'Nato - Russia: il ritorno dell''Intermarium'

'Dall’Estonia alla Turchia, passando per Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria c''è una linea di ''contenimento antirusso'': l''Intermarium.'

'Nato - Russia: il ritorno dell''Intermarium'
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20 Maggio 2016 - 20.51


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di Federico
La Mattina
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In Romania, a Deveselu, viene schierato e
reso operativo un componente dello scudo antimissile Aegis Ashore (BMD) [1].

Si tratta di un sistema più ampio che comprende un radar in Turchia (a Kürecik), navi dotate della strumentazione Aegis (anti-missili balistici) e per il
2018 sarà reso operativo un ulteriore componente dello scudo antimissile a
Redzikowo in Polonia. Formalmente si
tratta di un sistema antimissile per difendersi dal “pericolo iraniano” e
dall’instabilità mediorientale ma ovviamente tali affermazioni hanno sempre
suscitato l’ilarità della diplomazia russa, che lo percepisce come una diretta
minaccia alla sicurezza nazionale.

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D’altra parte l’accordo raggiunto sul
nucleare iraniano non ha minimamente modificato lo schieramento del sistema
antimissile in territorio europeo. Il sistema antimissile BMD ha rafforzato la
“cavalcata” verso Est della Nato iniziata alla fine degli anni novanta (tuttora
in espansione).

Dopo avere perso la propria ragion d’essere
antisovietica, la Nato si è rimodellata in piena dottrina Wolfowitz e hybris
unipolare, sancendo la propria aggressività imperialistica in occasione della
guerra contro la Jugoslavia (come ha ben fatto notare Sergio Romano – dal
passato non certamente filosovietico – 
nei suoi recenti lavori [2]).


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La Russia considera il dispiegamento del
sistema antimissile una minaccia alla sicurezza nazionale e alla stabilità
europea. Maria Zakharova, portavoce
del ministero degli affari esteri della Federazione Russa, in un’intervista
rilasciata all’agenzia ITAR TASS ha affermato che “la situazione strategica in
Europa sta diventando molto più complicata a causa di questo” [3]

Tale posizione è stata ribadita anche
dall’ammiraglio Vladimir Komoyedov,
capo della commissione difesa della Duma, il quale ha affermato che “questo non
riguarda l’Iran ma la Russia con le sue capacità nucleari” [4] (secondo
la Nato si tratterebbe di “paranoie” russe da sindrome d’accerchiamento).

Basta però dare un’occhiata ad una qualsiasi
rappresentazione cartografica che evidenzi la contesa Nato-Russia per rendersi
conto della realtà dei fatti: dall’Estonia alla Turchia, passando per Lettonia,
Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria è presente una vera e propria linea di contenimento antirusso che
abbraccia gran parte dei paesi dell’ex patto di Varsavia o dell’ex Jugoslavia
(la National Security Strategy russa del 2015 riprende la dottrina militare del
dicembre 2014 in cui la Nato viene considerata la minaccia principale alla
sicurezza nazionale).

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L’Ucraina dopo il golpe di Maidan è entrata a
far parte del campo occidentale antirusso ed è in cantiere l’integrazione del Montenegro all’interno della Nato.

Si rispolvera il “prometeismo”, piano
antisovietico elaborato da Józef
Piłsudski
agli inizi del Novecento mirante a ricostituire l’Intermarium tra il Mar Baltico e il Mar
Caspio in memoria della Confederazione Polacco-Lituana. Nell’ambito della dottrina Intermarium spettava un ruolo
importante all’Ucraina in quanto un’Ucraina antirussa avrebbe limitato
l’accesso della Russia al Mar Nero [5].

La
dottrina Intermarium è stata ripresa
in forme diverse negli anni
successivi e molti analisti hanno fatto notare come oggi la Nato rispolveri il
“prometeismo”, puntando proprio sui paesi baltici, sulla Romania, sulla Polonia
e sull’Ucraina per la formazione di una vera e propria linea di contenimento
contro la Russia.
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La Russia ha peraltro rischiato di perdere
non soltanto la base di Tartus in Siria (ormai al sicuro) ma addirittura
la storica base di Sebastopoli sul
Mar Nero. Oltre ad evidenti motivazioni di importanza strategica (sbocco russo
nel Maro Nero e quindi nel Mediterraneo), sono presenti importanti motivazioni
di natura storica. Sebastopoli è stata sottoposta a un duro assedio di nove
mesi durante la seconda guerra mondiale e la resistenza dell’Armata Rossa venne
infine piegata dalle truppe dell’Asse (fu poi liberata dall’Armata Rossa nel
1944). Sarebbe stato difficile immaginare Sebastopoli, onorata come “città
eroina” per la resistenza antinazista, in mano alle milizie banderiste
rispondenti a Kiev che hanno fatto piazza pulita di ogni monumento che
ricordasse il passato sovietico, riscrivendo la storia del proprio paese.

Dal prossimo anno centinaia di carri armati e veicoli militari saranno schierati
lungo i confini orientali della Nato come deterrente contro “l’aggressività
russa” e alcuni tra i paesi più oltranzisti all’interno della Nato – Polonia in
primis – vorrebbero “precauzioni” militari ancora più forti e stabili contro la
Russia [6].

Sergej
Lavrov
, ministro degli affari esteri della Federazione Russa,
in una recente intervista rilasciata al quotidiano svedese Dagens Nyheter ha ribadito che le infrastrutture militari della
Nato si stanno sempre più avvicinando ai confini della Russia, affermando che
“quando la Russia si adopera per garantire la propria sicurezza, ci viene detto
che la Russia è impegnata in pericolose manovre vicino ai confini della Nato” e
che “in realtà i confini della Nato si stanno avvicinando alla Russia, non il
contrario”.

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Lavrov ha anche fatto notare che l’ultimo
incidente nel Baltico era legato a un “cacciatorpediniere statunitense armato
di decine di missili da crociera che navigava a poche dozzine di chilometri
dalla base russa a Baltiysk, che è territorio russo” [7].


Ci troviamo oggi di fronte a un potenziale arco di crisi Nato-Russia che va dal Baltico alla Siria, dove un
eventuale coinvolgimento militare turco rischierebbe di portare a un’escalation (fino ad ora saggiamente
evitata da entrambe le parti).

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Si pone quindi il grande problema del rischio di nuove guerre che coinvolgano direttamente potenze più che
regionali o addirittura globali.

L’attuale contesa Nato-Russia non va letta
come una riproposizione della “guerra fredda” e, per certi versi, è anche più
insidiosa dato che tra Stati Uniti e Russia oggi c’è un’evidente incomprensione
mentre “allora i decisori delle due potenze si capivano, suonavano spartiti
diversi sulla stessa tastiera” [8].

L’equilibrio di quegli anni si basava sul riconoscimento reciproco di uno status
paritario
tra le due superpotenze mentre dopo il crollo del campo
socialista gli Stati Uniti hanno rilanciato la loro egemonia globale con pretese unipolari. La Russia è stata
trattata quasi da paese sconfitto militarmente e oggi assistiamo ai primi
smottamenti di un mondo in via di cambiamento. Alla Russia sta stretta la
definizione obamiana di “potenza
regionale”
mentre la Cina – vera competitrice su scala globale anche se in
una posizione più attendista – si trova a fronteggiare il pivot to Asia contornato dal TPP
che fa il paio dal TTIP
euro-atlantico. Russia e Cina si trovano d’accordo anche nell’opposizione allo
schieramento del THAAD (sistema di difesa missilistico nell’area Asia-Pacifico)
come hanno ribadito i due ministri degli esteri Wang Yi e Sergej Lavrov a fine
aprile [9].

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Si pone un problema similare a quello appena
affrontato in Europa: gli Stati Uniti affermano che si tratta di un sistema
antimissile rivolto contro potenziali minacce nordcoreane mentre la Repubblica
Popolare Cinese ritiene che possa neutralizzare anche i propri missili.

Wang Yi ha ribadito che “una volta schierato,
il sistema rappresenterebbe una minaccia
diretta alla sicurezza strategica di Cina e Russia
”, non contribuendo a
risolvere la questione nordcoreana e alterando gli equilibri regionali.

Il sistema di difesa antimissile, pur essendo
rivolto alla “difesa”, ha in realtà una potenzialità pericolosamente offensiva
se riuscisse a neutralizzare i missili provenienti da Russia e Cina
(attualmente non è comunque in grado di farlo). Permetterebbe agli Stati Uniti
di lanciare un primo colpo nucleare
impunito, nullificando la capacità dissuasiva delle altre potenze.

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NOTE

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[2] Si veda ad esempio S.
Romano, In lode della guerra fredda,
Milano, Longanesi, 2015.

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[6] Si veda G. Lubold, J. E. Barnes, Pentagon Readies More Robust U.S. Military Presence in Eastern
Europe
, “The Wall Street Journal”, 30/3/2016. Vedi anche J. R. Deni, Poland Wants More Than NATO Can Give, “The National
Interests”, 10/02/2016.

[8] Due per due fa cinque?, in “Limes, rivista italiana di
geopolitica”, 1/2016, p. 19. Si rimanda anche a Virgilio Ilari, ‘La terza guerra mondiale a pezzi’, in “Limes, rivista
italiana di geopolitica”, 2/2016, pp. 69-74.

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