secondo cui è più facile per CNN o NBC News mandare
in onda corrispondenti nelle luccicanti capitali dell”Europa occidentale piuttosto
che nel Waziristan o a Kunduz. Senza dubbio, molti credono che la violenza
dell”Occidente sia moralmente superiore perché uccide i civili solo per caso e
non di proposito.

Ma a prescindere dalla logica di questa difformità
dell’informazione, l”impatto distorsivo è lo stesso: con un’esasperata
concentrazione e drammatizzazione in merito alle vittime occidentali della
violenza, intanto che si ignorano le vittime della stessa violenza
dell”Occidente, si rafforza continuamente l”impressione che solo Loro, ma non Noi,
pratichino la violenza che uccide persone innocenti. Noi siamo sempre le
vittime e mai i colpevoli (e quindi Buoni e Innocenti); Loro sono solo i
colpevoli e mai le vittime (e quindi Malvagi e Peccatori). Nell”aprile 2003,
Ashleigh Banfield, poi diventato una stella nascente fra i corrispondenti
bellici del canale televisivo MSNBC, tornato dall”Iraq si espresse criticamente sul criterio unilaterale e embedded con cui i media USA danno
copertura alle notizie della guerra, e subito dopo fu demansionato e infine
licenziato. Questo è parte di ciò che disse:

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«Ciò detto, cosa
non hai visto? Non hai visto dove sono atterrate quelle munizioni. Non hai
visto cosa è successo quando il colpo di mortaio ha preso terra. Una nuvola di
fumo non è ciò che sembra quando quel colpo  esplode, credetemi. Ci sono orrori che sono
stati lasciati completamente fuori da questa guerra. È stata una gloriosa, meravigliosa
immagine con un sacco di persone che la guardano e un sacco di inserzionisti resi
entusiasti dalle notizie della tv. Ma non era giornalismo, perché non sono così
sicuro che noi in America esitiamo a farlo di nuovo, a combattere un”altra
guerra, perché sembrava una così gloriosa, coraggiosa, fortunata e formidabile
impresa e ci siamo liberati di un orribile leader: ci siamo sbarazzati di un
dittatore, ci siamo sbarazzati di un mostro, ma non abbiamo considerato quello
che ci voleva per farlo.
[…] Penso ci siano
state un sacco di voci dissenzienti prima di questa guerra riguardo agli orrori
della guerra, ma sono molto preoccupato da questo show televisivo lungo tre
settimane e per come può aver cambiato le opinioni della gente. È stato molto edulcorato.
[…]  La guerra è brutta e pericolosa e,
in questo mondo, il modo in cui l”opinione pubblica dei paesi arabi parla di
noi alimenta e fomenta il loro odio e il loro desiderio di uccidere sé stessi
per far fuori gli americani.»

In altre parole, la morte, la carneficina e
la distruzione che l”invasione degli Stati Uniti stava causando hanno provocato
enormi quantità di odio antiamericano e un desiderio di portare la violenza
agli stessi americani, anche se questo avesse significato sacrificare vite
umane per realizzarlo. Ma i mezzi d’informazione USA non hanno mai mostrato
nulla di tutto ciò, così gli americani non avevano idea che ciò esistesse ed
erano quindi incapaci di capire perché quelle persone fossero desiderose di
fare violenza agli americani. Hanno quindi presunto che dovesse essere perché
sono primitivi o dediti per natura all’odio o mossi da qualche incomprensibile fervore
religioso.

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Ecco perché i media statunitensi, mostrando
solo una parte del conflitto, presentando solo il punto di vista nazionalista, hanno
fatto propaganda − ingannandoli – agli spettatori americani rendendoli più
ignoranti che informati. Di conseguenza, quando i treni di Londra e Madrid furono
attaccati nel 2004 e 2005 come rappresaglia per la partecipazione di quei paesi
all”invasione dell”Iraq, quel nesso causale (che perfino
l”intelligence britannica ha riconosciuto
) non è stato praticamente mai preso
in considerazione perché gli organi di comunicazione occidentali avevano assicurato
che era sconosciuto. Lo stesso valeva per i tentati attacchi negli Stati Uniti:
alla stazione della metropolitana di Times Square a New York e un aereo di
linea sopra Detroit, entrambi motivati dalla rabbia per
la violenza occidentale
. In assenza di qualsiasi dibattito dei media su
quelle vittime e sui motivi, questi attacchi sono stati semplicemente condannati
come insensati, dei massacri indiscriminati senza alcuna causa, e la gente è
stata quindi privata della capacità di comprendere perché erano successi.

Questo è esattamente ciò che sta accadendo
ancora. Perché questa settimana ero in viaggio negli Stati Uniti e sono stato
sottoposto a letteralmente decine di ore di notiziari tv e in rete sugli
attacchi di Bruxelles. Anche gli angoli più ridotti dell”attacco sono stati
sezionati. Ma non c’è stato un solo momento dedicato alla questione del perché il
Belgio − e prima ancora Stati Uniti, Francia e Russia − sia stato colpito dall’ISIS
(al contrario di una grande quantità di paesi democratici non musulmani di
tutto il mondo che l’ISIS non ha preso di mira), anche se l’ISIS ha dichiarato esplicitamente la ragione ed è, in ogni caso, evidente
di per sé: perché quei paesi hanno bombardato l’ISIS in Siria e in Iraq e
questi bombardamenti sono stati voluti come ritorsione e vendetta. E non c’è
stata nemmeno discussione sul perché l’ISIS sembri avere pochi problemi ad attrarre
sostegno tra alcuni dei paesi occidentali: come anche uno studio commissionato
da Rumsfeld
trovato nel 2004, è in gran parte a causa di una diffusa rabbia
tra i musulmani contro la violenza e l’interferenza occidentali in corso in
quella parte del mondo.

La questione, come sempre, non ha
fondamento: è sempre moralmente senza giustificazione colpire deliberatamente i
civili con la violenza (vedi l”aggiornamento qui su questo punto). Né questo dimostra
che il bombardamento dell’ISIS in Iraq e in Siria sia ingiustificato o dovrebbe
cessare. Il punto, invece, è che il quadro
bellico
in cui gran parte di questa violenza si svolge − una parte che si
dichiara in guerra e usa la violenza come parte di quella guerra è inevitabilmente attaccata dall”altra parte
che essa colpisce − è completamente soffocato da una copertura mediatica unilaterale
che preferisce raccontare un primitivo e autoadulatorio cartone animato.

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Il tabù definitivo dei media è l’autovalutazione:
alla domanda se fra quelle che intraprendiamo ci siano azioni che aggravano il
problema rispondiamo che stiamo cercando di risolverlo. Tale processo non attenuerebbe
il male della violenza dell’ISIS che colpisce i civili, ma permetterebbe una
comprensione più onesta e completa del ruolo che giocano le politiche dei
governi occidentali e gli inevitabili costi che esse comportano. Forse tali
costi hanno una validità durevole, ma a questa domanda si può rispondere razionalmente
solo se i costi sono discussi apertamente.

Ma qualunque altra cosa è vera se siamo
costantemente bombardati da immagini, storie e racconti drammatici che
evidenziano le vittime della nostra parte mentre le vittime della nostra violenza
sono rese invisibili; è del tutto normale che un gran numero di noi concluderà
che solo Loro, ma non Noi, commettono violenza per uccidere i civili. Questa è
una cosa davvero piacevole da credere, non importa quanto falsa sia. Mezzi di
comunicazione che perpetrano storielle autocompiacenti e dichiarazioni tribali −
ma assolutamente false − è la definizione stessa di propaganda. E questo è ciò
che in gran parte muove l’informazione dei media occidentali su questi attacchi
terroristici ogni volta che si verificano in Occidente.

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Traduzione
per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.



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