Democrazia ed equazioni geopolitiche: Meno Europa = Più NATO?

'Il Regno Unito sta puntando verso la costruzione di un quarto polo da affiancare a USA, UE e Cina-Russia. E anche in Francia c''è un revival coloniale. Cosa si prepara?'

Democrazia ed equazioni geopolitiche: Meno Europa = Più NATO?
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30 Giugno 2016 - 21.28


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a cura del Collettivo Pixel.

1. A una
settimana dal voto britannico, non saremmo onesti a dire che tutto ci è chiaro.
In realtà a nostro avviso è ancora da capire bene cosa è successo e cosa
succederà.

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Di sicuro abbiamo
visto l’esito di un vasto voto popolare (al contrario di quanto
vogliono farci intendere i nostri media, che alla suddivisione in classi e ceti
cercano sempre di sostituire quella generazionale).

Ma se un’élite indice un referendum di
questo tipo, ben sapendo che quel voto popolare ci sarà e si esprimerà in modo
prevedibile, vuol dire che ha in testa
un qualche progetto
. E di sicuro non è un progetto “popolare”, ma, per
l’appunto, di élite (e non è il desiderio di Cameron di mantenere a
tutti i costi il potere – l’ipotesi da quattro soldi di Mario Monti smentita in
24 ore).

Noi, per
quanto riusciamo a capire, oggi vediamo almeno questi obiettivi:

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a) La finanziarizzazione globale, ipertrofica
e in crisi tetanica, ha bisogno degli yuan cinesi per non collassare
(e tra
poco avrà bisogno anche dei rubli
russi, che come gli yuan sono sostenuti dalle maggiori riserve di oro fisico di
tutti i tempi). È quello che possiamo chiamare, per essere spicci ma chiari,
una pera di sangue ben ossigenato al posto delle ripetute flebo di plasma
riciclato e ormai in scadenza (perché a furia di quantitative easing queste flebo stanno minando la stabilità
di Dollaro ed Euro).

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b) La City si è da tempo proposta come l’hub
finanziario di questa manovra. Può
esserlo e vuole a tutti i costi esserlo (ricordiamo, dato che si parla di
seconda guerra fredda, che Londra durante
la prima guerra fredda era il centro
finanziario dei Paesi comunisti
).

c) In quanto
potenza, il Regno Unito sa da tempo che
gli USA sono un’anatra azzoppata
che rischia di perdere anche l’altra
zampa. Non è infatti solo Obama ad essere un’anatra zoppa (figura superficiale
molto amata dai nostri media). E la guerrafondaia Clinton non farà rispuntare
la zampa ormai persa;  cercherà semmai di
azzoppare tutto il resto del mondo e di deambulare sostenendosi alle grucce di
nuove aggressioni militari. D’altra parte in una crisi sistemica tutti i
contendenti sono zoppi, monchi, guerci, finché uno ricostruisce la propria
integrità durante una guerra mondiale
vittoriosa. Così è successo finora nella sequenza di egemonie sui processi
mondiali di accumulazione, iniziata dalla Repubblica di Venezia e proseguita
dai Regni Iberici, poi dall’Olanda, poi ancora dalla Gran Bretagna per finire
con gli Stati Uniti. E siamo ai giorni nostri.

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Ai nostri
giorni, però, il più grosso problema dei contendenti, a partire dagli USA, è
che sicuramente nessuno può emergere vittorioso da una guerra mondiale,
che tuttavia viene minacciata pericolosamente sempre più d’appresso.

D”altro
canto, in Gran Bretagna sanno benissimo che la UE è subalterna agli USA e che da questi viene trascinata in un
disastro dopo l’altro (dalle guerre locali, al riarmo, all’imposizione di sanzioni economiche che sono più
micidiali di un boomerang). In realtà lo sanno tutti che l’Europa è considerata
dagli USA il principale e più indispensabile servitore, ma non tutti possono
smarcarsi o hanno interesse a farlo.

Il Regno
Unito invece sta verosimilmente puntando verso la costruzione di un quarto polo da affiancare a USA, UE e
Cina-Russia, basato sul suo vecchio Commonwealth.
I britannici lo hanno fatto capire chiaramente, ma siccome il chiacchiericcio
politico e mediatico è a vanvera e non si fa mai guardando una carta
geografica
, ma al più viene fatto pensando a conti della spesa avulsi da
ogni contesto fisico, geografico e politico, la cosa è stata presa con
sufficienza e disinteresse (per un commento controtendenza si veda invece QUI).

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2. Il primo
obiettivo, cioè la pera di “robba bona”,
è condiviso dagli USA. Ma gli altri due, almeno come rischio potenziale,
rimescolano il quadro geopolitico mondiale in un modo che gli USA fanno fatica
ad apprezzare. Non a caso Obama gli ha opposto intralci, sfuriate e minacce.

Washington,
allora, cercherà probabilmente di neutralizzarne gli effetti rafforzando il
ruolo della NATO anche in senso economico-finanziario
(e qui il TTIP, cioè
il trattato transatlantico di libero scambio, è centrale).

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Ci sono già chiarissime
avvisaglie che vanno in questo senso. Si legga ad esempio attentamente il consiglio che viene dato dal Washington Post subito
dopo aver ferocemente attacco Cameron, accusato – guarda un po’ – di aver
ridotto la sua politica estera a «un codardo corteggiamento del dittatore Xi
Jinping
».

Vedremo tra
non molto quel che salterà fuori pubblicamente dal vertice NATO di luglio a
Varsavia e da ciò cercheremo di capire quello che pubblicamente non vogliono
dire ma cercheranno di fare.

Il rischio è
che con una leadership statunitense sulla NATO addirittura accresciuta e con
un’accresciuta leadership della NATO sull’economia e le istituzioni politiche,
tra non molto ci potremmo ritrovare con una guida prettamente militare dell’Europa
attraverso esangui istituzioni civili. E che il rischio non sia remoto lo stanno
a dimostrare le sanzioni contro la
Russia, che nessun governo europeo vuole ma che ogni governo europeo applica
.

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L’Europa diventerebbe
una mastodontica Compagnia delle Indie dotata di privilegi, al servizio
economico-finanziario degli armatori di Wall Street e al servizio politico dei sovrani
di Washington.

3. Tuttavia
è un gioco complesso, con mille interazioni e interferenze, che necessariamente
genererà frizioni e incontrerà opposizioni.  

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Già la Francia subito dopo la Brexit ha accresciuto i mugugni sul TTIP per mezzo del suo primo ministro
Manuel Valls.

Anche i
cugini d’oltralpe hanno capito da tempo cosa sta succedendo. Tutto bene,
quindi? Sì e no. Sì, perché opporsi al TTIP è sacrosanto (anche se si rischiano
attentati “jihadisti”). No perché la Francia lo fa mentre cerca di portare
avanti un progetto simile a quello inglese, benché di ben più modesto
cabotaggio, ancorché feroce. Cioè tenta di riorganizzare
il suo vecchio sistema coloniale
. Un modo di galleggiare ed essere in
qualche misura preparata quando la UE come l’abbiamo conosciuta finora non ci
sarà più, martellata dalla crisi sistemica. E lo fa a spese della vita di
migliaia di persone già ammazzate e delle migliaia predestinate ad essere uccise
(si veda la Siria, si veda l’Africa). Non è un caso che in Francia sia attualmente in gran spolvero un revanscismo colonialista istigato dallo Stato. E possiamo
ringraziare un governo socialista! Ma questa non è una novità.

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4. Di fronte
a questo scenario sorgono diverse domande.

In Italia
moltissimi stanno esultando per il voto “sovranista” britannico. Legittimo,
anche noi contavamo su quest’esito. Ma, come sempre (e l’esempio della Brexit e
dell’opposizione francese al TTIP lo dimostrano), la questione di fondo è: Chi governa il processo? Con
quali finalità? Con quali istituzioni?
Sono istituzioni democratiche?

A nostro
modo di vedere, nessun discorso su Euro vs Lira, Lira vs Euro o
(come in realtà noi preferiamo pensare, Euro del Nord ed Euro del Sud),
funziona se non ci si pone il problema del progetto e del suo governo, nazionali
e internazionali.

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Ci sono già
gli economisti neoliberisti che affermano che l’economia è svincolata dalla
politica. E si è visto benissimo, come d’altronde era ovvio, che è falso. Non
c’è di certo bisogno che questa cosa venga ripetuta anche dai critici del
neoliberismo. Se la politica non governa l’economia e non lo fa in modo
democratico, non c’è automatismo che tenga
.

Una riprova
è proprio la Brexit. Se abbiamo ragione, essa non costituirebbe l’inizio di una
reindustrializzazione del Regno
Unito (come si immaginano, appunto in modo automatico, molti sovranisti) ma, al
contrario sarebbe l’avvio di una nuova
fase della iperfinanziarizzazione
della loro economia, quindi con vantaggi
del tutto residuali per la popolazione (lavoratori, classe media, commercianti,
piccole e medie industrie, che dalla finanziarizzazione ricevono danni costanti
e crescenti e benefici passeggeri a macchia di leopardo).

Un secondo
esempio è la Germania. Essa è di
fatto il paese UE col più alto grado d’indipendenza in politica monetaria (tra
l’altro, anche perché fa fare alle sue banche ciò che proibisce alle banche
degli altri Paesi). Ma è tedesca anche la banca più esposta al mondo in
derivati (la Deutsche Bank), segno di non grande indipendenza dalla
finanziarizzazione, che tuttora fa capo agli USA. E la Germania è anche il
regno dei lavori miserabili (se non andiamo errati, oltre 4 milioni di posti) e
della deflazione salariale. E, soprattutto, ha un”autonomia in politica estera
da far dire ad alcuni osservatori tedeschi attenti e autoironici, che la Germania è la “più ricca repubblica
delle banane del mondo
”
.

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Un
definizione di precisione teutonica, anche se stranamente spiritosa.

5. La sovranità in politica economica (e in
specifico in quella monetaria) non è
quindi condizione sufficiente per ripristinare un minimo accettabile di sovranità popolare su cui costruire. Ma
non è nemmeno condizione necessaria. Lo è in un’ottica economicista, ma in
realtà le condizioni necessarie e sufficienti sono squisitamente di natura
politica
. Da esse discendono quelle di natura economica, che ne sono
corollari, non premesse.

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Spesso i
ragionamenti su UE ed Euro di molti economisti di vaglia, che con cura e
dottrina mettono in risalto i dettagli tecnici dei loro difetti, alla fine,
quando vengono tirate le somme, sembra che si limitino ad avere nostalgia dei
“bei tempi andati” (cioè quelli della Lira e del keynesismo).

Ma hanno un senso
storico
queste nostalgie?

Noi
ripetiamo da diversi anni che l’Euro è stato un tentativo di affrontare la
crisi sistemica e non la sua causa. La crisi sistemica attuale si è conclamata
nel 1971 (Nixon Shock), mica nel
2008. Affonda, appunto, negli effetti del grande ciclo (keynesiano) di sviluppo
del dopoguerra. Ha senso averne nostalgia? Oh, certo, si stava meglio,
l’economia era solida, c’erano sia il lavoro sia i conflitti sul lavoro,
c’erano progetti e i giovani avevano un futuro davanti e non alle spalle. Noi
siamo della generazione che questo ben di dio lo ha vissuto e lo ha condito con
le relative passioni politiche.  Ma,
ripetiamo, ha un senso avere nostalgia per ciò che ha preparato la crisi (e
che, per evitare fraintendimenti, non è certo stato il welfare o la
giurisprudenza a favore dei lavoratori ma, al contrario, proprio la struttura
classista di quel benessere)?

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In realtà ha
senso averne nostalgia solo se si pensa che ciò che è accaduto dopo è stato un
fulmine a ciel sereno, una tempesta improvvisa e imprevedibile che si è
abbattuta su terre innocenti che godevano di un buon clima. Insomma, se si
crede nel complotto dei Rettiliani, degli Illuminati e dei banchieri massoni.
O, dato che è la stessa cosa, se si preferisce credere nel solito “complotto
demo-pluto-giudaico” invece di indagare le vistose contraddizioni dell’accumulazione senza fine di ricchezza,
della parallela accumulazione senza fine di potere e della crescita di complessità nel mondo.

Come tutti i
tentativi di risolvere la crisi senza affrontare le sue cause profonde, la UE e
l’Euro non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, accumulando polvere
sotto il tappeto e mettendo il coperchio a pentole sotto le quali hanno
continuato e continuano ad alzare il gas, col rischio che quando scoppiano
fanno ancora più danni. E, tuttavia, un effetto è un effetto e una causa è una
causa, pur tenendo conto di tutti i possibili feedback.

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6. Per
concludere, l’urgenza nella battaglia attuale, in Italia e in Europa, noi
pensiamo che riguardi la democrazia e le sue istituzioni, nazionali e
internazionali. In gioco, innanzitutto, non è se stare o non stare all’interno
di un sistema economico o monetario. La prima e principale domanda da porsi
è se accettare istituzioni che deridono la democrazia, incontrollabili, che si
proteggono contro i popoli che dovrebbero rappresentare rintanandosi in bunker
sempre più inespugnabili
.

Il modo di
trattare moneta, economia e finanza dipende dal modo in cui si inquadra il
problema della democrazia e della pace.

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